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Taser e sgomberi: simboli e riti delle politiche di guerra dei populismi

 

FONTE:InfoAut

 

I nazisti e gli altri capi fascisti puntavano, sì, sulla efficacia della parola, ma perfino in questo caso i loro discorsi adempivano più a una funzione liturgica che a costituire un’esposizione didascalica dell’ideologia. La parola detta si integrava con i riti culturali e,in realtà, quello che veniva detto finiva per diventare meno importante dello scenario e dei riti che facevano da contorno al discorso. (George L. Mosse, La nuova politica)

 

Con non poca enfatizzazione è stato dato l’annuncio della “svolta” che dal 5 settembre vedrà la “sperimentazione” del taser in numerose città italiane. Una sperimentazione che, con ogni probabilità, verrà estesa all’intero Paese. A un primo sguardo potrebbe apparire come un “semplice” salto tecnologico finalizzato alla gestione dell’ordine pubblico. Un salto sicuramente repressivo ma che, tutto sommato, rientra nella logica delle cose. I tonfa, i nuovi gas lacrimogeni, le sostanze urticanti non sono stati qualcosa di diverso. Volta per volta, l’apparato repressivo statuale, si dota di innovazioni tecnologiche al fine di reprimere in maniera sempre più efficace ogni forma di insubordinazione. Del resto che oggi la guerra, pur con gradi e intensità diverse, sia una guerra contro la popolazione è qualcosa che si ritrova in un qualunque manuale di “studi strategici”. Al di là degli avveniristici e sempre più improbabili scenari da “guerre stellari”, ciò con cui il “pensiero strategico” fa ormai da anni i conti è la guerra di bassa soglia condotta in ambito urbano contro i civili.
Louis A. Di Marco, tenente colonnello dell’esercito statunitense e insegnate all’Army Command and Staff College – dove tiene corsi dedicato ai combattimenti in centri urbani e alle guerre nel Medio Oriente – ha dato alle stampe, già nel 2012, un interessante volume, La guerriglia urbana. Da Stalingrado all’Iraq il quale non poco ha a che vedere con ciò. In questo volume, che rispecchia tutto l’interessamento che il “pensiero strategico” statunitense riversa nei confronti dei conflitti contro i civili in ambito urbano, l’autore identifica lo scenario proprio della guerra contro la popolazione come lo scenario prevalentemente assunto dalla forma – guerra nel presente. Sulla scia di ciò, l’impiego a tempi brevi e su ampia scala del taser, è una notizia che potremmo definire persino di routine. Molto più utile e interessante, invece, diventa osservare a cosa è stata associata. Insieme al taser entreranno in vigore una serie di provvedimenti contro tutte le “occupazioni abusive”. Apparentemente sembrerebbe difficile trovare un nesso logico e immediato tra i due provvedimenti ma, a una osservazione un poco più attenta, le cose assumono non solo un altro aspetto ma la correlazione si fa persino evidente. Si annuncia l’utilizzo del taser e, in contemporanea, si apre la “campagna d’autunno” contro i senza casa, i centri politici “abusivi”, i poveri e, perché sicuramente tra i senza casa e i poveri gli immigrati saranno numerosi, gli stranieri. In questo senso il taser, da strumento tecnologico, si fa indicatore politico:la guerra la facciamo e ci rafforziamo per condurla al meglio. Questo il messaggio, neppure troppo velato, che il potere politico sta dando. Su questo passaggio pare utile e doveroso provare a ragionare poiché, a partire da un fatto apparentemente minimale, è possibile aprire un ragionamento su quanto si sta dipanando davanti ai nostri occhi. È possibile provare a cogliere la progettualità strategica di ciò che comunemente definiamo come populismo.
Si è soliti dire che il Governo gialloverde in questi mesi non ha fatto nulla. In realtà ha fatto tantissimo. Difficile, infatti, non vedere quanto questo Governo sia stato in grado di delineare il nemico e, a partire da ciò, quanto consenso abbia ulteriormente acquisito per la formalizzazione di autentiche politiche di guerra. In fondo questo è l’unico vero mandato che il Governo ha. Perché? Proviamo a dare, o per lo meno a ipotizzare, una risposta. Chiediamoci che cos’è il populismo e perché è in grado di suscitare tanta approvazione e consenso nonostante, a conti fatti, sul piano materiale abbia restituito o dato poco o nulla a quel popolo del quale si riempie la bocca in continuazione. Non dimentichiamo, però, che, ancor più della teoria, l’ideologia, una volta che le masse se ne sono impossessate, diventa forza materiale.
Cominciamo, intanto, col vedere contro chi questi stanno avendo ragione. Verrebbe da dire l’Europa, e tutto ciò che ha significato, ma sarebbe una risposta troppo generica. Concretamente i populismi stanno avendo ragione di quel modello sociale fondato sulla classe agiata o elite transnazionale il cui progetto strategico era liberarsi delle “società di massa” e, con queste, delle masse stesse. L’utopia, perché a conti fatti di ciò si tratta, di questa elite era inaugurare un corso storico dove la “questione sociale” veniva del tutto rimossa. Un mondo di neoaristocratici globali contornati da una moltitudine di servi territorializzati. Idea non particolarmente originale poiché, a ben vedere, le medesime retoriche erano state appannaggio delle elite del primo Novecento. Tutta la critica, neoaristocratica, che fa da sfondo alla teoria politica e filosofica degli inizi del Novecento mira esattamente a ciò. Il povero Nietzsche, che gli stolti annovereranno tra i precursori del nazismo, in realtà non era altro che il cantore, più fine, acuto e suggestivo, della nuova aristocrazia cosmopolita. Per Nietzsche la nuova classe di dominatori, i ben nati del tempo, i nuovi barbari sono esattamente quella elite borghese che ipotizza di esercitare il suo dominio senza dover in alcun modo tenere a mente la “questione sociale” e tutto ciò che questa si porta appresso. Tradotto in epoca contemporanea Marchionne e non Salvini incarnerebbe al meglio la figura del barbaro dominatore.
Sappiamo che il nazionalsocialismo è stata la risposta reazionaria di massa ai fautori del dominio dell’elite cosmopolita. Il plebeo Rosemberg sostituì l’aristocratico Nietzsche e, in tal modo, la “società di massa” ritornò a essere coprotagonista della realtà politica e sociale. Il che non avvenne dall’oggi al domani. Quel processo per il quale Mosse ha coniato quel folgorante e sintetico nazionalizzazione delle masse è stato il frutto di un brusio che, per quanto inavvertito e invisibile alle elite, ha avvolto la società, non solo in Germania ma anche in Francia e in Italia, sino a porre in campo un ordine discorsivo che faceva del mitologema del volk l’essenza di ogni cosa.
Discorso plebeo, straccione profondamente anti intellettuale, ancorché portato avanti da intellettuali rancorosi che non erano riusciti a farsi spazio tra i circoli della elite, costruito intorno alla idealizzazione del popolo, delle tradizioni, del bel mondo che fu e, soprattutto, attraverso una narrazione in grado di trovare un colpevole alle miserie del presente; questo discorso riuscì a farsi politicamente egemone tanto che, le elite, dovettero ben presto farlo proprio pagando, per quanto minimo, un prezzo alla società di massa. Centrale, in questo processo, è stata proprio la capacità di contrapporre continuamente la bellezza e la bontà del popolo a tutto ciò che gli si mostrava, o così poteva sembrare, estraneo. Il nazionalsocialismo, nella sua irresistibile ascesa, non fece altro che giocare su questi elementi: il popolo e la sua narrazione da un lato, il nemico dall’altro.
Tutto ciò ha a che vedere con quanto dovrebbe andare in scena a breve? La risposta è sì. Non dobbiamo mai dimenticare che, il popolo dei populisti è un popolo immaginato, un popolo che si inventa e reinventa in continuazione e che non ha alcuna connotazione di classe. Essere popolo significa rimarcare una differenza, significa non tanto essere ma soprattutto non essere il nemico. Significa non essere straniero, significa non essere povero, significa, come l’ultimo stupratore di Parma, essere regolare e integrato quindi non sfigato. Significa non essere omosessuale, significa essere credente del Verbo giusto. Significa non essere un “artista di strada”, significa non essere intellettualizzato e colto, significa considerare le donne un “terreno di caccia” e così via. Aggiungerei anche cacciatore ma potrebbe essere una mia forzatura animalista. Il suo essere positivo è sempre giocato attraverso una negazione, non sono come loro. Questo popolo può esistere solo se, dinanzi a sé, riesce a concretizzare l’altro, il nemico. Dentro questo processo siamo immessi. Mercoledì 5 settembre, di tutto ciò, ne rappresenterà un ulteriore passaggio. Loro, il bersaglio, verrà ulteriormente messo a fuoco. Il taser, e il suo possibile utilizzo, diventa così la concretizazione empirica del noi
Rimane da chiedersi: ma tutto questo per cosa? Qual è il progetto che si sta coltivando? Veramente siamo di fronte al risorgere del nazionalismo? Dietro l’angolo c’è la nuova “Marcia su Roma” o l’incendio del Reichstag? Il fascismo è alle porte? Porre le cose in questo modo sarebbe però sbagliato. La storia non si ripete se non altro perché i contesti concreti e materiali non possono ripresentarsi nella stessa maniera. Ciò che, invece, può reiterarsi è una certa “aria di famiglia” ma, sicuramente, al di fuori di un contesto perimetrato intorno al nazionalismo. Oggi, più sensatamente, più che di nazionalizzazione delle masse pare sensato parlare di europeizzazione delle masse. In altre parole ciò che può ipotizzarsi è l’affermazione reazionaria della “società di massa” su scala Europea. Ipotesi eccentrica? Non troppo. È nella natura dell’imperialismo, indipendentemente dai suoi originari intenti, assumere un carattere transnazionale. Lo stesso nazionalsocialismo, in apparenza il massimo del nazionalismo, si ritrovò, strada facendo, a “pensare” in termini di Europa nazionalsocialista. In merito il “testamento politico” di Göring non lascia molti dubbi al proposito. Sulla scia di ciò la destra radicale, già negli anni ’50 del secolo scorso, parlò inequivocabilmente di Europa Nazione, non a caso l’utilizzo della celtica nasce proprio come simbolo Continentale e post – nazionale. Di ciò i populismi più che la continuazione ne rappresentano una filiazione. Ciò che stanno ipotizzando è un’altra idea di Europa, non di Nazione, bensì un Europa imperialista non governata nella logica esclusiva e utopica delle elite ma fondata sulla europeizzazione reazionaria delle masse. Per questo, tornando a taser, sgomberi e dintorni occorre prendere molto sul serio la presunta inazione del Governo. Questo Governo agisce, fin troppo, in direzione della guerra. Il 5 settembre ne incarna una non secondaria tappa.

 

Emilio Quadrelli