NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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CI SONO COSE CHE NON SI POSSONO COMPRARE FUORI I COLPEVOLI! GIUSTIZIA PER PAOLO

 

TRATTO DA "NON C'E' FEDE SENZA LOTTA" N°80

 

 

24/O9/2OO4. Stazione di Verona, e’ appena finita la gara tra il Brescia e l’Hellas e la tifoseria bresciana si appresta a ripartire. Scoppiano dei tafferugli con le forze dell’ordine e in quei momenti concitati le immagini di una telecamera della polizia scientifica riprende passo per passo gli incidenti, poi improvvisamente lo schermo si fa nero. In quegli attimi c’e’ tutta la storia, la vita e le speranze di un ragazzo, Paolo Scaroni. In quello schermo nero c’e’ tutta l’ipocrisia di chi e’ sempre dalla parte della ragione e mai con quella del torto. Quello schermo nero sta li a testimoniare che cio’ che non si deve vedere e’ stato dettagliatamente tagliato. Non si deve sapere nulla di quel giorno, i minuti esatti nel quale un gruppo di agenti del settimo reparto mobile di Bologna circondano Paolo, rimasto solo e danno vita ad un pestaggio (l’utilizzo di qualsiasi altro termine, della stampa “democratica”, e’ solo un tentativo di edulcorare la realta’), armati di manganelli, rigorosamente impugnati al contrario e lo riducono in fin di vita. Paolo fu colpito ripetutamente ed esclusivamente alla testa. Entro’ in coma e ne usci dopo 67 giorni di terapia intensiva. Paolo oggi ha un invalidita’ riconosciuta, sia motoria che intellettiva, del IOO%. Dovrebbe far riflettere il fatto che ottenere un processo in queste circostanze e’ gia’ una piccola vittoria, svariati sono infatti i casi, anche di persone decedute, dove l’operato degli agenti non veniva neanche preso in giudicato, come se esso fosse al di sopra di ogni umano giudizio, come se il mal capitato appartenesse sempre e comunque alla schiera di quelli che “se la sono andata a cercare”. Il processo di primo grado si e’ concluso a Verona nell’ottobre del 2OI3 e nonostante il tribunale abbia riconosciuto che “Scaroni subi’ un pestaggio gratuito, immotivato rispetto alle esigenze di uso legittimo della forza”, l’impossibilita’ di identificare i responsabili ha portato all’assoluzione degli otto agenti indagati, il tutto perche’ c’e’ un buco nelle immagini della scientifica di quel giorno: lo schermo, nel momento esatto in cui sta per avvenire il pestaggio, diventa appunto nero. Il ministero dell’Interno la settimana scorsa ha risarcito Paolo con un milione e quattrocentomila euro per compensare il fatto che dei poliziotti lo hanno reso invalido per sempre, riconoscendo di fatto che il pestaggio e’ avvenuto e non e’ in alcun modo giustificabile, ma infischiandosene pero’ altamente che i soggetti autori dello stesso continuino ad indossare una divisa ed a esercitare poteri sui cittadini, rappresentando lo Stato stesso, e infischiandosene soprattutto che altre teste di cazzo con la divisa facciano lo stesso schifo, perche’ nessuna misura di prevenzione e’ stata presa, tipo l’identificazione attraverso un codice numerico. A loro interessa investire solo ed esclusivamente sull’armamentario con il quale armare questi coglioni, dei cittadini e dei loro diritti non gli frega un cazzo. Insomma e’ come se dopo averti pestato ben bene ti tirano una busta piena di soldi in faccia: prenditeli, basta che non rompi piu’ il cazzo! Questo rappresenta il risarcimento di stato, niente di piu’. Viene da immaginarseli, nei loro gattopardi ani costumi, mentre si dicono, come il principe di Salina: “Tutto e’ come prima, anzi meglio di prima”, chiusi come sono nelle stanze del potere, certi della loro incolumita’ garantita dall’impunita’ dei cani piu’ rabbiosi e piu’ fedeli. Lo ripetiamo da un po’, raccontare, leggere, vivere queste storie non puo’ essere all’infinito un populista grido di giustizia verso chi, lo Stato, ha dimostrato in piu’ di un occasione di non avere alcuna intenzione a prendere provvedimenti su questi casi di abusi. La giustizia che chiediamo non e’ piu’ da tempo quella dei tribunali, amministrata dallo stesso potere che arma gli sbirri, ma quella della gente, quella fatta dalla consapevolezza che non si sofferma a un “like” social, o a un commento d’indignazione, quella che scende nelle strade e si trasforma in rabbia. Riflettiamo non limitiamoci a leggere ma poniamoci delle domande e poniamole a chi ci circonda, confrontiamoci. Quello che accade agli altri potrebbe accadere a noi, a ognuno di noi e girare la faccia dall’altra parte, o limitarsi a “postare” la propria indignazione senza impegnarsi fisicamente e realmente, potrebbe portarci, come diceva Brecht in “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari”, a fare in modo che non rimanga nessuno a protestare quando tocchera’ a te.