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Nuove verità sulla morte di Stefano Cucchi

 

Il ragazzo fermato con Stefano Cucchi che dice di esser stato costretto a firmare un falso verbale. Un agente della polizia penitenziaria che afferma di aver ricevuto delle confidenze da Cucchi sul fatto che sarebbe stato picchiato dai carabinieri. La vicenda della morte del 31enne romano arrestato per poche dosi di hashish e deceduto una settimana dopo in un letto di ospedale nel reparto di medicina protetta Sandro Pertini, con il volto sfigurato, due vertebre fratturate e varie escoriazioni sul corpo, si arricchisce di particolari. Ora che le la Procura di Roma ha chiuso le indagini - rinviando a giudizio cinque medici del Pertini, tre guardie penitenziarie in servizio nelle celle del Tribunale e un funzionario del dipartimento regionale dell'amministrazione penitenziaria - paradossalmente emergono particolari che sembrano tirare in ballo le responsabilità dei carabinieri. Secondo i pm Stefano fu pestato, la mattina del 16 ottobre, nei sotterranei del Tribunale da tre agenti della penitenziaria, accusati anche da due testimoni oculari già sentiti in incidente probatorio. A quanto pare però - ma gli atti della Procura sarebbero costituiti da centinaia di pagine, tutte da «scoprire» - ci sono testimonianze inedite che accusano i militari di aver picchiato il ragazzo.
Intanto viene alla luce quanto raccontato ai pm da Emanuele, amico di Stefano da 11 anni, compagno di sventura in quella notte davanti al parco. Dice davanti ai pubblici ministeri Barba e Loy: «I carabinieri in borghese mi dissero che avrei dovuto firmare una dichiarazione che avevo acquistato lo stupefacente da Stefano, pur non essendo vero, in modo da uscire pulito da questa storia». E ancora: «Un carabiniere in borghese che tutti chiamavano maresciallo ha scritto davanti a me il verbale che io provvedevo a firmare benché fosse falso. Ho firmato senza nemmeno leggere perché ero timoroso della perquisizione domiciliare e poi perché ero stato minacciato che se non avessi firmato avrebbero accollato anche alla mia persona la responsabilità per la detenzione dello stupefacente». La parola del ragazzo contro quella dei militari, ovviamente. Ma di certo l'amico di Stefano assume su di sé il rischio di essere quanto meno querelato per diffamazione, quindi dovrebbe essere abbastanza certo di quel che dice. La sua testimonianza, se fosse vera, non è irrilevante: senza l'accusa di spaccio il giudice probabilmente non avrebbe convalidato l'arresto, e Stefano sarebbe tornato a casa. Ma non è questo l'unico elemento sul comportamento dei carabinieri. La guardia penitenziaria in servizio al casellario di Regina Coeli che accoglie Stefano il 16 ottobre, dopo la convalida, dice: «Aveva segni sul viso. Gli ho chiesto cosa fosse successo. Cucchi mi ha detto che era stato malmenato dai carabinieri quando era stato arrestato. Mi ha detto che lui faceva il pugile e aveva cercato di parare i colpi, ma poi è stato buttato a terra ed è stato colpito a calci»