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Il lunedì nero della questura di Roma: poliziotti arrestati per rapina e spaccio

 

FONTE:il manifesto

 

La banda spacciava, i poliziotti coprivano. Sequestri di hascisc manomessi e verbali falsificati a Roma. Caos al commissariato di San Lorenzo: sei indagati, due in arresto. Il lunedì nero della questura: altri tre agenti ai domiciliari per rapina.

 



La storia è quella di una banda di spacciatori come tante altre: i contatti all’estero, i corrieri, i custodi, i ragionieri a far di conto e i controllori a tenere i rapporti con le piazze locali. Quello che c’è di inconsueto nell’operazione «Don Rodrigo» del Gico della guardia di finanza scattata ieri è la copertura istituzionale: dei 31 indagati, infatti, sei sono poliziotti del commissariato di San Lorenzo a Roma. Due sono stati arrestati: il viceispettore Angelo Bonanata (in carcere) e il sovrintendente capo Pasquale Argenio (ai domiciliari).

Le indagini, coordinate dalla procura della Capitale, sono ancora in corso ma quello che viene fuori dalle 197 pagine di ordinanza firmate dalla gip Emanuela Attura è un quadro tanto chiaro quanto inquietante: l’organizzazione capeggiata da tre fratelli – Mourad, Mohamed e Ali Rafia – era attiva almeno dal giugno del 2021 nell’import di hascisc e marijuana dalla Spagna e dal Marocco, con stoccaggio in Italia tra Ardea e Torvajanica. Il mercato all’ingrosso di riferimento a Roma era poi all’Alessandrino e Castel Romano. Da lì lo smercio avveniva principalmente nelle piazze del Pigneto, di Spinaceto, di Don Bosco e delle Capannelle, oltre che in provincia di Latina.

I poliziotti, accusati a vario titolo di peculato, falso ideologico e detenzione ai fini dello spaccio, risolvevano i problemi. Due gli episodi che emergono dall’inchiesta. Il 10 novembre del 2022, durante una perquisizione domiciliare, gli agenti avrebbero fatto sparire 15 chilogrammi di hascisc. Il 22 dello stesso mese, durante un’operazione che ha portato al sequestro di altri 229 chili di sostanza, stando a quanto hanno ricostruito gli investigatori, 59,5 chili sarebbero stati presi e poi consegnati all’organizzazione dei Rafia nel parcheggio di un centro commerciale a est di Roma. Tutto questo sarebbe stato possibile perché i verbali sarebbero stati falsificato, modificando sia gli orari dei blitz sia le quantità di stupefacenti sequestrate.

Stando intercettazioni raccolte e finite agli atti, il rapporto tra gli agenti e i criminali appare stabile nel tempo, una collaborazione rodata e che, con ogni probabilità, non si è limitata ai soli due episodi citati nell’ordinanza. E se uno dei sei uomini in divisa indagati ha evitato l’arresto solo perché nel frattempo è andato in pensione (e quindi non potrebbe reiterare i reati di cui è accusato), la posizione del viceispettore Bonanata viene ritenuta più grave di quella del sovrintendente capo Argenio perché aveva rapporti diretti con almeno un membro dell’organizzazione criminale. Il secondo – peraltro premiato nel 2015 come «poliziotto eroe» per aver disarmato e arrestato insieme a un collega sei rapinatori georgiani nel loro covo – agiva solo di supporto, senza aver mai apparentemente avuto contatti con il resto della banda.

Il lunedi nero della polizia di Roma ha portato con sé anche un altro episodio, più circostanziato ma lo stesso preoccupante. Sempre ieri, tre agenti del commissariato Salario-Parioli sono finiti ai domiciliari per aver rubato 36mila euro durante una perquisizione. «Rapina aggravata», dice la procura: i tre, fingendo di dover fare un controllo in un’abitazione di Mostacciano, sarebbero entrati nella camera da letto, avrebbero aperto la cassaforte lì presente e avrebbero portato via il denaro che si trovava all’interno. Duro il commento arrivato dalla questura. Le due operazioni, si legge in un comunicato, «rappresentano il frutto di un patrimonio anticorpale che ha sempre visto la questura inflessibile nei confronti di operatori della polizia di stato che, tradendo il giuramento prestato all’atto dell’arruolamento, dirottano il proprio percorso professionale all’insegna di una inclinazione a delinquere incompatibile con il mandato costituzionale». E il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si associa: «La polizia di stato è un’istituzione sana e trasparente che è in grado di fare pulizia al proprio interno, quando è necessario farlo. Superfluo sottolineare che questi rarissimi casi, pur molto dolorosi, nulla tolgono alla riconoscibilità del fondamentale lavoro svolto dalle forze di polizia a cui tutti i cittadini possono guardare con sentimenti di fiducia e gratitudine».

E poi c’è l’ultima grana, riflesso del caso di cronaca nera più discusso del momento: l’inchiesta interna, che riguarderebbe una decina di agenti, sulla leggerezza dei controlli effettuati su Francis Kauffman – conosciuto anche con gli alias di Rexal Ford e Matteo Capozzi -, l’unico indagato per i due cadaveri ritrovati a Villa Pamphili lo scorso 7 giugno. L’uomo era stato fermato due volte nei giorni precedenti: la prima era insieme alla 28enne Anastasia Trofimova e Andromeda Ford (6 mesi). La seconda era soltanto con la piccola, perché la donna già era morta. In entrambi i casi ha esibito ai poliziotti il suo passaporto statunitense e la questione è finita lì, senza ulteriori approfondimenti.

 

Mario Di Vito