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DAVIDE LIBERO











Mediterraneo, l’ennesima strage annunciata

 

FONTE: il manifesto

 

Naufragio dopo la fuga da Sfax: morti 41 migranti. Solo quattro superstiti a bordo di un barchino di ferro, tre dei quali minori. La Guardia costiera libica rifiuta i soccorsi

 

Sono i sopravvissuti tra i sopravvissuti, gli unici ancora vivi di un drappello di una decina di disperati scampati alla morte dopo che la barca sulla quale viaggiavano insieme ad altri migranti si è rovesciata a causa del maltempo che alcuni giorni fa imperversava nel Mediterraneo centrale. Dei dieci, sei si sono persi tra le onde mentre quattro, tre minori e un adulto, disperatamente aggrappati alle camere d’aria utilizzate come salvagenti, per loro fortuna hanno trovato un barchino in ferro abbandonato sul quale arrampicarsi.

Avvertiti martedì pomeriggio da un aereo di Frontex che aveva individuato i naufraghi al largo di Zuwara, in Libia, i marinai del mercantile Rimona battente bandiera maltese li hanno trovati lì sopra, stremati dopo quattro giorni trascorsi senza cibo né acqua in balia delle onde. Quattro miracolati arrivati ieri sotto choc a Lampedusa a bordo della motovedetta della Guardia costiera italiana che li ha recuperati dalla nave mercantile dopo che la Guardia costiera libica si è rifiutata di intervenire in loro aiuto. Come sempre.

È ancora tutta da ricostruire la dinamica dell’ultima strage di migranti nel Mediterraneo ma alcuni elementi certi ci sono già, oltre all’ormai consueta indifferenza della Marina libica: le vittime sarebbero almeno 41, tra le quali anche dei bambini, ma il numero avrebbe potuto essere più basso secondo Sea Watch. «Il naufragio è stato causato dal maltempo di questi giorni. Un maltempo ampiamente previsto – ha denunciato ieri la ong – e che le autorità europee hanno ignorato, lasciando al loro destino decine di barchini». Su questa ennesima tragedia è stata aperta un’inchiesta dalla procura di Agrigento.

L’imbarcazione con a bordo 45 persone, tra le quali anche diverso minori, era partita giovedì della scorsa settimana da Sfax, città costiera della Tunisia che – nonostante il memorandum di intesa firmato dall’Ue con il presidente tunisino Kais Saied proprio per fermare le partenze dei migranti – resta uno dei principali punti di imbarco per quanti cercano di arrivare in Europa.

Dopo sei ore di navigazione con onde alte anche tre metri, l’imbarcazione si sarebbe rovesciata facendo cadere in mare quanti si trovavano a bordo. «Ci siamo aggrappati alle camere d’aria, lo hanno fatto anche altri dopo che il barchino si è capovolto a causa di una violentissima onda», hanno raccontato i quattro sopravvissuti, tre minori, tra i quali una ragazza, e un adulto, originaria di Guinea e Costa d’Avorio. «Ma con il passare del tempo, forse ore, abbiamo visto i nostri compagni di viaggio prima allontanarsi, trasportati dalle forti correnti del mare, e poi sparire. Alcuni li abbiamo visti inghiottire dalle onde».

Dopo diverse ore passate in acqua, prosegue il racconto, «abbiamo visto una barca di ferro vuota e l’abbiamo raggiunta. Eravamo in dieci». Si trattava probabilmente di un’imbarcazione abbandonata dopo un precedente salvataggio, mentre nessuno di loro ha saputo spiegare che fine abbiano fatto i sei migranti che mancano all’appello. Un punto sul quale certamente torneranno gli agenti della squadra mobile di Agrigento che per contro della procura stanno conducendo le prime indagini, e che hanno riscontrato alcune contraddizioni nei racconti dei quattro sopravvissuti. Contraddizioni, amnesie che potrebbero essere dovute anche a timori nei confronti di chi ha organizzato la traversata. Una possibilità non esclusa di Ignazio Schintu, vice segretario generale della Croce Rossa. «Sono provati – ha detto – e credo che abbiano timori a parlare».

«Nonostante i proclami e i buoni auspici dell’Europa, nel Mediterraneo le persone continuano a morire e lo fanno quasi nell’indifferenza delle istituzioni. Sull’isola si susseguono le visite degli eurodeputati, ognuno promette interventi, ma in concreto non è cambiato nulla», commentava ieri il sindaco di Lampedusa Filippo Mannino. E all’Europa hanno appello anche Unhcr e Oim per chiedere «meccanismi coordinati di ricerca e soccorso» dei migranti in mare.

«I numeri di oggi aggravano il bilancio delle vittime dei naufragi nel mediterraneo centrale» hanno ricordato le organizzazioni dell’Onu. «Secondo il Missing Migrants Project dell’Oim, sono già oltre 1.800 le persone morte e disperse lungo la rotta, che si attesta ancora tra le più attive e più pericolose a livello globale, con oltre il 75% delle vittime nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni».

di Marina Della Croce

 

Il commento dell’Ammiraglio

 

Avremmo i mezzi per salvarli e non lo facciamo

 

Non si capisce come mai non siano dislocate a Lampedusa e nei porti del canale di Sicilia le unità di altura della Guardia Costiera, raramente operative in questi soccorsi

di Vittorio Alessandro – ammiraglio in congedo ed ex portavoce della Guardia Costiera

L’ultimo grave naufragio nel canale di Sicilia, con quarantuno morti dopo i novanta dello scorso fine settimana, è l’ennesima prova di inadeguatezza del sistema dei soccorsi. Il gran numero di interventi in mare e di sbarchi a Lampedusa tradisce l’assenza di una visione realistica delle cose: non soltanto si sono moltiplicati gli arrivi rispetto a quelli dello scorso anno, ma lo Stato fa costante ricorso all’intervento delle navi Ong.
Eppure continua ad additarle come fattore di attrazione e le accusa perfino di complicità con i trafficanti, penalizzando la loro attività operativa o addirittura punendole. Nonostante i moltiplicati sforzi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, fino alle loro estreme possibilità operative, continua il silenzio imbarazzato del governo. Che appare impegnato soprattutto a svuotare in continuazione l’hotspot di Lampedusa, dove anche le istituzioni locali sono portate allo stremo per riuscire a garantire la continuità delle operazioni.
Gli accordi con la Libia e la Tunisia non hanno cambiato una situazione che, se mai, risulta aggravata. Per il crescente numero di morti in mare: oltre 1.800 dall’inizio dell’anno, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), fra loro moltissimi bambini, e una quantità imprecisata di dispersi. Mentre continuano le denunce delle efferatezze sistematicamente compiute da quei Paesi nei confronti dei migranti, nei propri territori e in mare, dove le rispettive milizie esercitano non il soccorso, ma spregevoli inseguimenti.
Se crediamo veramente in una politica marittima che veda in primo piano il rispetto dei diritti e la qualità dei rapporti diplomatici, dobbiamo finalmente abbandonare la logica delle frontiere, mai invalicabili dalla disperazione, né commissionare ad altri il lavoro sporco di chi asseconda le partenze fingendo, poi, di volerle ostacolare.
Tale strategia produce morti invisibili e propaga nella nostra società veleno e sempre maggiore indifferenza, colpendo un impegno nei soccorsi che, per quanto generoso, risulta incoerente e induce a gravi errori – come sappiamo essere accaduto a Cutro.
Porta anche a vere e proprie vessazioni, come nel caso della nave Geo Barents. Martedì scorso ha recuperato quarantasette migranti alla deriva da sei giorni con un complicata azione di salvataggio, durante la quale tre persone sono cadute in mare e una è rimasta dispersa.
Dopodiché la nave si è vista assegnare il porto di La Spezia. Così quei naufraghi, dopo aver sofferto il mare grosso e la paura, stanno ancora percorrendo un ulteriore viaggio di quattro giorni, prima di poter toccare terra.
È urgente e necessario, dunque, che si aprano corridoi umanitari. E laddove questi dovessero rendersi subito di difficile percorrenza, che si apprestino nel frattempo adeguati dispositivi di soccorso in mare. Ma anche di accoglienza.
Non si capisce, ad esempio, come mai non siano dislocate a Lampedusa e nei porti del canale di Sicilia le unità di altura della Guardia Costiera, raramente operative in questi soccorsi, e non si vede perché non si affronti l’emergenza con tutte le risorse disponibili: i grandi porti del Sud e il volontariato organizzato secondo un rigoroso coordinamento dello Stato.
Sono questi passi da compiere subito perché possa parlarsi di un ruolo forte dell’Italia nel nostro mare. Nel segno della civiltà e della comprensione di un fenomeno che non chiama in causa soltanto i buoni sentimenti, ma secoli di civiltà marinara oltre che una grande sedimentazione di esperienze e di regole.