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DAVIDE LIBERO











Da Bari a Parma. Storie di cemento made in Italy

 

Ieri (20 gennaio 2009) la Corte europea dei diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia per la confisca di Punta Perotti (l'ecomostro costruito dai Matarrese a Bari e fatto abbattere con la dinamite dallo Stato). Una sentenza attesa e scontata, giacché l'ecomostro non fu costruito abusivamente ma con l'autorizzazione (in violazione ai limiti paesaggistici fissati perentoriamente dalla legge Galasso) del Comune di Bari.
Il 19 novembre, dopo aver contestato pubblicamente Antonio Matarrese al convegno "Giocare di squadra: il dirigente sportivo tra esperienza e futuro", scrivevamo: "[...] Punta Perotti, quell'ammasso di cemento a due passi dal mare che (chissà perché...) l'amministrazione di Bari aveva autorizzato in sfregio alle leggi dello Stato. Perché Matarrese a Bari, vale forse più dello Stato. E forse anche qui. [...]".
Gli interessi particolari amano nascondersi dietro proclami che invocano la pubblica utilità e il bene della collettività. Di "riqualificazione" parlavano i Matarresse quando diedero il via ai lavori di Punta Perotti, che alla fine sbarrarono di cemento l'orizzonte. Una storia emblematica, per le mille violenze perpetrate contro le coste pugliesi, impoverite dalla cementificazione selvaggia, dall'abusivismo, dalle deroghe (in barba alle leggi dello Stato) concesse dai politici locali a chi ha il portafoglio gonfio.
Il mega-parallelepipedo di cemento costruito a Punta Perotti è stato abbattuto dallo Stato nel 2006, perché realizzato a meno di 300 metri dal mare, contrariamente alle prescrizioni di legge. Visto però che il Comune di Bari aveva dichiarato edificabile l'area, aveva approvato tutti gli atti della lottizzazione e aveva rilasciato i vari permessi di costruzione, gli imprenditori risultano essere (da un punto di vista legale molto superficiale) la parte lesa. Per questo la Corte europea dei diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia a pagare 40mila euro ad ogni impresa coinvolta (30mila per le spese processuali e 10mila per i danni morali). Cifre esigue, in rapporto a ciò che c'è in ballo, ma: non è finita qui.
La vera parte lesa è il Paese. Danneggiato: prima, da una classe politica che non ha esitato a calpestare la legge per favorire interessi privati contrapposti a quelli collettivi; poi, da imprenditori la cui opera ha devastato il patrimonio locale e nazionale; e infine da una giustizia (italiana e europea) che scarica i costi sul Paese (ignorando le responsabilità di politici e costruttori, nonché le loro connessioni).
I 300.000 metri cubi di cemento di Punta Perotti sono il simbolo dell'imprenditoria che calpesta il Paese per i propri interessi personali, e del potere politico asservito ad essa. Per questo nel nostro volantino del 19-09-2008 scrivevamo: "Nuovi impianti sportivi: quante nuove Punta Perotti?". Perché questi problemi non sono soltanto di Bari o della Puglia, sono evidenti in tutte le città d'Italia. E anche qui da noi, a Parma. Ad esempio per lo stadio Tardini. C'è chi parla di costruire un nuovo stadio fuori città, chi vuole stravolgere quello attuale, chi pensa a come trasformare la centralissima area Tardini. Delocalizzare, costruire, lottizzare, speculare. La città paga e perde, qualcuno guadagna alle sue spalle.
L'assessore Vittorio Adorni s'è già espresso più volte a favore delle delocalizzazione dello stadio Tardini fuori Parma e per la trasformazione dell'attuale (in tempi più immediati) in impianto polifunzionale. Circa un mese fa è entrato nel consiglio d'amministrazione del Parma FC (nominato dalla Banca Monte) Arturo Balestrieri, politico locale che già si era chiaramente espresso a favore della costruzione di un nuovo stadio a Baganzola. E pochi giorni or sono la stampa (locale e nazionale) ha dato notizia di una possibile entrata nel Parma calcio del costruttore parmigiano Pizzarotti, proprio per favorire la costruzione di uno stadio a Baganzola (dove ha tanti terreni).
"SPORT" NON E' RUSPE E SPECULAZIONE.

 

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