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Evasione di sette ragazzi dal Beccaria. La deriva sicuritaria

 

FONTE:La Citta Futura

 

Il sistema carcerario opera come un’istituzione esclusivamente repressiva che viola i diritti umani e il principio costituzionale secondo cui le pene devono essere finalizzate alla rieducazione. I carceri per minori e giovani dovrebbero a maggior ragione seguire l’obiettivo della rieducazione e dell’inserimento lavorativo

 

 

Parlare di carcere oggi non è facile. Fino ai primi anni Ottanta era forte l’attenzione verso i dannati della terra, comitati e collettivi di solidarietà con i prigionieri politici e osservatori di varia natura denunciavano ogni giorno le condizioni disumane nei penitenziari italiani, quanto accadeva dentro gli istituti di pena era portato a conoscenza dell’opinione pubblica, l’esatto contrario di quanto accade oggi.

Molti anni sono trascorsi, ma la situazione non è cambiata, oggi al 41 bis troviamo detenuti non pentiti per reati di mafia ma anche prigionieri politici socialmente pericolosi per avere rifiutato ogni forma di collaborazione con lo Stato ma che, dopo decenni dal loro arresto, avrebbero già espiato le loro pene.

Nei giorni natalizi ha fatto scalpore la notizia della fuga dal carcere minorile di Milano di sette giovani, tre dei quali tornati in prigionia, un quarto si è costituito poche ore prima che ci accingessimo a scrivere. Si sono improvvisamente accesi i riflettori su un mondo nascosto e relegato o a fatti di cronaca o peggio ancora all’oblio. Perché la maggioranza dei reati commessi da minori riguarda giovani italiani anche se negli istituti minorili i detenuti sono in prevalenza stranieri. Il trasferimento dei giovani protagonisti delle proteste nel carcere di Opera è passato inosservato, trasferiti a Bari in fretta e furia sotto l’occhio vigile della classe politica e delle istituzioni carcerarie che invocavano la immediata e dura risposta delle istituzioni, una risposta che invece non arriva quando si parla di misure alternative alla pena, di sovraffollamento, per non parlare delle migliaia di detenuti che versano in condizioni di salute assai critiche e ben poco conciliabili con la detenzione.

Perché questo oblio? Entrare nel merito della condizione detentiva vorrebbe dire fare i conti anche con il pianeta giustizia, con migliaia di detenuti che potrebbero usufruire di misure alternative al carcere, imprigionati per assurde leggi che prevedono draconiane punizioni per reati di lieve entità.

I garantisti a senso unico, cioè garantisti dei ricchi e dei potenti, e gli incalliti securitari sono spesso figli della stessa logica e animano i teatrini dei talk show serali.

Opinione diffusa è che ci siano pochi poliziotti penitenziari rispetto alla popolazione detenuta, ma i problemi sono ben altri: da una edilizia carceraria fatiscente, al sistema penale che punisce con il carcere reati di lieve entità. Vi è una cronica assenza di educatori e operatori sociali: si è persa nel tempo l’idea che il carcere non sia che una parentesi nella vita di uomini e donne esclusi di fatto da percorsi di reinserimento sociale e lavorativo.

Vi sono certamente molti casi virtuosi di carceri per giovani in cui prevale l’aspetto rieducativo della pena e in cui i detenuti vengono inseriti in percorsi di istruzione e di inserimento lavorativo, ma nel complesso le carceri sono autentiche discariche sociali nelle quali sovente vengono sospesi i diritti umani come dimostrano le numerose inchieste aperte contro operatori di Polizia penitenziaria imputati di violenze.

Ogni anno nelle carceri si suicidano una novantina di detenuti, altre decine muoiono per assenza di cure perché in un paese civile il loro stato di salute sarebbe inconciliabile con la detenzione. Una strage silenziosa prodotto dell’ignavia culturale e politica verso il pianeta carcerario.

Mettere in sicurezza le carceri italiane per Salvini significa aumentare gli organici dei poliziotti penitenziari e rendere ancora più dura la detenzione; per noi gli interventi dovrebbero essere ben altri: dalla amnistia per i politici ancora detenuti dopo decenni a una riforma degli istituti di pena che dovrebbe partire da ben altri presupposti estranei alle logiche securitarie, ai carceri di massima sicurezza, dentro un’ottica di reinserimento sociale.

A essere chiari potremmo anche ammettere di non avere mai accettato l’idea del carcere, ma qui entreremmo in un ragionamento che ci porterebbe lontano, verso un modello sociale alternativo a quello oggi esistente, anzi dominante.

Emergenza suicidi, centri medici insufficienti e depotenziati nel corso degli anni, istituti di pena sovraffollati, condizioni di vita disumane: le nostre carceri sono tra le peggiori dei paesi occidentali ma per qualche politico restano invece degli hotel stellati dove i detenuti vivrebbero in una sorta di villeggiatura.

Guardare al pianeta carcerario in un’ottica securitaria significa prendere le parti sempre e comunque dei “secondini” ignorando fatti di cronaca come quelli di Santa Maria Capua Vetere o il diffondersi di malattie alimentate dal sovraffollamento.

E parlare di carcere diventa anche una questione di classe perché la stragrande maggioranza dei detenuti appartiene alle classi sociali meno abbienti, in un’ottica di società darwinista il carcere diventa una sorta di discarica dentro la quale non valgono diritti umani e civili, anzi diritti come quelli della salute e della socialità vengono apertamente negati nel nome di una pena severa.

È in corso da settimane lo sciopero della fame di due anarchici detenuti per reati politici e sottoposti al 41 bis per il rifiuto di collaborare con le istituzioni. All’improvviso abbiamo preso coscienza che il 41 bis non viene applicato solo ai mafiosi e alla grande criminalità organizzata ma anche a prigionieri politici sottoposti a un isolamento totale limitandone i colloqui con familiari e avvocati, esclusi da ogni forma di socializzazione. Dei circa 730 detenuti in regime di 41 bis quasi il 25% è costituito da detenuti per attività cosiddette terroristiche, controllati a vista 24 ore al giorno e spesso impossibilitati a trattenere rapporti epistolari o a ricevere pacchi di libri in istituti di pena dove le biblioteche, come anche i centri medici, stanno diventano un lusso insopportabile agli occhi securitari dei politici.

L’accanimento di una certa stampa verso i sette giovani evasi dimostra quanto forte sia stata la cultura autoritaria e securitaria nel paese con cui si è creato consenso attorno alla repressione degli ultimi, siano essi detenuti o i soggetti protagonisti del cosiddetto degrado urbano mentre si taccia di giustizialismo chiunque auspichi ad assicurare alla giustizia esponenti della classe politica corrotti o grandi capitalisti con essi collusi o evasori del fisco abituali.

Occorre un punto di vista alternativo a quello securitario di cui sono vittime anche i poliziotti penitenziari, un punto di vista che riparta magari dall’articolo 27 della Costituzione per il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

La logica securitaria nega nei fatti ogni principio e pratica tesa al reinserimento sociale, lo fa costruendo discariche sociali dentro le quali vengono sospesi anche i classici diritti borghesi.

E quanto accade oggi ai detenuti ben presto potrebbe capitare ad altri.

P.S. Ultima notizia. Sul quotidiano “Domani” del 27 dicembre 2022 leggiamo un articolo di Nello Trocchia: “Il governo vuole riabilitare gli agenti imputati dei pestaggi in carcere. Funzionari con 30 capi di imputazione non sono stati sospesi e in alcuni casi sono stati anche promossi. L’esecutivo tutela il posto dei poliziotti che sono al processo per tortura, reato che del resto il governo vuole modificare”.

È del tutto evidente che le posizioni processuali siano assai diverse tra di loro ma sono anche innegabili i due pesi e le due misure decise dalla Magistratura e dalla autorità penitenziaria. Che poi il garantismo verso alcuni agenti stia a cuore al governo più del garantismo verso gli ultimi (in questo caso i detenuti) è cosa risaputa, del resto nell’immaginario salvifico della destra gli uomini in divisa hanno sempre ragione. La ragione di ciò sarà nel fatto che nel loro album di famiglia ritroviamo fez e camicie nere?

 

Federico Giusti