NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

laboratoridirepressione

SPEZIALELIBERO

DAVIDE LIBERO











Per la “macelleria messicana” alla scuola Diaz sospesione di pochi mesi per gli agenti condannati

 

Fonte: il manifesto

 

La “macelleria messica” alla scuola Diaz di Genova, a conclusione delle tragiche giornate del luglio 2001, quella definita da tutti come la più grande violazione dei diritti uman dalla seconda guerra mondiale costa solo pochi mesi di sospensione i funzionari di polizia responsabili.
Due anni dopo la sen­tenza di Cas­sa­zione che aveva con­dan­nato, salvo per i reati caduti in pre­scri­zione, i poli­ziotti respon­sa­bili della «macel­le­ria mes­si­cana» alla scuola Diaz di Genova, nel luglio del 2001, in occa­sione del G8, la com­mis­sione disci­pli­nare della corte d’Appello del capo­luogo ligure, ha sta­bi­lito una sospen­sione per una tren­tina dei poli­ziotti con­dan­nati o respon­sa­bili di reati durante il G8 genovese.
Sospen­sioni da tre a sei mesi, a seconda del «grado di respon­sa­bi­lità», una baz­zec­cola, per i fun­zio­nari che, aventi il ruolo di poli­zia giu­di­zia­ria, hanno anche orga­niz­zato e attuato l’attacco alle per­sone all’interno della scuola Diaz di Genova.
Pro­prio la spe­ci­fi­cità del ruolo di «poli­zia giu­di­zia­ria» ha per­messo di evi­tare la sospen­sione all’ex capo dello Sco Fran­ce­sco Grat­teri e all’ex vice­capo dell’Ucigos Gio­vanni Luperi (entrambi con­dan­nati a 4 anni di reclu­sione). Esclusi anche tutti quelli che nel frat­tempo sono andati in pen­sione, com­preso l’ex capo del VII nucleo del reparto mobile di Roma Vin­cenzo Can­te­rini, i cui uomini, «i Can­te­rini boys», fecero mate­rial­mente l’irruzione nella scuola Diaz, orga­niz­zata per sco­vare fan­to­ma­tici black bloc nella sede dive­nuta media cen­ter durante il G8. La com­mis­sione di disci­plina che ha sta­bi­lito le sospen­sioni, è com­po­sta da due magi­strati e da un fun­zio­na­rio del Viminale.
Si tratta di una nuova, enne­sima e forse con­clu­siva, tappa giu­di­zia­ria degli eventi del G8 di Genova, nel luglio del 2001. Al cen­tro delle vicende giu­di­zia­rie post ver­tice, negli anni, ci sono stati tre pro­ce­di­menti prin­ci­pali: il primo con­tro i mani­fe­stanti accu­sati di «deva­sta­zione e sac­cheg­gio»; un reato che non veniva uti­liz­zato dall’epoca post seconda guerra mon­diale e che dal G8 in avanti è diven­tato il gri­mal­dello giu­di­zia­rio con­tro ogni movi­mento sociale; il secondo pro­ce­di­mento era con­tro i fun­zio­nari di poli­zia respon­sa­bili dell’irruzione e dei pestaggi alla scuola Diaz.
Non solo vio­lenze, per­ché tra i reati di cui furono accu­sati i poli­ziotti — com­presa tutta la catena di comando fati­co­sa­mente rico­struita dai pm, a causa della poca col­la­bo­ra­zione delle forze dell’ordine — ci fu anche il falso e la calun­nia, a causa del ritro­va­mento nella scuola Diaz, delle due bot­ti­glie molo­tov (false, per­ché tro­vate nei giorni prima nei pressi di corso Ita­lia) da cui nac­quero tutta una serie di altri prov­ve­di­menti, nei quali venne tirato den­tro anche l’ex capo della poli­zia Gianni de Gen­naro (accu­sato di inci­tare alla falsa testi­mo­nianza durante i processi).
Infine il terzo pro­ce­di­mento prin­ci­pale, quello rela­tivo alle vio­lenze e alla tor­ture subite dai ragazzi e dalle ragazze arre­state e por­tate nel com­plesso della caserma di Bol­za­neto (tra i con­dan­nati ci sono anche medici). Dal 2001 molti altri pro­ce­di­menti sono stati svolti, su fatti di strada, sin­gole denunce, men­tre è man­cato il pro­cesso che avrebbe dovuto fare luce sull’evento più tra­gico di quelle gior­nate, vale a dire l’omicidio di Carlo Giu­liani in piazza Ali­monda, giunto al ter­mine di una dina­mica di scon­tri, comin­ciata con una carica dei cara­bi­nieri ad un cor­teo autorizzato.
Tutti i fun­zio­nari di poli­zia con­dan­nati per i fatti del G8 sono stati inter­detti dai pub­blici uffici per 5 anni, ma que­sta deci­sione della corte d’appello di Genova costi­tui­sce la prima vera e pro­pria san­zione «interna» nei loro confronti.

 

Joseph Giles