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“Così Marina e Guardia costiera hanno lasciato annegare sessanta bambini”

 

FONTE:Today

 

L’11 ottobre 2013 un naufragio a sud di Lampedusa portò alla morte 268 profughi tra i quali sessanta bimbi. Il Tribunale di Roma ha ritenuto colpevoli gli ufficiali Licciardi e Manna che rifiutarono di soccorrere il barcone e nascosero la posizione.

 

Il Tribunale di Roma ha depositato le motivazioni della sentenza per il naufragio dei bambini, avvenuto a sud di Lampedusa alle 17.07 dell’11 ottobre 2013. La presidente della seconda sezione penale Anna Maria Pazienza e i giudici Maria Concetta Giannitti e Chiara Bocola hanno concluso che la Marina e la Guardia costiera sono colpevoli per l’omissione dolosa dei soccorsi e che la loro decisione di non intervenire ha contribuito al pesante bilancio: 268 morti, quasi tutti profughi siriani in fuga dai bombardamenti di Aleppo, tra i quali sessanta bimbi, sui cento minori a bordo di un peschereccio partito la sera prima dalla Libia. Gli imputati, il capitano di vascello Leopoldo Manna, 61 anni, e il capitano di fregata Luca Licciardi, 52 anni, hanno evitato la condanna per la prescrizione dei reati contestati. Ma lo Stato rischia ora di dover risarcire danni per milioni ai familiari delle vittime. Il processo ha avuto origine dal film-documentario “Un unico destino” trasmesso da Sky nell’autunno 2017 e prodotto dal canale satellitare con L’Espresso, la Repubblica e 42° Parallelo. E anche dalle indagini difensive degli avvocati Alessandra Ballerini di Genova e Emiliano Benzi di Roma. Dopo questo disastro, il governo italiano decise di dare il via all’operazione di soccorso Mare nostrum.

Il pattugliatore Libra della Marina era fin dal primo pomeriggio a un’ora di navigazione dal barcone che stava affondando. Ma alla comandante Catia Pellegrino, non imputata, venne dato l’ordine di allontanarsi dal punto e di andare a nascondersi a sud. “La dolosa omissione – scrivono i giudici – ha comportato la morte dei migranti e dunque sussistono gli elementi costitutivi di tutti i reati ascritti che, dato il tempo trascorso, sono estinti per intervenuta prescrizione”. Cioè i reati di omicidio colposo e rifiuto di atti di ufficio. Il capitano di vascello Manna all’epoca dei fatti era capo della centrale operativa del comando generale delle capitanerie di porto, con compiti di coordinamento della Guardia costiera. Il capitano di fregata Licciardi era invece il capo della sezione operazioni correnti del Cincnav, il comando della squadra navale della Marina. “La normativa – aggiungono i giudici – imponeva al comandante Manna di intimare formalmente la messa a disposizione di nave Libra, da dirigere tempestivamente in soccorso dei migranti, assumendo la doverosa iniziativa che conseguiva al fax maltese delle ore 16.22, ovvero chiedere al comando in capo della squadra navale di impartire il relativo ordine”.

La collaborazione negata

“Orbene – continuano i magistrati – il Manna ha omesso di richiedere il concorso del mezzo navale della Marina militare corrispondente alla sigla P402, sebbene ve ne fosse la necessità… Pertanto, qualora la doverosa iniziativa del Manna fosse stata intrapresa, come le ragioni di sicurezza pubblica imponevano, sarebbe stato a sua volta l’organismo di comando della Marina militare a dover ottemperare – disponendo il cambio di missione della nave da guerra, da inviare in soccorso del natante – ovvero a disattendere, assumendosene le relative responsabilità”.
I naufraghi in mare dopo il ribaltamento del loro peschereccio (foto Forze Armate di Malta)-3

I naufraghi in mare dopo il ribaltamento del loro peschereccio (foto Forze Armate di Malta)

“In tal senso va intesa la richiesta (omessa) che il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto avrebbe dovuto rivolgere al Comando in capo della squadra navale (precisamente al caposezione operazioni correnti Licciardi e per suo tramite alla centrale operativa aeronavale), essendo l’organo di raccordo deputato a concorrere alle operazioni di ricerca e soccorso coordinate dall’omologo maltese per assicurare la collaborazione a livello internazionale, prevista in primis dalla Convenzione di Amburgo, e al quale era stata comunicata la necessità di inviare nave Libra…”.

Il Tribunale ricostruisce i fatti di tutto quel tragico pomeriggio: “Dall’istruttoria dibattimentale, è emerso che le interlocuzioni di IMRCC (la centrale operativa della Guardia costiera italiana) con l’omologo maltese erano tese fin dalle ore 15.08 a non disvelare la posizione del Libra, per non dover intervenire su input dell’autorità. Difatti, Malta verrà a conoscenza dell’esatta distanza dal natante del Libra soltanto grazie al diretto avvistamento ad opera dell’aereo ricognitore condotto dal maggiore Abela, ovvero appena prima delle ore 16.22 e dopo vari espedienti posti in essere dagli imputati per eludere l’eventualità di un coinvolgimento della flotta italiana nelle operazioni. Di siffatto intento elusivo danno conto i contatti finalizzati a ribadire alle autorità maltesi di dover provvedere autonomamente”. Lo stesso vale “per le reticenze volte a schermare la nave Libra (“Non gli abbiamo dato la posizione… niente”, telefonata alle ore 15.12 tra Butera della Marina e Torturo della Guardia costiera)… Che la mancata indicazione della posizione fosse una precisa scelta operata dalla centrale operativa delle Capitanerie e in particolare dal Manna, cioè che vi fosse stata una vera e propria consapevole omissione nell’indicazione a Malta della presenza e della posizione di questa unità (Libra)… è una certezza suffragata oggettivamente dalla sopracitata telefonata delle ore 15.12″ tra la Guardia costiera e la Marina militare.

Lo scaricabarile con Malta

Non meno gravi, secondo i giudici, sono le responsabilità della Marina militare. “Lo scambio di informazioni tra capitaneria di porto e Marina – spiegano nelle motivazioni – non avveniva unicamente tramite canali ufficiali e gli stessi Manna-Licciardi erano in continuo contatto sui rispettivi apparecchi cellulari, come da loro stessi riferito, sì da potersi confrontare direttamente sulle forze militari presenti e disponibili nell’area… Altrettanto evidente è l’operato del Licciardi, mirato a eludere l’eventualità di un coinvolgimento delle unità navali della Marina, impartendo ordini atti a denotare come fosse perfettamente conscio che il Libra, proprio per la sua posizione, rischiava di imporre un intervento soccorritore che era intenzionato a evitare… Viceversa Licciardi interveniva direttamente alle ore 13.34 per approntare l’opposta strategia messa in atto con l’ufficiale superiore di servizio del centro operativo aeronavale, improntata all’inerzia elusiva”.
I soccorsi della motovedetta maltese ai sopravvissuti al naufragio dell'11 ottobre 2013-2

I soccorsi della motovedetta maltese ai sopravvissuti al naufragio dell’11 ottobre 2013

Da questa analisi, i magistrati confermano che la condotta dei due alti ufficiali non sia frutto di un errore, ma di una scelta deliberata: “Le iniziative degli imputati – aggiungono infatti – non possono intendersi altrimenti, se non come manovre intenzionalmente mirate a eludere un possibile coinvolgimento nell’evento fin dalle ore 13.34, reiterate nonostante giungesse notizia alle ore 13.47 dello scafo alla deriva che imbarcava acqua”. I giudici lo definiscono “un doloso attendismo”. E anche quando, dopo le 16, il comandante dell’aereo ricognitore maltese segnala che il peschereccio è sovraccarico e molto instabile e Malta chiede l’impiego immediato del pattugliatore italiano, “il comandante Manna, piuttosto, fa telefonare ai maltesi per soprassedere sull’impiego del Libra”.

“Hanno visto i figli morire”

Il Tribunale dimostra così che l’ordine d’intervento, che poteva essere dato già alle 13.34, viene diramato a Catia Pellegrino, comandante di nave Libra, soltanto alle 17.14. E il pattugliatore italiano arriverà nell’area del naufragio alle 18.07. Preceduto addirittura di venti minuti dalla motovedetta maltese P61, partita da quasi cento miglia di distanza. “Orbene, ne discende che il ribaltamento del barcone – concludono le motivazioni – sarebbe stato certamente scongiurato se Manna-Licciardi, secondo le rispettive posizioni di garanzia e attribuzioni, avessero prudenzialmente assicurato fin dalle ore 13.47 l’avvicinamento di nave Libra al barcone, danneggiato e che imbarcava acqua. L’uno richiedendo il comando e l’altro impartendo l’ordine… Nondimeno, il tragico bilancio finale di dispersi e cadaveri (deceduti per annegamento, senza ferite da taglio/fuoco/corpo contundente) sarebbe stato assolutamente contenuto se l’ordine di dirigersi alla massima velocità fosse stato dato dal Licciardi non appena saputo del fax maltese… e non alle 17.14, poiché avrebbe permesso a nave Libra di giungere sul posto circa quaranta minuti prima… Infatti Manna e Licciardi, pur avendo percepito il pericolo che consentiva di prospettarsi le conseguenze infauste verificatesi, omettevano rispettivamente di richiedere e di ordinare il convergere del Libra”.

I nove avvocati, che hanno assistito le famiglie delle vittime, hanno rilasciato in serata una dichiarazione congiunta per ricordare l’importanza di questa sentenza, anche per quanto sta accadendo oggi nel Mediterraneo: “I nostri assistiti che in mare, nelle cinque ore in cui hanno atteso invano i soccorsi, hanno visto annegare i loro congiunti e in molti casi i loro bimbi ed essi stessi hanno rischiato la vita, ci hanno sempre chiesto di fare in modo che quanto accaduto non si ripetesse e per questo hanno affrontato anche l’agonia di questo lungo processo. Oggi possiamo sperare che questa decisione ricordi a tutti i doveri convenzionali e legislativi in capo a chi fa e gestisce il soccorso in mare. La decisione del Tribunale di Roma non riguarda solo fatti passati, ma riguarda anche quelli odierni e futuri: le vite umane in mare vanno sempre salvate e nessun ordine o convenienza può sopprimere questo inderogabile dovere”.

 

Fabrizio Gatti