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Cucchi, indagine per un omicidio

 

Omicidio preterintenzionale. E' questa l'ipotesi su cui sta lavorando il pm della Procura di Roma Vincenzo Barba che indaga sulla morte del trentunenne Stefano Cucchi. Morto il 22 ottobre nella struttura penitenziaria dell'ospedale Sandro Pertini, dove è arrivato con tumefazioni al viso e due vertebre rotte. Il ragazzo era stato fermato dai carabinieri nella periferia est della città la notte tra il 15 e il 16 ottobre. Addosso aveva 20 grammi di marijuana. Era risultato negativo al narcotest. Nel registro degli indagati al momento non risulta iscritto alcun nome, ma Barba ha già iniziato gli interrogatori e sentito i carabinieri che hanno fermato il ragazzo. Passaggio obbligato visto che non c'è dubbio che si parta dal giorno del fermo. E da ieri è «guerra» tra le varie forze dell'ordine che hanno preso in consegna Stefano. In sostanza tra carabinieri e polizia penitenziaria. A difendere i carabinieri ci pensa senza remore il ministro della Difesa Ignazio La Russa, chiamato in causa giovedì durante una conferenza stampa a cui hanno partecipato diversi parlamentari di tutti gli schieramenti politici. Si chiedeva al ministro di avviare un'indagine interna all'Arma. Stefano è apparso con il viso gonfio e gli occhi pesti (tant'è che è stato sottoposto a visita medica in tribunale) quando è giunto in tribunale, cioè dopo aver passato una notte nella cella di sicurezza della stazione di Tor Sapienza. E in merito alla possibilità di un'indagine, La Russa, dopo aver chiarito di non avere alcuna competenza trattandosi di carabinieri in servizio di polizia, ha però aggiunto: «Non sono in grado di accertare cosa sia successo ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione». Dichiarazione che è andata di traverso ai rappresentanti della polizia penitenziaria: «Il ministro La Russa ha perso una buona occasione per tacere. Ha detto che non ha elementi per dire come andarono i fatti connessi all'arresto di Stefano Cucchi, però sostiene che l'intervento dei carabinieri è stato corretto. Su quale basi lo dice? Chi sarebbe stato scorretto, allora?», ha chiesto Donato Capece, il segretario del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. Ma sul ministro è caduta una selva di fischi: «parole disarmanti e sospette» (Della Seta, Pd), «eviti la fiducia a prescindere» (Palermi, Pdci), «parole inaccettabili» (Nieri, Sinistra e Libertà). Che i sospetti, almeno finora, si concentrino principalmente sui carabinieri è però cosa chiara. Tanto che ieri sera è intervenuto anche il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, Vittorio Tommasone, ribadendo: «Non abbiamo nulla da nascondere». Ed è tornato sull'intervento richiesto al 118 la notte del fermo, per far intendere il ragazzo che non aveva alcuna ecchimosi: «Il giovane era provato e in un forte stato di debilitazione e tremava. Tremava ed aveva freddo. Ma ai medici del 118 disse di non volersi ricoverare».Intanto ieri pomeriggio davanti a Montecitorio i giovani del Pdci e di Rifondazione, i giovani dell'Idv e l'Uds hanno organizzato un sit-in per chiedere «verità e giustizia per Stefano» e hanno rivolto un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché intervenga sul caso. La famiglia di Stefano ha diffuso un comunicato per ringraziare «tutti coloro che stanno esprimendo la propria partecipazione», invitando «alla calma e alla compostezza» e ad evitare «qualsiasi gesto sconsiderato, che non aiuterebbe nella ricerca della verità». Ieri il Guardasigilli Angelino Alfano ha chiamato il procuratore di Roma per esprimere «il sostegno alle indagini e celerità nell'accertamento della verità e delle indagini», ribadendo «la fiducia nell'operato della polizia penitenziaria».E ieri alla Procura generale presso la Corte d'appello di Roma è arrivato un esposto presento dall'unione delle camere penali italiane, con cui si invita ad effettuare tutti gli accertamenti in ordine ai ritardi che sembrano esservi stati nell'accertare i fatti: «Il corpo del cittadino nelle mani dello Stato è sacro, e non si può consentire che dubbi si addensino sulle istituzioni», ha detto il presidente Oreste Dominoni.