NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

laboratoridirepressione

SPEZIALELIBERO

DAVIDE LIBERO











DA TERAMO A MESSINA: L’ARTE SI RIPRENDE LE CITTÀ!

 

fonte:teatrovalleoccupato.it

 

In questo momento, i Lavoratori dello spettacolo del Nuovo Teatro di Teramo sono all’interno dei locali della ex-Oviesse nel centro storico di Teramo. Hanno occupato per porre la questione dell’accesso alla cultura e del diritto collettivo alla città, rivendicando la natura di bene comune dell’ennesimo spazio culturale pubblico, sottratto alla cittadinanza e destinato al profitto commerciale privato. Hanno occupato con il supporto del Teatro Valle Occupato e della rete degli spazi culturali occupati che da sud a nord attraversano tutta la penisola.
In questo stesso isolato, sorgeva un teatro progettato da Nicola Mezucelli, cittadino di Teramo, che fu inaugurato nel 1858 con Il ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Un teatro classico con tre ordini di palchetti e – a quanto si ricordi – un’acustica perfetta, con un enorme spazio a disposizione, sia a piano terra, sia negli enormi locali sotterranei che corrono oltre l’edificio sotto un intero ulteriore isolato, che ospitava i laboratori delle manovalanze, e che permetteva di produrre un intero spettacolo in loco, dalla scrittura alla messa in scena. Durante il sacco degli anni Sessanta fu demolito per far posto ad un edificio con la stessa architettura aberrante del villaggio olimpico del Flaminio, sorto per le olimpiadi di Roma del 1960.
La parte superiore dell’edificio rimase destinata a cineteatro con circa 800 posti a sedere, mentre la parte inferiore fu alienata alla popolazione teramana e ridotta al commercio del supermercato della Standa, poi Oviesse. C’è anche una famosa foto di Pier Paolo Pasolini, che ad oggi sembra morto cinquecento anni fa, che cammina proprio in quel corso, con sullo sfondo l’insegna luminosa di quella Standa.
Fino al momento in cui siamo entrati in quei locali abbandonati dalla Oviesse, per restituirli alla cittadinanza, un crogiolo di interessi familiaristici ha tenuto in scacco con i consueti sotterfugi e le solite sgradevoli logiche di scambio un luogo deputato da centocinquantantasei anni alla creazione e divulgazione artistica. Da 48 ore la polizia impedisce l’ingresso delle centinaia di cittadini accorsi dopo l’occupazione, identificando chiunque si avvicini e minacciando il fermo in Questura: in una situazione paradossale e intimidatoria, l’assemblea si è svolta con i partecipanti divisi tra l’interno e l’esterno. In mezzo, le saracinesche tenute abbassate a forza dai poliziotti. Almeno, avranno ascoltato un po’ di cose belle. Inizia il concerto. Musicisti suonano da dietro le saracinesche. Almeno, avranno ascoltato un po’ di note. Quelle, non possono fermarle.
Chi ha occupato l’ex Oviesse ha idee, progetti: vuol farne uno spazio di sperimentazione e di creazione per artisti, un luogo di formazione e incontro per la città. Chi ha occupato, possiede anche i saperi e la passione necessari per realizzare queste idee e questi progetti.

All’alba di domenica, ancora in festa per l’occupazione di Teramo, è arrivata la notizia dello sgombero del Teatro Pinelli Occupato di Messina: sgomberato a febbraio dello scorso anno, era diventato esperienza nomade e itinerante nella città per rioccupare poi lo spazio attuale.
Uno sgombero arrogante, frutto di un conflitto tra poteri: tra il prefetto e il questore; tra la Regione e la giunta guidata da Accorinti, sindaco molto vicino ai movimenti. L’attività del Teatro Pinelli Occupato in questi mesi ha coniugato diversi piani, ottenendo il sostegno attivo dela cittadinanza, in un territorio fortemente segnato da un intreccio indissolubile tra criminalità organizzata e poteri forti: dalla proposta artistica e culturale a laboratori permanenti di formazione, dal lavoro con i migranti alla strettissima relazione con il Movimento No Muos fino alle occupazioni di case per il diritto all’abitare. Questa attività e questa capacità di costruire connessioni tra lotte diverse fanno paura. Oltre allo sgombero di domenica mattina, le forme di repressione sono continue e molto mirate: identificazioni, perquisizioni, denunce plurime contro gli attivisti che lavorano su tutti questi fronti di lotta.
Ma la reazione allo sgombero è stata immediata e fortissima, anche da un punto di vista simbolico: in serata la comunità di artisti, precari della cultura, migranti e cittadin* ha occupato il Teatro Vittorio Emanuele, il teatro più importante della città: stagione soppressa da due giorni e rischio chiusura per il taglio dei finanziamenti da parte della Regione.


Da più di due anni come artisti e lavorat* dell’arte e dello spettacolo stiamo provando a trasformare la cultura in un terreno di lotta e spazio di soggettivazione, coinvolgendo altri precari, studenti, ricercatori, cittadini.
Una pluralità di pratiche e esperienze che parla voci diverse e utilizza parole comuni: commons, autogoverno, accesso alla cultura, diritto alla città, democrazia diretta, mutualismo, riappropriazione di risorse e di strumenti, decisionalità diffusa.
Non occupiamo più solo spazi. Occupiamo l’indifferenza, occupiamo i viali di provincia. Occupiamo e disturbiamo le menti della gente. Occupiamo il vuoto culturale e riaccendiamo le città con parti vive.