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Legittima difesa delle polizie e rifiuto di obbedire degli interpellati

 

FONTE:mediapart.fr

 

L’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine è inquadrato da due principi: “l’assoluta necessità” e la natura “proporzionata” della risposta. Una riforma adottata nel 2017 ha introdotto una certa confusione, mentre agenti e autorità politiche segnalano l’aumento dei rifiuti di conformarsi.

 

Nelle ultime settimane, in tre casi di “rifiuto di obbedire” in Francia quattro persone sono state uccise. Si è così riacceso il vecchio dibattito su come le polizie usano le armi e interpretano le regole della legittimità di difesa che gli è attribuita dalle leggi a suo favore.

Il 26 marzo, ad Aulnay-sous-Bois, un poliziotto ha ucciso l’autista di un furgone, Jean-Paul Benjamin, 33 anni. Mentre l’ufficiale anticrimine ha prima invocato la sparatoria accidentale, poi l’autodifesa contro un veicolo che si è precipitato verso di lui, le indagini hanno a hanno dimostrato che né la sua vita né quella di nessun altro era stata minacciata al momento dello sparo. E’ stato mis incriminato per “violenza intenzionale con conseguente morte senza intenzione di darla”.

Il 24 aprile, due occupanti di un’auto sono stati uccisi e un terzo gravemente ferito da un agente armato di fucile d’assalto sul Pont-Neuf a Parigi. È incriminato per “omicidio volontario” sul conducente, “violenza intenzionale con conseguente morte senza intenzione di darla” sul passeggero anteriore e “violenza intenzionale” sul passeggero posteriore.

Il 4 giugno, un passeggero di un’auto è stato colpito alla testa nel 18° arrondissement di Parigi, mentre l’autista è rimasto gravemente ferito. In questo caso, tre agenti di polizia, che hanno sparato nove proiettili, sono stati rilasciati senza processo al termine della loro custodia di polizia. L’automobilista, invece, è stato incriminato per “tentato omicidio colposo di persona titolare di pubblica autorità” e posto in custodia cautelare.

Ciascuno di questi tre casi corrisponde a situazioni uniche, che i tribunali devono esaminare caso per caso e che porteranno a una decisione definitiva solo tra diversi anni. Tuttavia, hanno in comune di generare molte discussioni sulle decisioni prese dalla polizia di fronte a una minaccia, reale o immaginaria.

Hanno il grilletto troppo facile, come insiste Jean-Luc Mélenchon (leader della NUPES – Nuova Unione Popolare Ecologista e Sociale) sul fatto che “la polizia uccide”? Sono vittime di abusi favoriti dalle leggi vigenti, come sostiene in particolare il sindacato Alliance, che reclama una presunzione di legittima difesa» per le polizie? Per capire è necessario richiamare le regole vigenti, e che recentemente si sono evolute per assimilare le condizioni per l’uso delle armi a fuoco da parte della polizia con quelle della gendarmeria (i carabinieri francesi).

La legittima difesa è una causa di irresponsabilità penale: quando la giustizia la riconosce, in qualsiasi fase del procedimento (dall’inizio delle indagini, dopo un atto d’accusa, al termine di un processo, ecc.), l’autore non può essere perseguito o condannato, anche se la sua azione ha portato alla morte di qualcuno. Per raggiungere questo risultato, l’indagine deve ancora “dargli ragione”, dimostrando che la sua reazione è stata adattata alla situazione.

In Francia come in Europa, la legittima difesa è fondata sul principio dell’«assoluta necessità». Non può essere riconosciuta che se la risposta è giudicata indispensabile per proteggere la sua integrità fisica o quella di altri, «immediata» e «proporzionata» alla minaccia. Queste regole si applicano ai poliziotti e ai gendarmi, ma anche a ogni cittadino che risponde a una aggressione.

Su pressione della polizia e dei suoi sindacati, che da diversi anni chiedevano l’assimilazione delle sue condizioni di autodifesa a quelle dei gendarmi, ritenuti più favorevoli, le regole sono cambiate alla fine del mandato di cinque anni di François Hollande. La legge del 28 febbraio 2017 ha creato l’articolo 435-1 del Codice della sicurezza interna, che prospetta diverse situazioni specifiche. Esso prevede in particolare che la polizia, come i gendarmi, possano ora utilizzare la propria arma per immobilizzare i veicoli i cui occupanti si rifiutano di fermarsi e “sono suscettibili di perpetrare, nella loro fuga, minacce alla loro vita o alla loro integrità fisica o a quella di altri “, compresi gli altri utenti della strada.

Aggiungendo dettagli al quadro generale, questo articolo ha offuscato la nozione di autodifesa. Lascia un margine di interpretazione agli agenti, che molto rapidamente devono valutare il comportamento del veicolo. Sta andando addosso a loro? Se riesce a scappare, rischia di mettere in pericolo altre persone? È meglio fermarlo o lasciarlo andare per cercare di trovarlo più tardi?

NB: questa è la situazione tipica in cui la discrezionalità scivola facilmente nel libero arbitrio; spesso la valutazione della minaccia diventa esagerata sino ad essere del tutto aberrante inducendo l’agente a sparare come se si trattasse di colpire il nemico in una situazione di guerra.

Dopo la riforma, infatti, sono aumentate le sparatorie ai veicoli in movimento; questi fatti rappresentano circa il 60% del totale delle sparatorie effettuate ogni anno dalla polizia francese. Nel 2017 il loro numero è aumentato notevolmente, per poi stabilizzarsi, negli anni successivi, su un livello più alto rispetto a prima dell’adozione della legge.

Ciò che induce alcuni militanti contro le violenze poliziesche, in particolare fondatrice del collettivo «Urgenza la nostra polizia assassina», Amal Bentounsi, a reclamare l’abrogazione dell’articolo 435-1 del Codice della sicurezza interna, qualificata «permesso di uccidere». Da parte sua il ricercatore Fabien Jobard (noto per i suoi libri sulla polizia francese) stima che la legge del 2017, «molto problematica», ha creato «della confusione nei testi che erano molto chiari». (una critica un po’ blanda).L’avvocato Laurent-Franck Lienard difende quasi esclusivamente gli agenti di polizia (autori o vittime di reati), compresi i tiratori nei casi Pont-Neuf e 18° arrondissement. Particolarmente familiare con il concetto di autodifesa, si era pubblicamente opposto alla riforma del 2017 quando è stata progettata. La ha poi ritenuto “estremamente pericolosa per la polizia e per i cittadini”, evocando la difficoltà per la polizia di “coglierne i contorni”. “Se si comincia a dire alla polizia che possono sparare a un’auto in fuga, avremo più colpi, più feriti e più condanne della polizia”, temeva al momento in cui la legge fu promulgata.

Secondo il sito d’informazione Basta!, fonte della sola base di dati indipendente sui decessi causati dall’azione delle polizie in Francia, “almeno 38 persone hanno perso la vita” negli ultimi vent’anni sotto i proiettili delle forze di sicurezza, in circostanze equivalenti a un «rifiuto di ottemperare».

Soprattutto, questi ultimi cinque anni, «le forze dell’ordine hanno ucciso più persone in veicoli sono fuggite davanti alle uniformi rispetto ai quindici anni precedenti», scrive Basta!: 21 morti dal 28 febbraio 2017, contro 17 morti dal 2002 al 2017. Secondo i calcoli realizzati da Basta!, questo aumento è dovuto essenzialmente all’azione di poliziotti, mentre i gendarmi (in Francia molto meno numerosi degli operatori della polizia), già autorizzati a far fuoco nelle stesse condizioni prima della riforma, sembrano aver conservato le stesse pratiche.

Se si può supporre che la legge del 2017 abbia “disinibito” la polizia sull’uso delle armi, l’IGPN e le autorità politiche avanzano un’altra spiegazione: il rifiuto di ottemperare, ovvero la mancata ottemperanza all’ordine di fermarsi, sono in costante aumento negli ultimi anni. Secondo il conteggio del ministero dell’Interno, nel 2020 si sarebbero verificati 26.589 dinieghi, contro i 22.817 dell’anno precedente (+ 5,7%) e i 17.432 del 2018. Si tratta di uno ogni dieci-sette minuti.

Questa analisi ha portato il governo di Jean Castex a raddoppiare la pena per gli automobilisti colpevoli di non ottemperare, in una legge entrata in vigore nel gennaio 2022. Già punito con un anno di reclusione e una multa di 7.500 euro, questo reato è ora punibile da due anni di reclusione e 15.000 euro di multa.

Se il rifiuto di ottemperare è accompagnato da un “pericolo” per gli agenti preposti al controllo, l’autista rischia fino a sette anni di reclusione, contro i cinque precedenti. Per un semplice “mordi e fuggi”, ovvero uscire di scena dopo aver causato un incidente stradale, un automobilista rischia tre anni di carcere e una multa di 75mila euro.

 

Camille Polloni