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Brizzi: "Gli ultras, questi sconosciuti"

 

ROMA - Enrico Brizzi, classe ‘74, scrittore (dal Jack Frusciante è uscito dal gruppo del ’94 a Il pellegrino dalle braccia di inchiostro di quest’anno), tifoso da curva (soprattutto dell’Andrea Costa, allo stadio Dall’Ara di Bologna). Conosce gli ultras e il loro mondo e risponde alle domande di Diregiovani su quanto sta succedendo dopo la morte di Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso domenica scorsa da un poliziotto della Stradale in un’area di servizio vicino ad Arezzo.
-Brizzi, per gli ultras che hanno scatenato gli incidenti di domenica dopo la morte del tifoso laziale si ipotizza il reato di terrorismo: che ne pensi? Hanno assaltato due caserme a Roma, ci vedi un progetto eversivo contro lo Stato?
"I gravissimi incidenti di Roma non hanno precedenti nella storia dei "ragazzi da stadio" italiani, ma credo vadano inquadrati nell’ambito di una giornata dalle tinte tragiche: la tensione già alta fra tifoserie militanti e forze dell’ordine è letteralmente detonata nel corso di 12 ore in cui non si è raccontata in maniera trasparente la verità sulla fine del povero Sandri. Purtroppo credo che la vaghezza in conferenza stampa del Questore di Arezzo(vietate le domande ai giornalisti, fra l’altro), così come la decisione di non interrompere il campionato, siano stati errori fatali nella gestione dell’emergenza. A questo modo decine di migliaia di tifosi si sono sentiti colpiti nel vivo. Quanto all’accusa di terrorismo, sembra incredibile vederla accostata a una realtà tradizionalmente "spontaneista". Se poi si proverà che esiste una "cupola ultras" a Roma o altrove in Italia che mira alla sovversione dello Stato, ammetterò il mio errore di valutazione. Personalmente, l’accusa di terrorismo mi sembra una grave esagerazione giudiziaria".
-Ti convince la tesi della politicizzazione delle curve, con l’estrema destra che sembra prevalere?
"Ogni curva ha la propria storia, il proprio stile e i propri equilibri interni ed esterni. Sono mondi complessi, dove trovi fianco a fianco il giovane notaio, l’impiegato, l’operaio e il disoccupato cronico, l’allegria e la balordaggine, l’amicizia e la paura. C’è stata negli ultimi anni, è vero, un’ "offensiva di visibilità" della destra estrema negli stadi, ma non su tutte le piazze e con modalità molto diverse da città a città, talvolta puramente folkloristiche. Quello che i media non accettano è che la politica non è il vero collante di una curva, o delle curve fra di loro. Fino a quando non indagheranno senza pregiudizi il concetto di "rispetto", fino a quando non accetteranno che una gradinata fitta di (più o meno) giovani maschi italiani è un posto complicato, continueranno a capirci poco. Ma forse preferiscono così. Nei salotti è più facile dipingere gli ultras come bestie rare e pericolose, anziché accettare che sono uno spaccato della società italiana".
-Hai frequentato la curva (a Bologna) e le curve (in trasferta): chi sono per te gli ultras?
"La parte più irrequieta, tradizionalista e passionale dei ragazzi italiani. In ogni caso ragazzi in carne ed ossa, mio cugino o il vostro, non mostri senza volto giunti da un passato remoto per massacrarci tutti mentre mangiamo i nostri "quattro salti in padella" in ciabatte davanti alla televisione, come crede forse Bruno Vespa".
-Poliziotti e carabinieri, le "guardie", sono un nemico: non lo trovi assurdo?
"È una contrapposizione stucchevole che non fa bene a nessuno. Ma anche se fa male dirlo, non sono sempre i tifosi ad attaccare briga. Di sicuro, la non identificabilità degli agenti impegnati nell’ordine pubblico non è un buon principio. Che paghi chi sbaglia in quanto cittadino, non come ultras o poliziotto".
-I ragazzi che frequentano le curve, ti sembrano cambiati negli ultimi 10 anni? E se sì, come?
"Anche qui, ogni curva meriterebbe un discorso a se’. In generale la politica repressiva dei DASPO ha portato allo scioglimento dei grandi gruppi storici, favorendo il sorgere di "crew" poco numerose che viaggiano senza dare nell’occhio. Come tifoso può essere assai comodo, perché ti evita ore di attesa e controlli già nella città di partenza, ma non credo sia una soluzione sensata per prevenire gli incidenti".