NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

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DAVIDE LIBERO











NEL TEMPO PASSATO POCO E’ CAMBIATO... UNA FAMIGLIA REPRESSA E UN RAGAZZO AMMAZZATO: LA FACCIA DELLA DEMOCRAZIA IN UNO STATO DI POLIZIA.

 

TRATTO DA "NON C'E' FEDE SENZA LOTTA" N°30

 

Ieri a Ferrara si è tenuta la manifestazione intitolata “Via la divisa” per chiedere che chi ha ucciso Federico Aldrovandi non indossi più la divisa. I poliziotti che hanno ucciso Federico sono infatti tornati a lavorare in polizia come se nulla fosse. Non siamo giustizialisti, quello che vogliamo è invitare tutti a riflettere in quale paradossale e assurda situazione si sia arrivati. Questi quattro soggetti condannati a 3 anni e 6 mesi per “eccesso colposo in omicidio colposo”, dopo aver beneficiato dell’indulto per 3 anni e aver scontato solo 6 mesi, stanno tornando a lavorare, a svolgere il ruolo di poliziotti, torneranno nelle strade con i manganelli e le pistole e anche se magari verranno messi in un ufficio rimarranno comunque poliziotti, con tutto il “potere” che quel distintivo dà. Tutto questo si è reso possibile perché i 4 non sono stati mai destituiti dalla Polizia, ma semplicemente sospesi nei 6 mesi nei quali stavano scontando la pena. Ripetiamo, non saremo noi a dire quale sia la pena giusta, non siamo giustizialisti, non saremo neanche qui ad elencarvi quello che paghiamo per molto meno sulla nostra pelle, semplicemente perché difendiamo il nostro modo di essere, non siamo stupiti neanche più di tanto, del resto, quando una madre, la signora Patrizia Moretti, chiede spiegazioni ai vertici della polizia sul perché i 4 assassini del figlio stanno per tornare a lavorare e gli viene risposto che - ai sensi di legge - non sono “diretti interessati”, non c’è da aggiungere nulla. Ormai non ci stupiamo più di nulla e se continuiamo a scrivere ed a parlare di queste cose, a cercare d’informare, è solo perché crediamo ancora che le cose si possono cambiare solo con una reale presa di coscienza dal basso. Questa storia, come tante altre, la storia di Federico Aldrovandi, quello che lui ha subito quella mattina del 25 settembre 2005, la sua morte e tutto quello che la sua famiglia ha dovuto sopportare in questi anni, i depistaggi, le pene irrisorie, altro non ci dicono che lo Stato, nell’amministrazione della giustizia, da un peso diverso alle cose che avvengono sul proprio territorio e capiamo che la vita di un diciottenne ammazzato da 4 invasati in divisa non vale niente e che se non fosse stato per la caparbietà della famiglia, probabilmente, non ne avrebbe mai sentito parlare nessuno. Capiamo che per lo Stato Italiano la vita di un diciottenne vale meno di un blindato bruciato, vale meno di una torcia allo stadio, vale meno di una scazzottata, vale meno dell’impunità dei propri cani da guardia. Ripetiamo tutto questo non ci stupisce - lo conosciamo, lo viviamo - ma se siamo qui a scrivervi è perché crediamo che solo con un opera di controinformazione si può creare una piccola rivoluzione che parte dalle coscienze di ognuno e dalla capacità di guardare le cose senza farsele raccontare.