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Ostatività, diritto alla salute ed emergenza sanitaria

 

FONTE:Rete Emergenza Carcere (Yairaiha Onlus, Legal Team Italia, Bianca Guidetti Serra, Osservatorio Repressione, Lasciatecientrare)

 

 

Il decreto Cura Italia in materia penitenziaria del governo italiano mentre finge di affrontare il rischio epidemico nelle carceri, in realtà vuole solo abbandonare a se stessa, e al contagio, una parte della popolazione detenuta rinnegando, per l’ennesima volta, i principi costituzionali ed internazionali in materia di diritti umani in nome di una concezione solamente retributiva della pena. Un decreto emergenziale che avrebbe dovuto rendere più facili le scarcerazioni per far fronte al gravissimo rischio di una mortale epidemia nelle carceri mentre, invece, ha introdotto rigidità tali da rendere spesso più favorevoli le norme preesistenti.

Da una parte, in piena emergenza pandemica, limita la possibilità di accedere a misure domiciliari in base al titolo del reato e alla quantità di pena residua; dall’altra lascia alla discrezionalità del singolo magistrato di sorveglianza di decidere sui casi che non rientrano nei parametri, strettissimi, stabiliti dal decreto. Riteniamo, infatti, che precludere a priori la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare ai detenuti in base al titolo del reato, o della quantità di pena residua, sia miope e mette a serio rischio contagio una parte considerevole della popolazione detenuta che presenta diversi fattori di rischio tra cui l’età, le patologie e gli anni di carcerazione pregressi. Anziani, ammalati e detenuti di lungo corso costituiscono la parte più fragile della popolazione detenuta.

Altro elemento che riteniamo essere discriminatorio è la preclusione al beneficio emergenziale per i condannati ai sensi del 4 bis anche se con un residuo di pena inferiore ai 18 mesi. Le preclusioni del 4 bis sono riferite ai benefici penitenziari “ordinari” e non contemplano l’eccezionalità di una pandemia che sta mettendo in ginocchio la popolazione mondiale. Nell’ultimo mese gli appelli indirizzati al presidente Mattarella e al governo si sprecano: abbiamo iniziato dal 4 marzo a chiedere la sospensione della pena per tutti detenuti ammalati ed anziani, non come atto di clemenza, bensì come misura preventiva al fine di evitare il rischio concreto di condanna a morte di queste persone ma, dall’altra parte, abbiamo trovato un muro di gomma.

In questa ultima settimana, anche in base alle numerose segnalazioni ricevute dai familiari e trasmesse alle autorità competenti, abbiamo indirizzato una lettera a tutte le direzioni penitenziarie e sanitarie per conoscere i dati attinenti all’emergenza in atto, quindi i numeri dei soggetti più fragili e maggiormente esposti a rischio contagio, ovvero i portatori di patologie specifiche; le misure di prevenzione adottate, forniture di dispositivi individuali di protezione ecc. ecc..

Pur tuttavia non possiamo restare a guardare in attesa che il governo recepisca le tante sollecitazioni ricevute, ed agisca in virtù dei soli due fattori vitali, posti a tutela delle garanzie costituzionali in questa fase, ovvero: umanizzazione della pena e diritto alla salute in ragione dell’emergenza sanitaria in atto per effetto della diffusione del c.d. ‘ coronavirus’.

Sulla scorta dei principi di umanizzazione della pena, tutelato dall’art. 27 della Costituzione e dall’art. 3 Cedu, e del diritto alla salute, garantito a tutti e tutte dall’art. 32 della Costituzione, ed in deroga al decreto Cura Italia, abbiamo inteso presentare istanze di sospensione della pena in base all’art. 47 dell’OP, anche per i detenuti ostativi. Una di queste istanze, presentata dall’avv. Antonino Campisi del foro di Siracusa per un ergastolano con diverse patologie pregresse e oltre 30 anni di detenzione, è stata accolta favorevolmente dalla magistratura di sorveglianza de L’Aquila che con grande equilibrio, lontano dal becero giustizialismo che va in onda a reti unificate, ha riconosciuto i rischi connessi alla permanenza in carcere di una persona anziana e malata. Molte altre sono in istruttoria presso diversi uffici di sorveglianza e si attendono le decisioni; quello che preoccupa è, ancora una volta, il rischio connesso alla mancanza di una norma che, di contro, avrebbe messo al riparo da decisioni discrezionali affidate alle diverse sensibilità e al potere discrezionale del singolo magistrato.

Oggi è solo grazie ai magistrati di sorveglianza illuminati che si riescono ad ottenere quei diritti che la politica non è in grado di tutelare e salvaguardare, con riforme atte ad accontentare solo quel ristretto elettorato di bandiera e non a garantire il Diritto alla vita di ogni cittadino, soprattutto, di quei cittadini che soffrono in carcere in uno stato di degrado igienico-sanitario e di abbandono.