NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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DEDE, IL PADRE CHE VEDEVA SUO FIGLIO GIOCARE A PALLONE

 

FONTE:Sport People

 

Una giornata di lavoro in ufficio. Poche persone, quelle giuste, per lavorare intensamente sui tanti progetti in cantiere. Testa sul pc e tanto silenzio.
Proprio in questo clima, quando si stacca un attimo, si entra in quella dimensione intima e di confidenza che solo in queste occasioni si riesce ad avere.
Neanche ricordo come si è finiti sull’argomento, ma è stato il mio collega a prendere il discorso.
Non sa di cosa tratta Sport People, né della mia provenienza curvaiola, quindi non può avere pregiudizi. È con noi da un mese e per questo può parlare liberamente, senza sapere con cognizione se ciò che dirà sarà di gradimento per i suoi interlocutori.
Io, da parte mia, nel mio lavoro mantengo sempre un profilo molto basso, e ciò che non appartiene a quella dimensione lo lascio fuori.
Ad un certo punto dice, dopo aver letto le ultime novità sui fatti di Inter-Napoli:
“Io a quello che hanno ammazzato lo conoscevo molto bene. Il figlio giocava in squadra con mio figlio, veniva sempre alle partite. È sempre stato il più tranquillo di tutti, mai una parola di troppo”.
Poi prosegue.
“Che poi, in queste partite c’è lo schifo. Una volta ho avuto veramente paura, perché uno zio di un giocatore avversario offendeva tutto e tutti. Poi, quando hanno espulso suo nipote per un fallaccio, è stato ripreso da alcuni genitori presenti. Ha cominciato a picchiare liberamente. Poi sono intervenuti i carabinieri e non gli hanno fatto nulla”.
Aggiunge:
“Un’altra volta ho avuto a che fare con una mamma che andava avanti per tutta la partita a gestacci e offese”.
Non finisce qui:
“Questa gente qui magari è la prima che commenta fatti come quelli di Inter-Napoli con parole piene di moralismo e di condanna”.
Voglio precisarlo: questo mio collega è un uomo di sport che si è però sempre tenuto lontano dalle curve. Ma, evidentemente, ha una capacità critica e di ragionamento ancora limpida e avulsa da preconcetti.
Cosa che non hanno saputo fare i tanti giornalisti che hanno sbattuto il mostro in prima pagina, andando a scavare nella sua vita alla ricerca del torbido, facendo finire nel calderone anche i suoi famigliari più vicini.
In un Paese che ormai vive da troppi anni una deriva ipocrita e perbenista, e che ora cerca artificiosamente di recuperare – se non affermare – le sue radici di cultura cristiana, è forse sfuggita una delle massime più famose attribuite a tale Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
La nostra povera Italia sembra diventata una squadra sterminata di lanciatori di pietre da primato olimpico, pronta a lapidare le vittime del suo pensiero distorto. I “diversi” da indicare col dito di una mano, chiaramente quella che non tira la pietra.
Fortunatamente ci sono persone, come ho scoperto oggi, che hanno ancora la capacità di dire la loro senza paura di trovarsi fuori dal coro. Magari anche solo per la conoscenza diretta della vittima, ma mi piace pensare che non sia così.
Mi sono astenuto, dopo Inter-Napoli dal buttare giù i miei pensieri, perché reputo quanto si è svolto troppo grande per dare, a mia volta, giudizi o anche solo semplici interpretazioni.
Me ne sono andato dall’ufficio con le parole di questo dialogo che continuavano a rimbalzarmi per il cervello.
Ho pensato a tante cose, come per esempio a quanto è strano questo mondo. Ma anche alle differenze tra me e Daniele, quanto fossimo diversi nel modo di pensare e di agire.
Poi però ho pensato alle cose in comune: un mio coetaneo, un uomo che, per un verso o per l’altro, ha vissuto molte delle cose che ho vissuto io, seppur in contesti distanti. Un qualcuno con cui, se mi ci fossi trovato al pub o in strada a bere una birra, avrei scambiato molte più parole, e con molto più entusiasmo, di tanta gente che, lungo il mio cammino, mi disgusta o mi è al più indifferente.
Oggi non mi scollo da questi pensieri e parole, e per scacciarli li ho scritti in questo articolo. Ma le ore prima di andare a dormire hanno un sapore incredibilmente amaro.

 

Stefano Severi