NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

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I vostri abusi sempre impuniti: RICCARDO RASMAN

 

TRATTO DA "NON C'E' FEDE SENZA LOTTA" N°64

 

Trieste, 26/IO/2OO6. Sono da poco passate le 2O, Riccardo Rasman e’ un ragazzo, di 33 anni, affetto da una sindrome schizofrenica paranoide, dovuta ad episodi di “nonnismo” subiti durante il servizio militare. Si trovava nel suo appartamento di Via Grego 38, un immobile di proprieta’ dell'ATER di Trieste. Era probabilmente in uno stato di felicita’ e di agitazione psicofisica dovuta al fatto che il giorno seguente avrebbe iniziato un lavoro come operatore ecologico, stava ascoltando musica ad alto volume e, dopo essere uscito nudo sul balcone, lancio’ due petardi nella corte interna dello stabile; uno di essi scoppio’ a poca distanza da una ragazza, senza causarle lesioni. In seguito a una segnalazione arrivata al II3, sul posto giunsero due volanti, per un totale di quattro agenti. La prima volante giunse alle 2O:2I e alle 2O:34 chiese una seconda volante di rinforzo e l'intervento dei Vigili del Fuoco per sfondare la porta dell'appartamento. Rasman, che nel frattempo si era rivestito e steso a letto con la luce spenta, rifiuto’ di aprire, intimorito forse in seguito a un'altra colluttazione con le forze dell'ordine risalente al I999, a cui era seguita una denuncia nei confronti di due agenti da parte di Rasman. Intervenuti i Vigili del Fuoco, gli agenti di polizia entrarono trovando Rasman seduto sul letto: ne sorti un'accesa colluttazione tra i quattro agenti e Rasman, che infine fu immobilizzato dal gruppo a terra, ammanettato dietro la schiena e legato alle caviglie con del filo di ferro. Dopo l'immobilizzazione, nonostante fosse ammanettato, continuarono a tenerlo in posizione prona per diversi minuti. Rasman inizio’ a respirare affannosamente e a rantolare, fino a divenire cianotico e a subire un arresto respiratorio. All'arrivo di un mezzo di soccorso, ne fu constatato il decesso. La morte avvenne tra le 2O:43 e le 2I:O4. All'arrivo dei sanitari Rasman fu trovato ammanettato con le mani dietro la schiena, le caviglie immobilizzate dal filo di ferro e mostrava gravi ferite e segni di imbavagliamento. Fu chiarito che nonostante l'uomo fosse immobilizzato, gli agenti esercitarono "sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie", causando la morte per asfissia. Le ferite, gli schizzi di sangue sui muri e i segni di violenza furono correlati all'uso di oggetti contundenti, come un manico d'ascia trovato nell'appartamento e lo stesso piede di porco usato dai Vigili del Fuoco per forzare la porta d'ingresso. Secondo dichiarazioni della sorella Giuliana, il corpo di Riccardo "era martoriato di botte sul viso, gli avevano rotto lo zigomo. Poi c'era il segno dell'imbavagliamento, sangue dalle orecchie, dal naso, dalla bocca. Noi siamo entrati in quell'appartamento soltanto in marzo, era un disastro: c'era sangue dappertutto e una chiazza di sangue verso la cucina. Poi dalle fotografie mi sono resa conto che l'hanno spostato con la testa verso l'entrata cosi da nascondere la chiazza di sangue che c'era li. C'era una frattura, i capelli erano tutti pieni di sangue, c'era una frattura anche dietro il collo. C'era sangue sul tavolo, sui muri, sulle lenzuola, dietro il letto per terra, c'erano chiazze di sangue sul tappeto sotto il quale abbiamo trovato persino dei pezzi di carne nascosti". Venne aperta un'inchiesta d’ufficio, affidata al pubblico ministero Pietro Montrone, il quale delego’ alle indagini gli stessi poliziotti coinvolti nella colluttazione. L'inchiesta venne chiusa nell'ottobre 2OO7 con una richiesta di archiviazione da parte del magistrato, il quale ritenne che i quattro poliziotti avessero agito nell’adempimento di un dovere, pur avendo accertato che la morte di Rasman era stata causata da "asfissia posturale" seguita all'operato degli agenti. Il 28 febbraio 2OO8, tuttavia, nell'udienza che avrebbe dovuto chiudere l'inchiesta, il Gip non accolse la richiesta di archiviazione del pubblico ministero: quest'ultimo cambio’ l'orientamento iniziale alla luce delle indagini difensive presentate in occasione all'opposizione all'archiviazione proposta dai difensori dei Rasman, avvocati Giovanni Di Lullo e Fabio Anselmo, e di fronte alla prova che i quattro agenti fossero a conoscenza del fatto che Rasman era sotto cura al Centro di Salute Mentale di Domio. Quest'ultimo fatto avrebbe dovuto imporre ai quattro agenti (Francesca Gatti, Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi) una maggiore cautela e la richiesta d'invio di un operatore specializzato. Fu inoltre contestata la legittimita’ dello sfondamento della porta dell'abitazione privata, poiche’ il comportamento di Rasman non destava piu’ pericolo, avendo l'uomo smesso di lanciare petardi e trovandosi calmo e nel proprio letto. Prima dell'arrivo delle forze dell'ordine Rasman avrebbe scritto in un biglietto, ritrovato poi in cucina, le seguenti parole: "Per favore per cortesia vi prego non fatemi del male, non ho fatto niente di male". I quattro poliziotti vennero quindi indagati e rinviati a giudizio per omicidio colposo. Il 29 gennaio 2OO9 tre dei quattro agenti (Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi) vennero condannati, con rito abbreviato e pena sospesa, a sei mesi di carcere, con l'accusa di omicidio colposo. Venne invece assolta l'agente Francesca Gatti con "formula dubitativa" perche’, pur partecipando all’irruzione, quando Riccardo Rasman era stato ridotto all’impotenza, ammanettato e tenuto fermo sul pavimento coi piedi legati dal filo di ferro, era rimasta estranea all’azione perche’ in contatto via radio con la sala operativa della Questura. Il 3O giugno 2OIO la Corte d'Appello di Trieste ha confermato in secondo grado la condanna a sei mesi di reclusione ciascuno per tre dei poliziotti imputati per la morte di Rasman. Confermato anche il proscioglimento del quarto agente imputato. Il I4 dicembre 2OII anche la Corte di Cassazione conferma la versione della sentenza emessa nei gradi precedenti e rende definitiva la condanna per omicidio colposo nei confronti dei tre agenti. Nelle motivazioni della sentenza della Cassazione si legge:"La morte di Rasman era pacificamente evitabile qualora gli agenti avessero interrotto l'attivita’ di violenta contenzione a terra del Rasman, consentendogli di respirare". La vita di Riccardo e’ finita fra immani sofferenze come la vita che aveva condotto. E come la vita che per lui aveva preso una piega strana, dissociata per la prepotenza di qualcuno, quella stessa prepotenza, di vigliacchi in divisa, si e’ ripresentata a chiudere il conto. Riccardo aveva bisogno di essere aiutato, capito e invece sulla sua strada ha trovato la bestialita’ di chi ha pensato di legarlo come un salame e gonfiarlo di botte, provocandogli la piu’ sofferente delle morti che un qualsiasi essere vivente possa subire, quella per soffocamento. Come sempre le parole, le nostre, rischiano di essere ripetitive, di fronte a fatti del genere, ma preferiamo correre questo rischio, ribadendo per l’ennesima volta che solo con una presa di coscienza si puo’ mettere questa gentaglia con le spalle al muro e fare in modo che tutto questo non accada piu’. La loro giustizia, i loro tribunali hanno pesato la vita di Riccardo “condannando” i suoi assassini in divisa a 6 miseri mesi a testa. Paghiamo molto di piu’ noi che, senza nessun velo di vittimismo, non abbiamo mai ucciso nessuno.