NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

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Giustizia per i 38 di Cagliari

 

Non capita mai, ad eccezione dei comunicati dei gruppi, che un articolo o un editoriale della rivista trovi doppia pubblicazione anche sul sito, questa volta però ci teniamo a fare uno strappo alla nostra regola anche per dare massima diffusione ad una vicenda che lo merita, alla ricerca di una giustizia come al solito a due marce quando si tratta di ultras. Parliamo della vicenda di Cagliari e della scolaresca ivi aggredita che trovò ampio risalto sui media nazionali: ovviamente quella che trovò spazio fu la versione della questura che conoscerete a memoria visto come l'hanno pappagalescamente ripetuta in tutti i Tg e su tutti i giornali, anche per questo la nostra è la verità "altra", l'altra voce, quella che nessuno vuole mai ascoltare, quella che mette in imbarazzo chi comanda ragion per cui può anche essere sottaciuta.

 

Sono passati sei mesi da quel 5 aprile 2009, il giorno della famosa "scolaresca di Messina aggredita dagli Sconvolts". Ed È giusto ritornare su quei fatti...
Quella domenica si giocava Cagliari-Catania, con due tifoserie con rapporti "non molto chiari". Dalla nave proveniente da Civitavecchia, verso le dieci scende un gruppo di ragazzi, una quindicina circa. Vengono fermati all'esterno del porto e affermano con tono provocatorio di essere siciliani. Poco dopo qualcuno di loro, senza che fosse stato intimorito, mostra la carta d'identità per dimostrare di essere di Messina. Parlando tranquillamente con i ragazzi cagliaritani, affermano che stanno facendo il tirocinio nella Grimaldi (non si ricordano neanche che la loro nave è la Tirrenia, dato che a Cagliari non opera la compagnia napoletana) e di volersi recare nella curva cagliaritana, visto il loro forte odio verso la tifoseria catanese. I cagliaritani li invitano a lasciar perdere perché non è proprio il caso, e si allontano senza che nessuno li abbia mai toccati. Il gruppo di messinesi, incuranti dei consigli, gira indisturbato nella zona del porto, ripensando forse al desiderio di vedere la partita dalla curva Nord e finisce che, verso le undici, incontrano qualcuno di sbagliato. C'è una rapidissima colluttazione sinché gli studenti scappano rifugiandosi dentro una libreria di Via Roma. Qui parlano con qualcuno degli inseguitori, viene a galla l'incomprensione, ci si scusa a vicenda e tutto sembra tornato alla normalità.
Più tardi, i tifosi cagliaritani iniziano ad arrivare allo stadio, probabilmente inconsapevoli di quanto successo in città due ore prima. I primi ad arrivare sono trentotto persone che vengono immediatamente circondate da otto camionette, dalle quali scendono un centinaio di uomini tra poliziotti, carabinieri e finanzieri. Parte una specie di rastrellamento. Tutti i presenti (tra i quali anche tifosi non ultras che scendevano dalle macchine appena parcheggiate, che aspettavano il panino nei chioschi, ecc.) vengono spinti in un angolo. I dirigenti della Questura e della Digos prendono i documenti ai presenti e, tutti in tenuta antisommossa con il manganello ben pronto, spingono i trentotto increduli all'interno delle camionette, senza dare nessuna spiegazione.
Sono le ore 13 di domenica e le camionette corrono a sirene spiegate in Questura.
Intorno alle ore 14, nei parcheggi interni di Via Amat, il gruppo di cagliaritani viene fatto schierare davanti al palazzo. Un poliziotto in borghese passa davanti ai ragazzi in fila e chiede il nome a cinque persone. Il tutto risulta quasi comico se non fosse così assurdo: dovrebbe essere un riconoscimento ma il poliziotto non ha né auricolare né cellulare e sorge il sospetto che chieda i nomi a caso in una sorta di strategia del terrore. Qualcuno dei presenti, di nascosto dato che è stato vietato l'uso dei cellulari, chiama l'avvocato. I legali accorsi vengono mandati via dal Vice Questore Vicario, in quanto nessuno dei ragazzi è in stato di fermo ma si sta solo svolgendo un'identificazione.
Intanto, intorno allo stadio continuano a girare le camionette che cercano, con le porte aperte, non si sa bene chi o cosa. Sicuramente non hanno trovato niente, dato che nessun altro è stato portato in Questura.
La polizia sfonda la porta della sede degli Sconvolts e la perquisisce alla ricerca di bombe, catene, spranghe e bastoni. Ovviamente fanno un buco nell'acqua e trovano solo aste di bandiera, oggetto normalissimo per un tifoso.
In Questura, appena finisce la partita, viene effettuato un secondo riconoscimento: i trentotto presenti si trovano di nuovo in fila nel piazzale, con il solito poliziotto in borghese, questa volta munito di cellulare, che passa lentamente davanti al gruppo fermandosi di tanto in tanto a chiedere al malcapitato di turno le generalità. Questa volta ci sono i ragazzi di Messina affacciati alle finestre del terzo piano della Questura, che indicano i ragazzi riconosciuti tra i presenti all'aggressione. Come sia possibile farlo con certezza a circa venti metri di altezza, con i ragazzi cagliaritani a più di cento metri più avanti, resta ancora un mistero. Ogni "riconoscimento" dura una decina di minuti e se ne conteranno altri tre. Poi i trentotto cagliaritani vengono fatti salire cinque alla volta in un ufficio per sottoporsi al famoso rito dello "specchio magico". Tale rito consiste nel far passare dietro un vetro i "presunti" responsabili della aggressione ma, contrariamente a quanto dovrebbe avvenire, non ci sono avvocati della difesa a controllo, non ci sono persone con similitudini fisiche e fisionomiche a quelle degli accusati e ad essi mischiati, in modo da testare l’assoluta certezza del riconoscimento. Il classico "riconoscimento all'italiana" insomma, degno del più tragicomico dei film. Una volta che tutti i trentotto hanno terminato questo folle rito, vengono fatti risalire sulle camionette con direzione ignota. Si pensa che la destinazione sia il carcere di Buoncammino, ma le camionette si fermano poche centinaia di metri prima, negli uffici della Digos di Cagliari.
Sono le ore 19. Qui viene cercato un telefono cellulare tra i presenti che, a quanto pare, sarebbe stato rubato a una delle persone aggredite. Negli uffici della Digos inizia una ulteriore procedura di identificazione, ovvero impronte digitali e foto segnaletiche per tutti, due alla volta. Qualcuno, di nascosto, riesce a usare ancora il cellulare per chiamare "fuori" e si scopre così che il Vice Questore Vicario ha già tenuto una conferenza stampa affermando che i responsabili sono stati presi e saranno tutti e trentotto arrestati. Si possono quindi facilmente immaginare gli stati d'animo negli uffici della Digos...
L'identificazione dei trentotto ragazzi finisce alle 22, quando vengono fatti salire sulle camionette. La destinazione non è però il vicino carcere, ma nuovamente la Questura. Alle ore 23.30 i primi ragazzi tornano in libertà . Vengono restituiti a tutti i documenti e consegnato un foglio.
A quanto si legge, erano stati portati in questura perché, ad un normale controllo di ordine pubblico, si erano rifiutati di dare le generalità, oppure queste erano da ritenersi false, quando invece l’unica cosa falsa è proprio tale accusa.
Gli ultimi ragazzi escono quando si sta per arrivare alle ore 01, dopo cioè dodici ore, stremati da quest'incubo infinito.
Intanto alla tv fioccano le "notizie". Si parla di "invasati che danno pugni gratuiti, 40 delinquenti con volti coperti da sciarpe e cappucci, che hanno aggredito una scolaresca in gita in città, con spranghe, catene e bastoni, che hanno cercato di investirli con uno scooter, lasciando a terra un professore con gravi problemi cardiaci e rubando a quest'ultimo pure il telefono cellulare".
Il giorno dopo le notizie si sprecano, con i giornali che titolano a caratteri cubitali "38 arrestati" salvo far retromarcia il giorno seguente, scrivendo in un minuscolo trafiletto "il giudice non ha consentito agli arresti per mancanza di prove e il telefono cellulare, che si pensava rubato, risulta effettivamente di proprietà del ragazzo accusato".
Intanto i ragazzi messinesi, che dopo mezz'ora dall'aggressione si stavano facendo intervistare dalle televisioni sarde senza nessuna lesione apparente (come si può verificare anche in un video messo
subito su Youtube, dal titolo "Aggressione scolaresca siciliana 5 aprile 2009"), riprendono la nave di domenica sera, mentre il professore parte il giorno dopo. Il tutto a dimostrare quanto (davvero poco) gravi fossero le ferite. Quantomeno strano, visto che quindici persone sarebbero state aggredite da quaranta, armate di spranghe, catene e bastoni...
Mercoledì 8 aprile, a ventisette dei trentotto fermati arrivano le diffide, tutte per tre anni. Sono stati tutti riconosciuti con certezza come partecipanti all'aggressione, accusati di lesioni gravi e violenza, e per due di questi anche tentata rapina. Dal venerdì 17 iniziano ad arrivare anche i “Fogli di Via Obbligatori” da Cagliari. Tradotto: per tre anni, questi ragazzi non possono entrare nel Comune di Cagliari, e considerando che quasi tutti sono residenti in paesi nell'arco di 5 chilometri dal capoluogo, o comunque ci lavorano, è una cosa assurda.
Sono passati sei mesi e nessuno ha ancora ricevuto denunce, accuse dirette o comunicazioni varie, oltre a ciò che c'è scritto nella diffida e nel foglio di via.
Secondo delle voci, sia il professore della scolaresca che gli alunni avrebbero sporto denuncia contro ignoti, in quanto gli aggressori (indicati in una decina) avevano i volti coperti da sciarpe e cappucci. Solo un alunno avrebbe fatto denunce precise, riconoscendo ventisette persone. Come sia possibile passare da "una decina" a ventisette, e soprattutto riconoscere con certezza persone coperte resta un mistero.
Qualcuno, credendo nella giustizia, ha fatto ricorso al TAR della Sardegna (con relativa spesa di 500 euro per ogni esposto), ricevendo in cambio una risposta vaga (né ragione né torto, dato che le indagini erano ancora in corso). In effetti risultava un po’ difficile fare ricorso entro 60 giorni per difendersi da un provvedimento amministrativo emanato dal Questore, senza sapere neanche bene di cosa si è accusati...
Da poco quattro persone sono riuscite a farsi scagionare da tutte le accuse (e ci mancherebbe altro).
Durante "l'aggressione" uno di questi stava giocando nel relativo campionato di calcio (e il referto dell'arbitro l'ha dimostrato), gli altri tre (residenti a 90 km da Cagliari) erano in un locale della loro zona (come sono riusciti a dimostrare grazie alle telecamere a circuito chiuso del posto).
Incredibile è la posizione di tre degli accusati: i ragazzi si trovavano all'interno dell'aeroporto di Cagliari-Elmas quando succedevano "i fatti" in Via Roma, eppure non possono dimostrarlo. I filmati a circuito chiuso dell'aeroporto risultano misteriosamente spariti, strano in periodi in cui si parla tanto e quotidianamente di sicurezza, terrorismo, ecc., ecc.
Penso sia finalmente ora di dare un po’ di giustizia a questi ragazzi...