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DAVIDE LIBERO











L’Italia tradisce le vittime di tortura

 

FONTE:l’Unità

 

La giornata mondiale contro la tortura. Tra trafficanti e poliziotti ecco chi tortura i migranti. Secondo il report della Rete italiana per il supporto a persone sopravvissute a tortura, le vittime sono soprattutto richiedenti asilo (il 69%). La maggior parte delle violenze nei paesi di transito a opera di criminali e pubblici ufficiali, che in paesi come la Libia spesso sono la stessa persona

 

Con trent’anni di ritardo rispetto agli obblighi dati dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani o degradanti approvata dall’Assemblea generale nel 1984 – appena nel 2017 l’Italia ha introdotto nel proprio codice penale il reato di tortura, mentre è del gennaio 2021 la prima sentenza di condanna per atti di tortura, emessa da un Tribunale italiano nei confronti di un agente della polizia penitenziaria che nel 2017 aveva torturato un uomo detenuto nel carcere di Ferrara. Va tuttavia ricordato che in precedenza l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani per le torture commesse nel centro di Bolzaneto a Genova nel 2001 e per quelle commesse nei confronti di due detenuti nel carcere di Asti nel 2004.

Pochi sanno che la stessa Convenzione ONU prevede all’articolo 14 un obbligo per gli Stati a garantire “nel proprio ordinamento giuridico che la vittima di un atto di tortura ottenga giustizia e abbia diritto a un risarcimento equo e adeguato, compresi i mezzi per una riabilitazione il più possibile completa”.

Cosa si deve intendere con il termine di riabilitazione? Nel General Comment n° 3 (2012) adottato dal Comitato ONU contro la tortura, la riabilitazione è definita come il percorso che porta al recupero, da parte della vittima di tortura, delle sue capacità fisiche, mentali e relazionali con l’acquisizione di nuove competenze e capacità che permettano alla persona un pieno inserimento sociale. Per conseguire tali obiettivi gli Stati adottano “un approccio integrato a lungo termine per garantire che siano disponibili servizi specialistici per le vittime di tortura o maltrattamenti, adeguati e facilmente accessibili”. La riabilitazione della vittima di tortura non si esaurisce dunque in singoli interventi medici o psicologici messi in atto per rispondere a un determinato disturbo fisico o psichico o a una situazione di difficoltà, ma si configura come un insieme di interventi medici, di natura sociale e legale finalizzati a realizzare una complessiva presa in carico della vittima di tortura che va accompagnata per tutto il tempo che sarà necessario a completare il percorso di piena riabilitazione.

È stato necessario attendere il Decreto legislativo n. 251/2007 come modificato dall’articolo 1 del Decreto legislativo n. 18/2014 (art. 27 bis) affinché l’ordinamento italiano recepisse (in modo altresì parziale) l’obbligo di predisporre programmi di riabilitazione per le vittime di tortura, prevedendo che il Ministero della salute adotti delle “Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale”, cosa che avvenne nel marzo 2017.

Anche se il focus dell’azione istituzionale è orientato, per evidenti ragioni, verso i richiedenti asilo e i titolari di protezione, le stesse Linee Guida forniscono precise indicazioni sugli interventi da realizzare “qualunque sia la condizione giuridica dello straniero” (pag. 34) vittima di tortura che per qualsiasi ragione non ha ancora avuto accesso alla procedura di asilo. Le Linee Guida del Ministero della Salute, redatte da un gruppo di esperti che ben conosce la tematica, sono un testo pregevole che, nei limiti dati da una norma primaria piuttosto carente, forniscono indicazioni molto precise su come attuare in tutto il territorio nazionale gli interventi di presa in carico delle vittime di tortura, nella consapevolezza che si tratta di situazioni per nulla rare, bensì, all’esatto opposto, molto diffuse e che, secondo le Linee Guida e la letteratura scientifica internazionale sul tema, riguardano in media non meno del 30% di tutti coloro che chiedono asilo, dunque decine di migliaia di persone. Tale percentuale è però certamente superiore in Italia, dove arrivano persone che hanno subito tortura in paesi di transito dove la violenza è estremamente diffusa, come la Libia e la rotta balcanica. Le precise indicazioni impartite dalle Linee Guida ministeriali alle Regioni sono però rimaste dal 2017 quasi interamente inattuate, come ha evidenziato il rapporto “Attuazione delle linee guida per assistenza e riabilitazione delle vittime di tortura e altre forme di violenza: mappatura e analisi” pubblicato da Medici Senza frontiere il 12.04.22 a seguito di un’indagine sul campo condotta in tutta Italia. Nessun miglioramento si è registrato successivamente a tale rapporto e il ritardo dell’Italia nel dare attuazione concreta all’obbligo di dotarsi di un piano nazionale di riabilitazione delle vittime di tortura è diventato enorme e drammatico. Recuperando e coordinando esperienze presenti in tutta Italia (alcune decennali) nate da chi non si arrende al desolante stato di cose sopra descritto, è stata creata, a dicembre 2024, la Rete Italiana per il Supporto a Persone

Sopravvissute a Tortura (ReSST) con l’obiettivo di migliorare la disponibilità e la qualità dei servizi per la riabilitazione delle persone sopravvissute a tortura e per promuovere formazione e attività di ricerca scientifica. Una rete autorevole e coraggiosa che ha in programma di realizzare percorsi formativi per il personale socio-sanitario e del sistema di accoglienza che operano con le vittime di tortura. E che deve ricevere da soggetti pubblici e privati tutto il sostegno che merita. In occasione della Giornata mondiale contro la tortura, che si celebra oggi 26 giugno, la ReSST ha presentato un primo rapporto annuale (www.controlatortura.it) basato su dati raccolti nel corso del 2024 e relativi a 2.688 persone (62,7% uomini e 37,3% donne) che avevano subito tortura (non dunque certo la generalità di tale popolazione in Italia, ma solo coloro che le associazioni parte della Rete sono riusciti a seguire, nel ‘24 o in precedenza con una certa continuità). Come era facile immaginare, la larga maggioranza delle vittime è composta da richiedenti asilo (69%), da rifugiati (13%) e da titolari di altre protezioni (18%), il 5% riguarda persone con altri titoli di soggiorno, mentre il 3% sono irregolari. A conferma che la condizione di vittima di tortura non riguarda solo l’ambito del diritto d’asilo.

La tortura è avvenuta nei paesi di origine (35,4%), ma in misura ben maggiore (il 64,6%) nei paesi di transito, un dato allarmante ma in linea con tutti i rapporti internazionali. Gli agenti della persecuzione sono stati in assoluta prevalenza, e in proporzioni pressoché uguali, i trafficanti (il 33%) e i pubblici ufficiali (28%), figure che in molti Paesi (e in primis in Libia) sono solo apparentemente distinte. Anche in questo caso, si tratta di un dato terribile ma confermato dalla generalità dei rapporti internazionali e che fa emergere il problema, del tutto rimosso dalla politica, di quali azioni ed interventi realmente l’Unione Europea e i suoi Stati finanzino tramite le ingenti risorse genericamente destinate per la gestione delle migrazioni nei paesi terzi. L’introduzione di rigorosi criteri di condizionalità su tali finanziamenti, unitamente a un monitoraggio indipendente, è una priorità assoluta per non essere, tutti noi, parte della tortura.

 

Gianfranco Schiavone