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Processo Aldrovandi bis, la sentenza: "Omissioni per proteggere i colleghi poliziotti"

 

Il capo dell’ufficio volanti indusse in errore la pm di turno. Le disse, più o meno, che era il solito drogato e che c’avrebbe pensato lui. Non era il caso di alzarsi a quell’ora dell’alba di domenica. Invece, davanti ai suoi piedi c’era Federico Aldrovandi, ovvero il corpo di un diciottenne che, poco prima, s’era imbattuto in un violentissimo e misterioso controllo di polizia. Certi giornali lo chiamarono fermo di polizia, il Viminale intervenne a precisare: dovete dire controllo. Ma intanto il ragazzino era morto. L’ufficiale di polizia giudiziaria non fece cenno alla pm della violenta colluttazione, né dei timbri di manganello sul viso del giovanotto. La pm lo leggerà su Liberazione e, poco prima, sul blog della mamma, che Federico era stato ammazzato di botte, che se non avesse incontrato le Pantere della polizia che lo sbranarono sarebbe ancora vivo. Ma intanto erano passati tre mesi, s’era fatto Natale.
Pubblicate le motivazioni della sentenza che, sessanta giorni fa, aveva condannato tre dei poliziotti implicati nella cosiddetta inchiesta bis sul caso Aldrovandi, quella sui depistaggi.
L’assistente Capo della Polizia di Stato, quella mattina, era responsabile e addetto della centrale operativa. Parlava con un collega che era in Via Ippodromo che gli spiegava per filo e per segno. Ma prima staccò la registrazione della telefonata. Ha negato di averlo fatto, e non è stato creduto.
Hanno aiutato i quattro delle volanti a eludere le indagini. L’ispettore di polizia giudiziaria non ha consegnato il registro delle chiamate di quella mattina. Il primo s’è preso un anno per omissione di atti d’ufficio. Quello che staccò la spina, dieci mesi per lo stesso reato più favoreggiamento. L’ultimo 8 mesi per omissione anche lui degli atti d’ufficio. Resta il quarto, responsabile il 25 settembre 2005 dell’ufficio denunce, che non ha scelto il rito abbreviato, e che è stato rinviato a giudizio per falsa testimonianza, omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento. L’ennesimo capitolo del caso Aldrovandi si aprirà il 21 aprile al tribunale di Ferrara. Intanto, la pm di quella notte potrebbe fare altre mosse, come querelare altri funzionari della questura, per continuare a scoperchiare la macchina del depistaggio. Perché questa macchina ha operato per mesi. Ha intimidito i testimoni, ha imbavagliato i giornalisti, ha ingannato inquirenti e genitori. Ha truccato brogliacci, nascosto prove, detto bugie e pronunciato minacce. E forse agisce ancora. Sul blog, i genitori di Aldro ricordano «l’azione di alcune pattuglie che, prima della grande manifestazione pacifica per chiedere Verità e Giustizia ad un anno dalla morte di Federico, raccomandavano (contro le disposizioni del questore, ndr) a bar e negozi di abbassare le serrande per il pericolo di devastazione. Questo clima ostile era avvallato delle parole di taluni sindacalisti che difendevano ad oltranza i colpevoli. Il clima diffuso non è un reato che si possa giudicare in tribunale, ma gli appellativi di “sciacalli” li abbiamo subiti noi da parte di un sindacalista del sap, e molti agenti hanno sottoscritto la solidarietà ai colleghi quando il processo era ancora lontano». Ma ci sono altri capitoli: un amico di Aldro, una redattrice del manifesto e un mediattivista sono sotto processo per aver detto che il verbale redatto il 25 settembre era diverso dalle sue dichiarazioni e per aver divulgato la notizia dei “pre-colloqui” di dell’ispettore di pg con i testimoni prima che parlassero con la pm. E ventuno frequentatori del blog sono stati denunciati dal questore dell’epoca troppo preso a spulciare il blog per dare impulso alle indagini sull’omicidio.
Alle condanne del 5 marzo scorso si aggiungono le provvisionali di 10mila euro che tutti e tre dovranno pagare a ognuna delle parti civili (il padre, la madre e il fratello di Federico). Le pene sono inferiori a quelle chieste dal pm Nicola Proto, colui che ereditò le indagini dalla pm di turno, quella che fu ingannata ma che, prima che il blog squarciasse il velo del silenzio, non parve aver impresso il dinamismo necessario all’inchiesta. Proto aveva previsto 1 anno e 4 mesi per l’ufficiale di pg, 2 anni e mezzo per il “centralinista” e 1 anno e mezzo per l’ispettore di pg. “Sconti” che non diminuiscono la soddisfazione dei genitori di Federico e del pm per la tenuta dell’impianto accusatorio che ora dovrà reggere il secondo grado di giudizio anche per il capitolo dell’omicidio (in primo grado i quattro agenti sono stati condannati a 3 anni e mezzo).