NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

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DAVIDE LIBERO











OGGI, SETTE ANNI FA!

 

TRATTO DA "NON C'E' FEDE SENZA LOTTA" N°29

 

La data di oggi non è una data qualunque, per il nostro movimento, sia a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello cittadino.
Il 2/2/2007 allo stadio Cibali di Catania c’è il derby con il Palermo. Prima della partita fuori dallo stadio ci sono pesanti scontri tra la tifoseria locale e le forze dell’ordine; nella concitazione degli stessi muore l’ispettore di polizia Raciti.
E siccome ieri, come oggi, (impegniamoci perché non sia così per sempre) quando muore un poliziotto si trova un colpevole anche se non c’è e, al contrario, se un semplice cittadino crepa per mano di un poliziotto, i colpevoli non esistono anche se ci sono - ma questa è un'altra storia! - il colpevole, o meglio il capro espiatorio, in questo caso fu trovato in Antonino Speziale, un ragazzo, allora diciassettenne, che secondo la ricostruzione fatta dalla polizia aveva colpito l’agente con un lavabo. Speziale è stato condannato in via definitiva a 8 anni, nonostante in questi anni, un'altra versione dei fatti, testimoniata da un altro agente (che poi guarda caso non ha più parlato) con tanto di documentazioni fotografiche e video, riferisse del fatto che il Raciti stesso fosse deceduto perché investito da un mezzo della Polizia, nello specifico, da un fuoristrada Discovery in retromarcia, mentre lo stesso mezzo effettuava una manovra. Questa ricostruzione è stata volutamente e ripetutamente non presa in considerazione, nonostante la caparbietà dei legali di Speziale a farla venire a galla in ambito processuale, dai vari organi preposti ad accertare i fatti di quella sera, quali tribunali e corti d’appello e lo Stato stesso ha preso la palla al balzo per fare di Raciti un martire e sfruttare la solita puttanata della violenza da imboccare al popolino a cena davanti ai tg, per giustificare quello che in realtà altro non era che il piano di eliminazione definitiva dello scomodo movimento Ultras. Un movimento schierato da anni contro quel sistema-calcio, ormai seconda industria del Paese, dopo la mafia, che aveva bisogno di togliere di mezzo gli Ultras, con le loro scomode istanze e gli strumenti che caratterizzavano il loro mondo: quegli striscioni, bandiere, coreografie e quell’attaccamento che poco aveva a che fare con la loro idea di trasformazione di questo sport popolare in una macchina da soldi. Bisognava eliminare chi continuava a vivere lo stadio con passione, per favorire una crescente idea di tifoso-cliente. Maggiori difficoltà ad andare allo stadio, maggiori difficoltà ad esprimersi con gli strumenti che da sempre rappresentano il vero spettacolo intorno ad un campo di calcio, maggiori clienti davanti alle tv, consumatori sopiti e silenziosi del nuovo prodotto-calcio. Con queste premesse lo Stato Italiano, il 30 marzo di quello stesso anno, fece entrare in vigore il famigerato Decreto Amato che, di fatto ha bandito l’esposizione di striscioni senza previa autorizzazione della questura, l’utilizzo di strumenti di tifo quali tamburi, megafoni e bandiere, ha posto in essere l’obbligo del biglietto nominale per tutte le gare professionistiche e, da quel decreto, è nato anche il progetto “Tessera del Tifoso”, poi applicato da Maroni. Diventa facile decifrare la volontà di annientare il nostro mondo, di colpire il movimento una volta per tutte e che la violenza, ancora una volta, è stata la scusa per cucire la bocca a tutti. Tale Decreto, inoltre, presenta gravissime violazioni costituzionali, prima fra tutte la libertà di espressione e di pensiero, creando un pericolosissimo precedente che mina le basi di diritti inviolabili in un Paese che si dichiara civile e democratico e questo non siamo noi a dirlo ma giuristi nazionali e internazionali. Ovviamente, questo stato di cose indebolì irreparabilmente il movimento, creando uno spartiacque, come mai nella storia, tra quelle tifoserie alimentate solo da effimeri interessi e quelle che invece avevano ancora importanti valori da esprimere. Nella nostra piccola realtà fu intrapresa, come forma di protesta, la volontà di rimanere fuori i settori, senza barattare la nostra libertà: non avevamo mai chiesto il permesso a nessuno, non avremmo iniziato nel 2007. La nostra protesta fu dura, il tempo ci avrebbe visti sconfitti, perché oggi siamo qui dentro senza che nulla sia cambiato ma possiamo dire, a differenza di tanti altri, di aver perso non senza aver combattuto, di aver rinunciato a qualcosa ma di non aver piegato la testa. Continuiamo a vedere quel decreto applicato nel nostro stadio dopo tanti anni come in pochi altri stadi, perché non siamo scesi a compromessi, consapevoli di aver salvaguardato la nostra dignità, mentre chi aveva numeri e forza per cambiare qualcosa colorava i propri settori faxando gli striscioni e le coreografie alle questure. Siamo uno sputo di fronte a un nemico tanto più grande, ma siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto, perfino delle sconfitte, che non sono mai state rese, ma frutto di battaglie vere e profonde che continuiamo a portare avanti per difendere sempre quello che siamo, senza se e senza ma.