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DASPO DI GRUPPO: LEALTÀ NON È SINONIMO DI OMERTÀ

 

FONTE:sportpeople

 

Il fatto che questo Paese sia particolarmente rinomato per l’eccentrica attitudine giurisprudenziale di diramare tutto e il suo esatto contrario, non stupisce più. Da “eminenti” esponenti della classe dirigente e di quella politica implicati in peculato, concussione, corruzione, spese pazze ed affini, ad un condannato a sette anni per frode fiscale che occupa il proprio tempo vacante nello svago di redigere una nuova Costituzione ed addirittura di abrogare l’attuale impalcatura giustiziale.
“Il teatro dell’assurdo”, parafrasando Martin Esslin, ove ogni singolo gesto dipende da chi si accolli la sua paternità, perché da unità attiva dell’Emiciclo parlamentare o della casta burocratica ci si può ergere a docenti dell’etica morale, seppur da fedifraghi, fraudolenti e non probi servitori dello Stato.
Se però malauguratamente non si dovesse essere parte integrante di queste elitarie frange e si fosse direttamente implicati nelle dinamiche della società civile, allora a prescindere si verrebbe additati come gli eversivi, i fulcri del caos, gli elementi isolati, i dati sporadici. Tutto ciò infischiandosene dell’evidenza che i non omologati siano la risposta al perbenismo odierno e alle menzogne quotidiane, che tentano costantemente di ottenebrare le menti ed indurle a condividere l’assurdo.
Ed ecco a puntino congegnata un’ennesima boiata, degna (se non peggio) dell’improponibile discriminazione territoriale: il DASPO di gruppo. Non una semplice sanzione, ma un vero e proprio processo alle intenzioni sulla base di una colpa che, probabilmente, potrebbe addirittura non sussistere.
Il meccanismo è elementare ed è stato testato nella tratta tra Frosinone e Bari nel fine settimana appena trascorso, in cui appunto i tifosi pugliesi sono stati protagonisti della cronaca nota: accorrono tafferugli – c’è dunque una causa – , non si conosce chi abbia responsabilità dirette e ne esegue che si punisca in blocco – un non equo effetto -, non considerando però che la reazione legale sia completamente sproporzionata all’ipotetica azione virulenta.
Per cui, da sabato, vige la regola che non si tenga conto delle responsabilità soggettive, altresì delle conseguenze oggettive. Sarebbe accettabile (però pur sempre non condivisibile), se soltanto non si confondessero lessicalmente due termini abbastanza adusi ai pennivendoli: “lealtà” non equivale ad “omertà”.
Lungi dall’avallare gesti inconsulti e non ortodossi, bensì non è ammissibile che i tribunali ordinari e sportivi non capiscano che dietro l’emotività passionale non si celino riserve di reticenza, ma esclusivamente affiatamento di gruppo, solidarietà reciproca, puro senso di fiancheggiare a caldo l’amico in difficoltà e solo dopo redarguirlo a freddo.
La mentalità ultras non è quello che descrivono i fantomatici depositari dell’informazione prezzolata: è oltre, è un evocativo fagocitare nella nostra esistenza gelidi gradoni, infinite trasferte ed indimenticabili serate, senza che alcun chi dopo ci renda un tornaconto.
Inoltre, se dalla parte diametralmente opposta della barricata ritengono che lo stereotipo dell’ultras si sostanzi in un facinoroso, algido e spietato delinquente, dall’altro canto noi ci appelliamo ad un principio maggiormente rigoroso e roccioso nella sua implicita incisività: il beneficio del dubbio.
C’è qualcuno pronto a confutare l’ipotesi che la macchina del fango, imbastita dalla struttura mediatica ed avversa alla cultura popolare del tifo, tragga profitti dall’alterazione perpetuata della realtà? Non si mira piuttosto a convincere i soggetti non raziocinanti che gli stadi siano asserragliati dal volere di un manipolo di squinternati? Il fine ultimo non è forse far credere che sia meglio starsene a casa, in poltrona e gustarsi lo “spettacolo” dell’alta definizione?
I signorotti delle Pay TV si sfregano le mani per l’incremento degli utili e smistano benessere anche ai giornalai succitati. Omnia munda mundis, omnia sozza sozzis.

 

Alex Angelo D’Addio