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DASPO: CHIARITO IL CONCETTO DI “MANIFESTAZIONE SPORTIVA”

 

FONTE:Altalex

 

La terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 1767 del 16 gennaio 2017, si pronuncia sui requisiti di legittimità del DASPO amministrativo (ovvero del Divieto di Accedere a manifestazioni Sportive), regolato dalla Legge 13 dicembre 1989, n. 401 (recante Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive).
Partendo dalla norma in esame, l’art. 6 della legge 401/1989, dispone che nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per una serie di reati stabiliti dallo stesso articolo 6, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore puo’ disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonche’ a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime.
La Corte di Cassazione si trova proprio ad analizzare detta norma.
Partiamo dai fatti. Con ordinanza depositata il 6 giugno 2015, alle ore 12, il Gip del Tribunale di Cagliari ha convalidato il decreto emesso, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 401 del 1989, dal Questore di Cagliari a carico di F. e con il quale – in considerazione del fatto che questi, in data 17 aprile 2015, si era reso protagonista, unitamente ad altre persone, delle quali solo alcune erano state identificate, di un episodio di violenza all’interno del centro sportivo utilizzato dalla squadra di calcio del Cagliari, in danno dei calciatori di tale squadra e del loro allenatore – era stato imposto al medesimo, per la durata di anni 8, l’obbligo di comparire personalmente di fronte agli organi di pubblica sicurezza in occasione degli incontri di calcio disputati dalla compagine Cagliari Calcio, secondo le modalità meglio indicate nel provvedimento amministrativo.
Avverso tale provvedimento il signor F. ha interposto ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice della convalida per avere provveduto nel senso indicato sebbene i fatti di cui alla contestazione non si fossero verificati in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Tra le varie lamentele, il ricorrente, signor F., adduceva il fatto che, essendosi verificati gli eventi posti a base della applicazione delle prescrizioni accessorie al divieto imposto dal Questore di Cagliari non in occasione o a causa di manifestazioni sportive, esse, salva ogni altra loro eventuale conseguenza anche sul piano penale, non potevano comportare l’attivazione dei provvedimenti di cui all’art. 6 della legge n. 401 del 1989.
Secondo la Corte di Cassazione detto assunto è infondato.
Ritiene, infatti, il Collegio che la espressione “in occasione o a causa di manifestazioni sportive” non debba essere inteso nel senso che gli atti di violenza o comunque le restanti condotte che possano giustificare la adozione dei provvedimenti di cui all’art. 6 della legge n. 401 del 1989 debbano essersi verificati durante lo svolgimento della manifestazione sportiva ma nel senso che con essa abbiano un immediato nesso eziologico, ancorché non di contemporaneità. La ratio della disposizione in questione è, infatti, quella di prevenire fenomeni di violenza, tali da mettere a repentaglio l’ordine e la sicurezza pubblica, laddove questi siano connessi non con la pratica sportiva ma con l’insorgenza di quegli incontrollabili stati emotivi e passionali che, tanto più ove ci si trovi di fronte ad una moltitudine di persone, spesso covano e si nutrono della appartenenza a frange di tifoserie organizzate, perlopiù, ma non esclusivamente, operanti nell’ambito del gioco del calcio. Si tratta di fenomeni per i quali fungono da catalizzatore, spesso con improvvise a incontrollabili interazioni, sia l’andamento agonistico più o meno soddisfacente della compagine per la quale si parteggia ovvero le modalità con cui l’apparato amministrativo ed organizzativo di questa intende condurre il rapporto con la propria tifoseria sia l’eventuale confronto, in una logica elementare in cui la appartenenza ad un gruppo comporta la ostilità verso altri gruppi, immediatamente intesi come possibili assalitori, con una tifoseria avversa.
Secondo la Corte è, pertanto, evidente che un’eventuale limitazione della portata della norma che ne confinasse l’applicazione alla sola durata della manifestazione sportiva, ridurrebbe di molto la efficacia dissuasiva della medesima, posto che renderebbe inapplicabile la relativa disciplina ogniqualvolta gli eventi, pur determinati da una mal governata passione sportiva e dalla distorsione del ruolo del tifoso, si realizzino in un momento diverso dal verificarsi del fattore che li ha scatenati.