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Un terzo dei detenuti è in carcere per pene lievi

 

FONTE:il dubbio

 

Ben 1.212 detenuti, sono coloro che sono stati condannati a una pena inferiore a un anno. Un dato interessante e drammatico nel contempo quello evidenziato dal Garante nazionale durante la presentazione in palamento della relazione annuale. Interessante, perché sconfessa ancora una volta il luogo comune sul fatto «che in carcere non ci va più nessuno». Drammatico, perché parliamo chiaramente di soggetti vulnerabili e senza taluna protezione da parte del nostro welfare.

Il presidente Mauro Palma, relazionando al Parlamento, evidenza che va innanzituttoregistrata positivamente la riduzione numerica delle presenze negli Istituti per adulti. Il 2020 era iniziato con 60.971 presenze, mentre l’anno in corso è iniziato con 53.329. La decrescita ovviamente è dipesa dai minori ingressi dalla libertà nel periodo di chiusura sociale per il rischio di contagio e dal maggiore ricorso alla detenzione domiciliare. «Questa principalmente dovuta a una più direzionata attività della Magistratura di sorveglianza, piuttosto che all’efficacia dei timidi provvedimenti governativi adottati», sottolinea Palma.

Al Garante colpisce la pur limitata ripresa della crescita dei numeri negli ultimi mesi che determina l’attuale situazione di 53.661 persone e che, commisurata alla capienza effettiva di posti disponibili, limitata a 47.445 ( anche se formalmente attestata a 50.781 posti regolamentari) indica la necessità di interventi che riducano

la pressione che tali numeri determinano. Secondo Palma va innanzitutto evidenziato la presenza di più di un terzo di persone detenute che hanno una previsione di rimanere in carcere per meno di tre anni: 1.212 per una pena da 0 a 1 anno; 2.149 per una pena da 1 a 2 anni e 3.757 per una pena da 2 a 3 anni.

«È un tema – sottolinea il Garante nazionale – che chiama alla responsabilità anche il territorio perché il carcere da solo non può rispondere ad altre carenze; ma è anche un tema che deve essere affrontato con urgenza perché l’assenza di progettualità apre spesso – troppo spesso – anche all’accumulo di tensioni interne che i numeri attuali degli eventi critici testimoniano e che ricadono sugli operatori penitenziari».

Il Garante ha anche sottolineato la rilevanza del numero dei suicidi, accentuato anche nel periodo di difficoltà soggettiva che ha caratterizzato gli scorsi mesi: il tasso dei suicidi ha toccato nel 2020 l’ 1,11 per mille ( 62 in totale) delle presenze medie, mentre nel 2019 era stato lo 0,91 ( 55 in totale). A questi, doverosamente, Mauro Palma aggiunge il numero di suicidi nel personale di Polizia penitenziaria: sei nell’ultimo anno

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L’allarme di Mauro Palma Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale

Ancora troppi dietro le sbarre per pene brevi: così può tornare l’incubo sovraffollamento

«Il luogo della privazione della libertà non è un luogo altro, ci appartiene», afferma il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma durante la presentazione della relazione annuale al Parlamento. Tante sono le criticità emerse, dovute in parte dalla pandemia, che riguardano le carceri, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ( Rems), le residenze sanitarie assistenziali ( Rsa), i luoghi di custodia delle Forze di Polizia, i Centri di trattenimento per il rimpatrio ( Cpr) e Hotspot di prima accoglienza di migranti. Per il Garante nazionale, il filo che tiene unite situazioni fra loro così diverse è il rischio di una minore effettività dei diritti delle persone ristrette. Proprio per questo è necessaria l’azione di un Garante, che entri, veda, esamini la situazione e intervenga per cooperare al superamento delle criticità riscontrate, prevenendo il loro riproporsi.

Un punto centrale dell’intervento del Presidente Palma è l’individuazione quale diritto soggettivo di ogni persona privata della libertà il reale perseguimento dell’obiettivo in base al quale la sua situazione di restrizione si è determinata. Un diritto che si accompagna alla necessità che il tempo di collocazione in strutture privative della libertà non sia soltanto tempo sottratto alla vita.

Per esempio, in ambito penale, la finalità rieducativa che la Costituzione assegna alle pene non costituisce soltanto una indicazione per le politiche penali: è un vero e proprio diritto della persona in esecuzione penale, in particolare se detenuta, che deve vedere il tempo che le è sottratto come tempo non vuoto, ma finalizzato a quell’obiettivo che la Costituzione indica. Analogamente, la persona temporaneamente ristretta in una struttura per un trattamento psichiatrico non volontario deve vedere azioni effettive tese al superamento di tale condizione e al suo inserimento all’interno di una complessiva presa in carico del proprio caso.

Nel caso dei Centri per il rimpatrio ( Cpr), le persone migranti irregolari hanno il diritto di un impiego significativo del loro tempo, anche se sono in attesa di un rimpatrio.

Sulla detenzione in carcere c’è ancora molto da fare per dare significato al tempo di chi è recluso. Per questo è necessario un vero e proprio cambio di prospettiva. «Occorre – ha detto il Presidente Palma – porsi con forza il problema del domani e del fuori superando una visione solo concentrata sull’oggi e sul dentro».

Riguardo all’ambito della salute, una particolare attenzione è stata rivolta alle residenze per persone anziane o disabili, che in Italia portano a un totale di più di 360 mila posti letto ( nel 2020 circa 33 mila posti letto per disabili sotto i 65 anni, 312 mila per anziani, includendo i

disabili con più di 65 anni, quasi 19 mila per persone con problemi di salute mentale). Strutture che rischiano – e la pandemia lo ha messo in evidenza – di diventare luoghi di internamento, in cui le persone sono private della loro autodeterminazione. Per questo, il Garante ha sollecitato un ripensamentocomplessivo del sistema, che ponga al centro la massima possibilità di espressione vitale di ogni persona, valorizzando ogni residuo di autonomia.

Rispetto al complesso tema delle migrazioni irregolari, la richiesta del Garante al Parlamento è di trovare la capacità di affrontarlo in modo meno contingente ed emergenziale, ripensando il modello stesso del Cpr, invece di inseguire quotidiane carenze. Proprio sulle condizioni attuali dei Cpr il Garante nazionale ha ricevuto i primi reclami da parte delle persone ristrette: una possibilità introdotta con l’ultimo decreto in materia di sicurezza della fine del 2020.

Un altro tema, verso il quale è sempre viva l’attenzione del Garante nazionale, è quello dell’accountability di chi opera nei luoghi di privazione della libertà: la necessità di trasparenza e di rispondere in modo documentato della propria azione. In alcuni casi il Garante ha ritenuto essenziale sollecitare le Procure a indagare su quanto riferito da più fonti e talvolta verificato direttamente anche attraverso l’analisi della documentazione scritta o video. Se è doveroso riconoscere l’opera positiva d’indagine compiuta dall’apposito Nucleo investigativo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, è altrettanto necessario ribadire che proprio il potenziamento di tale capacità, unito a una impostazione più solida della formazione della Polizia penitenziaria e alla assoluta non interferenza con l’azione della magistratura garantiscono il doveroso riconoscimento verso chi opera in situazioni spesso difficili con un delicato compito e non può vedere la propria funzione riassunta dai pochi casi di coloro che offendono i valori fondanti di tale funzione. In conclusione, nella sua azione di vigilanza, il presidente Palma spiega che lo sguardo del Garante non può fermarsi alla mera analisi della legalità formale dei singoli provvedimenti adottati, ma deve guardare alla legittimità sostanziale di ciò che essi determinano. «ll caso del giovane straniero irregolare oggetto di violenta aggressione per strada che ha trovato come unica risposta istituzionale il perseguimento della sua posizione di irregolarità amministrativa e quindi il confinamento in un Centro in vista di un rimpatrio non può non interrogarci», conclude il Garante.

 

Damiano Aliprandi