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Contro l’ergastolo ostativo, intervista a Carmelo Musumeci

 

FONTE:Socialnews.it

 

Carmelo Musumeci nasce ad Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania, nel 1955. Trasferitosi in Liguria, la sua carriera criminale ha inizio all’età di 16 anni quando diviene socio di una bisca clandestina a Massa. Di lì a pochi anni diventa capo di un’organizzazione criminale dedita a rapine, traffico di droga, racket, tangenti e bische clandestine – guadagnandosi l’appellativo di ‘Boss della Versilia’. Il Clan Musumeci, attivo da La Spezia a Montecatini, si rende protagonista, lungo tutti gli anni ’80, di una sanguinosa guerra contro il Clan Tancredi. Musumeci viene arrestato il 22 ottobre 1991 con l’accusa dell’’omicidio di Alessio Gozzani, ex portiere della Carrarese, affiliato al clan rivale. Si rifiuta di collaborare e viene quindi condannato, l’anno successivo, all’’ergastolo ostativo – previsto per i reati più gravi e differente da quello normale perché, appunto, ‘osta’ all’ottenimento di determinati benefici (libertà condizionale, semi-libertà, permessi) comportando, effettivamente, una pena senza termine o, come l’ha definita Musumeci, una ‘pena di morte viva’. Dopo 25 anni di carcere, trascorsi con la certezza di non uscirne più, Carmelo ottiene su istanza la semilibertà e, con essa, il ritorno alla vita reale. Nel frattempo è cambiato: ha conseguito 3 lauree ed ha scritto 8 libri. Conduce, ormai da anni, una battaglia per l’abolizione dell’ergastolo cercando di aprire un dibattito sulle ragioni e sul senso di una pena senza fine che in Italia è la storia di altre 1500 persone – ergastolani ostativi.



Carmelo, cosa significa vivere da ergastolano ostativo?
Muori, senza vivere, un po’ tutti i giorni e tutte le notti.
Purtroppo questa terribile pena ti fa sentire perduto per sempre.
E non puoi fare altro che vedere la tua vita scorrere senza di te.
Quando al mattino ti svegli nella tua cella, pensi subito che anche oggi non andrai da nessuna parte.
E sarà così per sempre.
Fino all’ultimo battito del tuo cuore.
Alla lunga questa terribile pena ti ruba tutti i tuoi pensieri.
E non pensi più alla libertà.
Neppure alla vita.
Pensi solo a fare sera.
E subito dopo a fare mattina.
Credimi, è difficile per tutti vivere e stare in carcere, ma quasi impossibile vivere se sai che non uscirai mai.

Dopo 25 anni di carcere, quanto è stato difficile ritornare alla ‘vita reale’?
È difficile, ma bello.
Sto imparando di nuovo a vivere perché è incredibile come il mondo che ho lasciato 26 anni fa sia cambiato. È bellissimo camminare senza fare avanti ed indietro dopo pochi passi e non trovare nessun muro davanti o di dietro.
Le persone camminano parlando o muovendo il dito a testa bassa sui loro telefonini.
Per fortuna i bambini non sono cambiati e i loro sorrisi mi ricordano che sono tornato nel mondo dei vivi.
Quando al mattino esco dal carcere è bellissimo vedere nascere la prima luce del giorno, senza sbarre e muri di cinta intorno.
Gli spazi aperti mi fanno girare la testa, forse perché sono stato circondato da quattro mura per troppi anni. E il mondo mi sembra troppo grande per i miei occhi e probabilmente anche per il mio cuore.
Al mattino quando esco dal carcere, e prima di rientrare alla sera, parlo o mando dei messaggini ai miei nipotini.
Poi penso con tristezza ai miei compagni in carcere, che hanno una sola telefonata a settimana, della durata di dieci minuti. Non capirò mai perché il carcere oltre alla libertà ti vuole togliere anche l’amore delle persone cui vuoi bene.

Cosa è cambiato con la semilibertà? Come trascorri le tue giornate?
Il primo giorno mi sono sentito come un morto che usciva da una tomba.
Dopo un quarto di secolo scontato in carcere, conosco tutto delle nostre Patrie Galere, ma ben poco del mondo di fuori.
E giorno dopo giorno mi sto accorgendo che non è facile ritornare a vivere, mi sento come un profugo in un paese straniero.
Nella Casa Famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, dove faccio volontariato, ci sono alcuni bambini disabili e quando mi occupo di loro penso che questo sia il modo migliore per continuare a scontare la pena, per rimediare un po’ il male fatto, facendo del bene.
I sorrisi di questi bambini mi fanno uscire il senso di colpa e mi fanno pensare a quanto nella mia vita sono stato cattivo.
Ti confido che mi sembra di vivere due vite diverse, una di giorno e l’altra di notte.
E ogni mattina quando esco dal carcere sento il profumo della libertà, mentre alla sera sento l’odore dell’Assassino dei Sogni (è così che Musumeci chiama il sistema penitenziario, ndr).

La scienza ci dice che le persone sono il prodotto dei contesti sociali in cui vivono, dei valori alle quali vengono socializzate (tu stesso hai partecipato ad un lavoro sociologico sul tema, portando la tua testimonianza). Ti senti vittima del posto in cui sei nato?
Credo di essere nato già colpevole, ma poi ho fatto di tutto per diventarlo.

Sei entrato in carcere con la licenza elementare. Ora, oltre al diploma, hai scritto diversi libri e hai ottenuto due lauree in giurisprudenza ed una in filosofia. Immagino che, studiando certi testi, tu abbia avuto modo di ragionare profondamente sulla tua vita. È lo studio che ti ha cambiato?
Fin dall’inizio della carcerazione avevo smesso di sperare di tornare un giorno un uomo libero e forse per questo ce l’ho fatta.
Sono stati anni difficili perché non mi è mai interessato solo sopravvivere.
Volevo anche vivere, forse anche per questo ho sofferto così tanto.
Il sapere tante cose non serve a molto, rischi solo di diventare un’enciclopedia che cammina se non puoi vivere quello che studi.
Quello che mi ha cambiato, ma forse sarebbe meglio dire migliorato, sono state le relazioni sociali che dal carcere mi sono creato, insieme all’amore della mia famiglia.

L’Italia e l’Inghilterra sono gli unici stati europei ad avere l’ergastolo ostativo. Perché a livello politico non si trova la forza per abolire il carcere a vita?
La pena dell’ergastolo ostativo fa comodo un po’ a tutti, ai politici per non perdere consenso elettorale e ai colletti bianchi (mafiosi) per non perdere la “manovalanza”, perché molti ergastolani con una speranza potrebbero uscire, anche culturalmente, dalle loro organizzazioni.
Penso anche che la legalità, prima di pretenderla, sia necessario darla.
Credo pure che certi fenomeni non potrebbero esistere senza una certa complicità politica.

Hai detto più volte che il carcere ti ha peggiorato, privandoti della libertà e dell’amore, facendoti sentire vittima senza mai perdonarti. Anche alla luce dell’obiettivo rieducativo della pena (previsto dall’Articolo 27 della Costituzione) come si può, se si può, passare da un carcere che punisce ad uno che perdona e rieduca?
Quando penso alla nostra Costituzione mi viene in mente che molti dei nostri padri costituenti erano ex-galeotti e che ormai la nostra Carta è diventata carta straccia.
A mio parere il carcere per funzionare dovrebbe fare bene, invece fa male, tanto male, sia ai prigionieri, sia a chi ci lavora e soprattutto ai cittadini, perché molti prigionieri quando usciranno saranno diventati più cattivi di quando sono entrati.

L’opinione pubblica, culturalmente, sembra sostenere la ‘giustizia come vendetta’. Avrai sicuramente seguito il dibattito sulla ‘possibile’ scarcerazione di Totò Riina, come spiegheresti agli italiani che anche una persona così grandemente incriminata avrebbe diritto, trascorsa la pena, ad uscire dal carcere?
La società non è né cattiva né forcaiola, è solo informata male, perché tutti i detenuti sono recuperabili con un carcere e una pena umana. Paradossalmente non sono “recuperabili” solo le persone di fuori che pensano che ci sia qualcuno che non si possa in qualche modo recuperare.
In noi c’è sia il bene che il male, sta anche a chi ci sta intorno tirarci fuori l’uno o l’altro.
Riina, sotto un certo punto di vista, sarà fortunato perché morirà da criminale in carcere, senza alcun rimorso di coscienza del male che ha fatto, perché lo Stato non ha fatto nulla perché accadesse questo.

Sia Umberto Veronesi che Margherita Hack hanno sostenuto la tua battaglia. Oggi loro non ci sono più, ma per la scienza l’ergastolo è una pena sbagliata: l’evidenza scientifica ha largamente smentito gli argomenti a favore del ‘fine pena mai’. Quanto ha significato, per te, l’appoggio di questo mondo?
Moltissimo.
Da solo non ce l’avrei mai fatta.
E sono loro molto grato, perché non è facile schierarsi con un condannato a essere cattivo, maledetto e colpevole per sempre.

Più volte hai raccontato come lo scrivere ti abbia permesso di vivere una vita immaginaria, parallela a quella obbligata dai confini della cella. Nel tuo ultimo libro – Angelo Senzadio – Lorenzo è un ergastolano che riesce a diventare migliore creandosi un angelo, grazie alla propria immaginazione, non grazie al carcere. Lorenzo e Carmelo sono la stessa persona?
Sì.

Il tuo angelo ha un nome?
Nadia Bizzotto, della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi.
L’aveva creata la mia mente quando scontavo un anno e sei mesi d’isolamento mentre ero sottoposto al regime del 41 bis all’isola dell’Asinara.
Gli angeli prima si sognano e poi s’incontrano.
Anche per questo continuo a sognare che tutti i prigionieri possano aver scritto nel loro certificato di detenzione ’inizio e la fine della loro pena.

 

Simone Delicati