NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

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Lazio-Roma: l’arte di “buttarla in caciara”

 

FONTE:Sport People

 

Che la stracittadina romana sia uno dei pochi eventi calcistici della Serie A a potersi ancora considerare vivi, ruvidi e movimentati non è certo mistero. Al di fuori di molte logiche commerciali di altri derby e ancora legato alla profonda contrapposizione tra due fazioni, che sanno mettere in scena alla perfezione la folle quotidianità pallonara della Capitale. Così come è palese che in un periodo di caccia alle streghe come questo, diventi un facile bersaglio per sfogare tutta la frustrazione repressiva dei soliti noti e gettare ettolitri di inchiostro moralistico e giustizialista sulle pagine degli altrettanto noti scribacchini. Ci sono stati tafferugli? Sì. Ci sono stati disordini a margine dell’incontro? Sì. E la soluzione qual è, dunque? Innanzitutto farla giocare sempre di giorno dalla prossima stagione. Se poi le tensioni si sono registrate quando il sole baciava ancora i Sette Colli, conta poco. L’importante è alimentare l’ipocondria, la sete di “emergenza” che ormai guida questo Paese da anni. E comunque vi voglio vedere quando le televisioni chiederanno la notturna ricoprendovi di Euro, e tutte le palle sulla sicurezza e sui violenti verranno messe sotto al letto assieme alla polvere di menzogne grandi quanto una casa. Poi, “ovviamente”, bisogna colpire le due tifoserie bloccandone le trasferte fino al termine della stagione, andando a cavalcare quello che sembra essere il miglior puledro del nostro ineffabile condottiero degli Interni: le punizioni collettive. Già amate, costruite, forgiate e normalizzate dai precedenti esecutivi, riproposte in pompa magna da quello attuale. Certo, bisogna anche riempire le pagine dei giornali e i momenti di stanca delle trasmissioni sportive con scenografie e momenti di tifo. Perché quegli stessi tifosi che vanno allontanati, per i quali le chiavi delle patrie galere vanno buttate e le sanzioni esistenti non bastano mai, in questo caso sono la massima espressione della passione, della fantasia, del calcio. Quel calcio “della gente” che tanti idioti pubblicizzano dal tubo catodico. Ma quale gente? Quella che deve stare zitta, buona, amorfa con un pacco di popcorn tra le mani mentre redige statistiche per il fantacalcio, oppure quelli che colorano i settori e aiutano a vendere un prodotto che di suo sarebbe scarso, scarno e pietoso? Mentre pontificate, fate pace col cervello!

In queste ore c’è chi sta prospettando, oltre ai divieti di trasferta, anche le porte chiuse per le prossime sfide dei club capitolini, perché chi più ne ha più ne metta. Il circolo vizioso in cui si è entrati – quello del divieto, della punizione massiva e della demonizzazione a prescindere – stavolta presenta margini di fuga davvero difficili da intuire. L’impressione è che la direzione intrapresa sia quella di disfarsi totalmente di qualsiasi forma aggregativa e potenzialmente foriera di antagonismo, anche minimo. Senza voler fare apologia della violenza, ma con una coscienziosa e commisurata visione di ciò che accade, viene da chiedersi se ci si renda conto della sproporzione raggiunta in fatto di oppressione. E correlatamente, anche in termini di (in)costituzionalità. Il principio di responsabilità oggettiva quotidianamente violato, in barba a qualsiasi bel discorso dei nostri politici e dei nostri giornalisti mainstream (categorie che sovente viaggiano sullo stesso treno. Ovviamente di prima classe, dove si schifa il popolino della seconda e peggio ancora quello della terza). “Devi subire e devi stare pure zitto. Anzi, ringraziaci se ogni tanto ti apriamo una trasferta e se ancora te lo facciamo giocare il derby”. Di fondo questo è il concetto con cui viene gestito ogni evento sportivo in Italia, da sempre, ma soprattutto in questo momento storico. Il problema è che tutto diviene sensazionalismo, oggetto da dibattito di bassa levatura, utile ai talk show del primissimo dopo pranzo. Nessuno – ma davvero nessuno – si prende la briga di muovere qualche critica logica, di farsi domande. Perché se è vero che non ci si aspetta certo l’esaltazione degli scontri, è altrettanto vero che talune falle dal punto divista organizzativo e gestionale si ripetono da anni, anche in maniera alquanto elementare. Eppure si preferisce “buttarla in caciara” e andare a parare con cose che non c’entrano nulla con l’accaduto (vedi le trasferte). Viene da chiedere poi che senso abbia inibire i settori ospiti fino al termine della stagione e invocare le porte chiuse, quando il sistema giuridico nostrano in tema stadio conti il più alto numero di leggi in Europa, nonché le più ferree e spesso eccessive. Ma davvero nessuno vuol per un momento scrollarsi di dosso la mano lunga della propaganda riguardante sicurezza e controllo sociale? Va bene che siamo perennemente agli ultimi posti come libertà di stampa, ma la speranza che ogni tanto un Mister X qualunque si svegli e si ricordi la bellezza di svolgere questa professione, anche andando controcorrente, non muore mai.

Volendo prendere la lente e guardare a più ampio spettro il momento che attraversiamo (il discorso andrebbe allargato davvero a qualunque campo della società dove si fa aggregazione o si cercano di portare avanti ideali… Daspo Preventivo docet!) sembra alquanto scontato che così non si possa e non si debba andare più avanti. Quanto successo a Milano, probabilmente, aiuta un certo tipo di campagna governativa e mediatica, volta a fare di tutta l’erba un fascio e trovare i mostri anche laddove non esistono. “Siccome lo fanno là, lo fanno sicuramente anche altrove”: posto che pure sulla situazione delle due meneghine si potrebbe dire tanto, di certo vietare gli strumenti del tifo non è un modo per risolvere questioni che esulano dal contesto stadio. Tuttavia per giustificare e dar credito alla politica del divieto, vale tutto. Si dicesse a chiare lettere che si vuole eliminare qualsiasi vagito di sostegno organizzato, senza viscidi sotterfugi o punizioni degne della peggior maestra dell’asilo. Sarebbe almeno uno slancio di onestà. Un Paese come il nostro può vantarsi, oggi, nel 2025, di vietare sistematicamente un mare di trasferte ogni fine settimana? E parliamo spesso di partite dove esistono flebili rivalità o dove, peggio ancora, neanche c’è nulla tra le fazioni. Va bene a tutti avere un Ministero e degli organi calcistici che avallano la politica della “non gestione”? Del rifiutarsi categoricamente di organizzare un normale evento pubblico? E non facciamo l’errore di cadere nella frase banale “è solo una partita di calcio”. Perché non è più solo una partita di calcio. Divieti, balzelli e limitazioni sono sbarcati da anni nella società civile e lo dimostrano anche le ultime emanazioni legislative in termini di sicurezza (che attenzione, non solo isolate figlie di questo esecutivo, chiaramente, ma poggiano la loro esistenza sull’apparato costruito da chiunque sia passato su questi temi). Oggi più che mai quello striscione di inizio anni duemila, “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani per la città” risulta veritiero, profetico e tangibile! Dirò di più: in molti casi neanche interessa agire come un tempo, vietare megafoni, tamburi, striscioni e bandiere col tentativo di zittire gli ultras. Oggi questi, ma anche i tifosi “tradizionali”, non ci devono proprio più stare sulle gradinate. E da sudditi… devono fare silenzio e subire l’ondata di odio dagli altri cittadini, aizzati sapientemente da un certo modo di fare informazione. Poi domani dal “folk devil” del caso, si passerà a mettere alla gogna il manifestante di piazza o il runner o chi porta a spasso il cane, come in tempi di pandemia. Tutti contro tutti, cani che mangiano cani e che mai si sognerebbero di mordere la mano del padrone.

Chiaramente si potrebbe e si dovrebbe aprire anche un capitolo sulla poca capacità di reazione e organizzazione da parte delle curve e di tutto ciò che ruota attorno a esse. Ma, ahinoi, è più in generale la stessa storia di questo Paese tutto, ormai anestetizzato e rincoglionito da falsi sogni, fittizio benessere e recondite speranze. Senza nessuna velleità di rabbia e lotta per difendere anche una sola mattonella della propria casa. Aspettiamo vanamente pure una presa di posizione delle società (mica dico di tutte, ma almeno di alcune) sull’andazzo degli ultimi due anni, che ha oggettivamente restituito un’immagine fedele del nostro calcio: allo sbando, incapace di tutelarsi e soprattutto schiavo di soldi e repressione. Nel frattempo rimaniamo alla finestra, in attesa dell’ennesima ondata di sanzioni collettive, che non serviranno ovviamente a nulla, se non a far dire quanto siano ancora deboli e poco efficaci ai giustizialisti e a tutte quelle figure che nel tempo hanno provato a fare carriera sulla pelle dei tifosi. Attendiamo ancora una volta l’esimio parere dell’Osservatorio sul Nulla, questo organo pagato da noi che, dall’alto dei suoi dubbi personaggi, decide chi può e chi non può accedere in uno stadio sulla discriminatoria base territoriale. Infine: quanto fanno comodo gli ultras per sfuggire tematiche di portata sociale che attanagliano quotidianamente il Paese? Storia vecchia quella delle “armi di distrazione di massa”, sia chiaro. Dividi et Impera. Storia millenaria di chi detiene lo scettro del potere. Meglio gettare negli occhi del popolo il fumo della paura per attimi di tensione e turbolenze (che peraltro i diretti interessati pagheranno salatamente) che prevenire, aprire un dialogo, agire a più ampio spettro. Insomma, sempre più facile usare il pugno duro (ergo il manganello) che tentare di elevarsi a luogo civile e in grado di affrontare problemi e acredini senza inutile scalpore. Magari gestendo la trasferta successiva, senza limitazioni, come si fa nei posti normali. Sicuramente non l’Italia. Scusate, ma sul derby non ho null’altro da dire.

 

Simone Meloni