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DAVIDE LIBERO











Il monitoraggio degli abusi dei poteri di polizia e degli stati di emergenza durante il Coronavirus

 

FONTE:intersezionale.com

 

La pandemia da SARS-CoV-2 ha visto i governi di tutto il mondo impegnarsi, come era naturale aspettarsi, ad introdurre misure straordinarie comprensive della limitazione delle libertà personali, potenziando in maniera imponente i dispositivi di controllo e repressione, il tutto nella cornice della dichiarazione dello “stato di emergenza”

Nonostante il termine “pandemia” in greco significhi “di tutto il popolo”, nei mesi passati e ancora oggi è molto difficile riuscire ad avere una visione globale di quello che sta succedendo. Siamo portati, ancor più in una fase così drammatica, ad informarci, analizzare e “reagire” per appartenenza nazionale.

Se avessimo uno sguardo più attento, riusciremmo a vedere chiaramente come le misure repressive messe in atto dai diversi governi, abbiano logiche e metodologie comuni a tutte le latitudini, sempre nell’ottica di marginalizzare, creare capi espiatori e reprimere il dissenso verso lo status quo.

Covid State Watch, un progetto legato ad un profilo twitter, ha provato a colmare questa lacuna.

Da fine marzo 2020 ha iniziato a “monitorare degli abusi dei poteri di polizia e degli stati di emergenza durante il Coronavirus”.

Sul tweet fissato sul profilo si può leggere: “Il Coronavirus è sia una vera emergenza che una scusa perfetta per una stretta di potere da parte del governo. Gli Stati di tutto il mondo stanno espandendo i poteri della polizia e si affrettano a varare leggi di emergenza.

Covid State Watch tiene traccia dell’uso e dell’abuso di questi nuovi poteri.

Il primo tweet, datato 31 marzo, riportava l’emanazione della “legge speciale” in Ungheria con la quale il parlamento ungherese ha conferito al primo ministro Viktor Orban il diritto di governare per decreto a tempo indeterminato.

In tutti questi mesi hanno raccolto, da tutte le parti del mondo, sia episodi singoli di abusi di polizia che valutazioni sulle leggi messe in campo dai diversi governi nazionali.

Hanno accettato di rispondere a qualche domanda, mettendo a disposizione la loro visione globale sulla questione, data dal lavoro di raccolta e analisi di informazioni provenienti da tutto il mondo che hanno condotto in questi mesi.

-Chi siete e come nasce l’idea del profilo COVID State Watch?

Noi – Rym Khadhraoui e Eda Seyhan – abbiamo creato COVID State Watch in risposta all’introduzione di misure di emergenza e alla rapida espansione dei poteri di polizia durante la pandemia da COVID-19. Siamo entrambi avvocate e attiviste dei diritti umani, con particolare attenzione alla giustizia razziale e alla repressione della polizia.

Più specificamente, entrambe abbiamo lavorato sulle violazioni dei diritti umani durante i recenti stati di emergenza in Francia (Rym) e in Turchia (Eda), quindi sapevamo di prima mano quanto facilmente i poteri di emergenza potessero diventare repressivi e permanenti.

A marzo, ci sono gli stati di emergenza venivano annunciati quasi quotidianamente in tutto il pianeta: attualmente, almeno 92 paesi in tutto il mondo lo hanno dichiarato.

È diventato subito chiaro che i governi stavano adottando un approccio coercitivo, basato sull’utilizzo della polizia, per rispondere alla pandemia, ed eravamo preoccupati che le principali vittime di questo approccio fossero gruppi già emarginati. Così abbiamo istituito COVID State Watch per monitorare, analizzare e comunicare l’uso e l’abuso dei poteri di polizia e di emergenza durante la pandemia COVID-19 in tutto il mondo.

Raccogliamo informazioni da una vasta rete di attivisti locali e da gruppi di responsabilità della polizia, inoltre attraverso il nostro personale monitoraggio delle notizie e dei social media. Comunichiamo le nostre scoperte attraverso il nostro account Twitter, gli articoli dei media e un breve documentario, la cui uscita è prevista per il 2021.

 -Quanto sono state simili le reazioni dei governanti della destra populista, come Orban, Trump, Bolsonaro e Johnson? Orban pare aver dimostrato maggior esperienza: invece che negare la pericolosità del virus, ne ha subito approfittato per farsi dare pieni poteri

E’ importante non sopravvalutare le differenze tra i politici di destra “populisti” e i leader “liberali”. Alcuni governi stanno apertamente strumentalizzando la pandemia per consolidare il loro potere (come nel caso di Orban), mentre altri si impegnano in processi di “bilanciamento” delle libertà civili e della salute pubblica – in ogni caso, assistiamo a una centralizzazione del potere nelle mani dell’esecutivo e delle forze dell’ordine. Abbiamo documentato casi di violenza della polizia scatenata dai regimi di emergenza e l’abuso dei poteri esecutivi in tutto il mondo, anche in paesi con leader cosiddetti “liberaldemocratici”.

La negazione di prove scientifiche da parte di alcuni dei leader citati è una chiara differenza che ha avuto un impatto sulle misure di salute pubblica adottate da questi Paesi, con conseguenze devastanti in termini di perdite di vite umane.

-I media mainstream, almeno in Italia, hanno provato ad imporre una narrazione che raccontava di un virus egualitario, usando una retorica che ci vedeva tutti sulla stessa barca. Sappiamo bene che non è andata così, che -anzi- i signori più ricchi del pianeta sono diventati ancora più ricchi durante la pandemia, mentre milioni di persone hanno perso il lavoro. 

Questa discrepanza, in Italia, l’abbiamo vista anche rispetto ai diritti personali, basti pensare al fatto che i richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza che sono risultati positivi al COVID, sono stati letteralmente deportati su delle “navi quarantena” ancorate in porti lontani centinaia di chilometri rispetto ai centri dove erano ospitati.

Ci sono stati modelli di repressione differenziata per categorie anche in altre parti del mondo, immagino.

Le pandemie sono da sempre sinonimo di rafforzamento delle forme di discriminazione esistenti; alcune persone sono considerate meritevoli della protezione dello Stato, mentre altre sono considerate rischiose, ingiustamente accusate di aver diffuso il virus e, in alcuni casi, di conseguenza, più strettamente sorvegliate.

Abbiamo osservato questo modello in tutto il mondo attraverso il nostro monitoraggio globale: dai richiedenti asilo, alla classe operaia, alle persone di colore, ai gruppi già emarginati e eccessivamente controllati prima della pandemia, sono stati i principali obiettivi delle misure di controllo applicate. In Bulgaria e Slovacchia, gli insediamenti rom sono stati sottoposti a quarantene obbligatorie, applicate attraverso blocchi stradali militari e di polizia, checkpoint e droni con sensori termici.

In India, i funzionari governativi hanno dato la colpa ai musulmani per il virus, che sono stati presi di mira in modo sproporzionato dalla polizia che imponeva le restrizioni previste dal COVID-19. In Sudafrica, i quartieri e le località a basso reddito sono stati i più duramente colpiti dalla brutalità della polizia e dell’esercito. In Francia, in un quartiere popolare alla periferia di Parigi, la polizia ha punito le violazioni delle regole di isolamento con un tasso tre volte superiore a quello del resto del Paese.

La pandemia COVID-19 ha significato per alcune persone, per la prima volta nella loro vita, il coprifuoco, la sorveglianza, la chiusura delle frontiere e l’interazione con la polizia. Per altri – persone che erano già state perseguitate dalla polizia o sottoposte a duri controlli alle frontiere – la pandemia ha solo amplificato la violenza di Stato preesistente.

Questi gruppi stanno anche sperimentando spesso tassi di malattia e di morte più elevati a causa del COVID-19. Il mito di un virus egualitario – che “non discrimina” – è sbagliato sotto due aspetti: sia il virus stesso che la risposta del governo hanno avuto un impatto sproporzionato sui gruppi più marginalizzati.

Purtroppo, ci sono chiari segnali del fatto che la pandemia avrà un impatto duraturo sui poteri coercitivi e repressivi dello Stato. I governi stanno già usando il COVID-19 come scusa per un’ulteriore escalation in termini di “sicurezza” – accelerando il passaggio della legislazione esistente o concedendo nuovi poteri permanenti alle forze dell’ordine.

-Un’altra grande ipocrisia rispetto alle modalità di controllo della diffusione del virus, è stata quella relativa ai compartimenti produttivi: il sindacato degli imprenditori italiani (Confindustria) ha fatto grosse pressioni sul governo affinché fosse possibile tenere aperte tante aziende, anche non legate alla produzione di bisogni primari. Da una parte, si sono fatte concessioni agli imprenditori mettendo a rischio la salute dei lavoratori, dall’altra c’è stata la richiesta di responsabilità ai cittadini privati con la messa in pratica (e un grosso dispendio di soldi pubblici) di dispositivi straordinari di controllo come posti di blocco, elicotteri, tracciamento degli spostamenti.

Abbiamo osservato uno schema simile in tutto il mondo, in quanto i governi danno priorità agli interessi delle aziende rispetto alla salute pubblica. In Brasile, il governo ha classificato l’estrazione mineraria come un’attività essenziale, esponendo sia i lavoratori che le comunità indigene al rischio di contrarre il virus. In Indonesia, la deforestazione è aumentata durante la pandemia: le restrizioni sui viaggi hanno impedito agli attivisti e ai difensori della terra di recarsi in foreste remote, mentre i principali responsabili della deforestazione – le industrie dell’olio di palma e della carta – sono stati autorizzati a continuare ad operare.

A differenza delle multinazionali e delle industrie estrattive, i lavoratori informali, i venditori ambulanti e i piccoli agricoltori – quelli che vivono ai margini del capitalismo globale – sono stati presi di mira dalla polizia che ha fatto rispettare le misure legate allo stato di emergenza. Sono stati gassati con il gas lacrimogeno in Zimbabwe, picchiati in Kenya e imprigionati in gabbie nelle Filippine.

Le imprese non solo ottengono concessioni dai governi nel breve termine, ma sfruttano con successo la crisi del COVID-19 per il loro profitto a lungo termine. In Asia, le fabbriche di abbigliamento stanno usando il COVID-19 come scusa per licenziare i lavoratori sindacalizzati e gli attivisti sindacali – in alcuni casi, assumendo lavoratori non sindacalizzati subito dopo. Diversi stati in India hanno sospeso i diritti fondamentali dei lavoratori in nome del rilancio dell’economia post-COVID-19, con un governo statale che esonera le imprese da quasi tutte le leggi sul lavoro, comprese le norme sulla salute e la sicurezza, per tre anni.

I governi si affannano ad affrontare le seconde ondate della pandemia: appaiono rapidi nel limitare le interazioni con amici e familiari e nel limitare gli eventi sociali e culturali, ma ritardano la chiusura dei luoghi di lavoro non essenziali – come se il virus si fermasse dove inizia il profitto.

-In Italia, nell’universo culturale della sinistra radicale, il dibattito sulla questione della repressione e dell’abuso dello stato di emergenza, si è sviluppato soprattutto prima del lockdown del 9 marzo, partendo da un pezzo di Giorgio Agamben e continuando, ad esempio, con la discussione collettiva sviluppatosi sul blog Giap di Wu Ming. Per il resto, la sensazione è che il movimento negazionista del covid abbia contribuito a minare la discussione sulla violenza della polizia e sull’abuso dello stato d’emergenza. 

A differenza dell’Italia, abbiamo assistito a un dibattito pubblico molto limitato sulla necessità di misure di contrasto e sui pericoli della regola dell’emergenza altrove. L’emergere di un diffuso movimento “cospirazionista” contro l’isolamento ha reso più difficile mettere in discussione e contrastare le risposte repressive messe in atto dai governi, senza che si possa negare la gravità del virus.

Mentre i negazionisti del virus protestano contro le restrizioni per interesse personale (richiedendo di poter andare dal parrucchiere, per esempio) o per il dogma della “sopravvivenza del più forte”, noi protestiamo contro la specifica natura coercitiva e carceraria della risposta del governo in nome della solidarietà e dell’attenzione verso i più emarginati, che sappiamo essere le prime vittime di qualsiasi espansione del potere di polizia.

Purtroppo sembra che, almeno in alcuni Paesi, la sinistra non sia stata molto attiva nel sollevare questi problemi.

Se ci preoccupa l’aumento della criminalizzazione, della carcerazione, della sorveglianza e dei controlli alle frontiere, allora dobbiamo preoccuparci dell’uso di queste stesse tattiche durante una crisi sanitaria mondiale.

Dovremmo usare questa crisi come un’opportunità per chiederci perché la risposta di default dei politici a qualsiasi questione o problema sociale aumenti le responsabilità e il potere delle forze dell’ordine. In breve, dovremmo chiedere test sanitari di massa, non arresti di massa!

-Qual è stato, qual è e quale dovrebbe essere il ruolo del giornalismo per contrastare questi abusi di potere degli stati nazionali? 

Il ruolo del giornalismo, e degli attivisti che svolgono attività giornalistica, è particolarmente importante nei momenti di crisi, come questa pandemia.

Durante gli stati di emergenza, i governi accumulano più potere con meno obblighi di trasparenza e di apertura nel processo decisionale. Inoltre, il diffuso senso di crisi e la paura reale del contagio creano un clima in cui le persone sono meno propense a mettere in discussione i poteri repressivi e discriminatori dello Stato – giornalisti e attivisti, quindi, giocano un ruolo cruciale nel monitorare e sfidare questi poteri.

In particolare, il lavoro di “controllare i controllori” diventa ancora più importante, poiché l’isolamento e il coprifuoco significano meno testimoni di comportamenti illeciti delle forze dell’ordine nelle strade. Gli attivisti nel Regno Unito, in Australia, India e Canada, tra gli altri, hanno deciso di documentare l’attività della polizia durante la pandemia e di sfidare le risposte della polizia.

In questo senso, abbiamo anche appena prodotto un documentario intitolato ‘Two Meters’, che uscirà nel 2021. Il regista, Sacha Biton, vive in un quartiere popolare e di immigrati di Parigi fortemente sorvegliato. Volevamo vigilare sull’applicazione delle regole di COVID-19 filmando fuori dalla finestra ed entro il raggio di 1 km entro il quale era consentito il movimento. Il film è una testimonianza della vita quotidiana, della sorveglianza dello Stato e della polizia durante l’isolamento.

-Il movimento Black Lives Matter che, seppur svincolato dalla cornice della pandemia, ha visto nascere mobilitazioni di supporto in tutto il mondo alla lotta nata negli USA dopo la morte di George Floyd. Al di là di questo, avete raccolto testimonianze di unione internazionale delle lotte contro la repressione messe in atto dagli stati nazionali durante l’emergenza COVID?

No, non abbiamo osservato alcuna collaborazione internazionale nelle lotte contro le risposte repressive alla pandemia. Mentre il movimento americano Black Lives Matter (BLM) ha avuto una stretta connessione con le diverse lotte locali contro il razzismo in molti paesi, la pandemia è un fenomeno molto più recente, il che può essere la ragione della limitata connessione tra le campagne a livello globale.

La rinascita del movimento BLM ha portato molte persone a riconsiderare il ruolo della polizia nelle nostre società, questo può avere un impatto positivo sul dibattito pubblico relativamente alle risposte per contrastare la diffusione del virus.

Sempre più persone ora parlano e credono in un mondo con meno polizia. Speriamo che sia la pandemia che il movimento BLM incoraggino un maggior numero di persone a mettere in discussione un sistema che investe così tanto nella criminalizzazione, nella coercizione e nel controllo e così poco nella salute, nella protezione e nell’assistenza.

 

Roberto Viviani