NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

26 MARZO 2000

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

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DAVIDE LIBERO











Discoteche e buttafuori: una ricerca etnografica

 

FONTE: Volere la Luna

 

Le discoteche non godono di buona stampa. È, infatti, opinione corrente che esse siano frequentate da giovani poco acculturati, intossicati di musica mediocre, spesso dediti alla violenza e all’uso di droghe e che i buttafuori siano fascisti o rambo. Questa vulgata è in parte smentita da una recente ricerca etnografica che evidenzia come talora proprio i buttafuori pratichino forme di mediazione più di altri operatori.

 

Una recente ricerca di Pietro Saitta (L’ultima maledetta mezzora. Discoteche, gestione della-violenza e culture dei buttafuori) ha il merito di far conoscere il mondo delle discoteche e dei buttafuori che in realtà è poco noto alla maggioranza della popolazione e anche dei ricercatori in scienze politiche e sociali. Un merito tanto più che si tratta di una vera etnografia in cui l’autore si cimenta attraverso un’osservazione partecipante sino a svolgere l’attività di buttafuori e non di semplice osservatore non coinvolto.

L’opinione corrente sulle discoteche è piuttosto negativa non solo fra i benpensanti anche perché, pur essendo assai numeroso, il “popolo delle discoteche” è di fatto un mondo a parte. Fra i tanti luoghi comuni si pensa che tali luoghi siano frequentati soprattutto da giovani poco acculturati che amerebbero intossicarsi di musica spesso mediocre, di dj qualunquisti, in un milieu trash che facilmente scivola nella violenza, nell’uso e abuso di anabolizzanti e droghe, di molestie sessuali, di ostentazioni di mascolinità continue a quelle di tante palestre e si pensa che i buttafuori siano fascisti o rambo.

La ricerca di Saitta smentisce queste opinioni negative e mostra invece un universo in cui sembra prevalere la mediazione o la ricerca della gestione pacifica dei litigi e conflitti. È, infatti, sorprendente leggere quanto asseriscono al riguardo un caposquadra di buttafuori (pp. 71-74), alcuni suoi colleghi e anche qualche proprietario di discoteche. E Saitta mostra bene anche come questo universo rispecchi la società circostante, ne sia cioè un segmento che è parte organica di tutto il mondo sociale anche perché finisce per coinvolgere non solo i giovani frequentatori ma anche i genitori e altri.

Fra tanti aspetti che sicuramente attireranno l’attenzione del lettore, mi pare rilevante quanto vi si racconta a proposito del controllo sociale praticato dai buttafuori. Di fatto è in un continuum con quello che è esercitato in tutti i segmenti e momenti della vita quotidiana (da quello dei genitori a quello degli operatori sociali e degli insegnanti, da quello dei capi e dirigenti nelle diverse attività economiche, sino a quello istituzionale delle polizie e dell’amministrazione della giustizia). In particolare, è interessante il racconto etnografico che ne fa Saitta mostrando come il controllo sociale dei buttafuori sia alquanto simile a quello degli operatori delle polizie a cominciare dai tratti somatici e dell’aspetto (quello che in francese si chiama faciès) in base ai quali il buttafuori decide chi entra e chi va tenuto fuori o buttato fuori.

In realtà non è esagerato affermare che siamo approdati a una società iper-controllata, non solo dal grande fratello postmoderno della videosorveglianza “intelligente” di cui parlava Deleuze già negli anni ’80 (cfr. Postscriptum sul les sociétés de contrôle e articoli su www.osservatoriorepressione.info). I genitori sono sempre più sollecitati a fare gli sbirri sui figli (sino a controllarli con i cellulari già da piccolissimi), gli insegnanti sono ormai deputati a sorvegliare e punire per ottenere un disciplinamento militaresco sino a verificare che ogni allievo occupi il posto segnato nella mappatura della classe e a compilare ogni giorno il registro elettronico in cui segnare ogni discostamento rispetto alla disciplina stabilita (pena note pesanti e con conseguenze nefaste persino a vita poiché si ripercuotono sul profilo che resta per sempre, come la schedatura delle polizie e la fedina penale). A questo si aggiungono le frequenti lezioni di legalità per la sicurezza impartire da dirigenti delle polizie che non mancano di aizzare gli allievi a fare i controllori in un frame di militarizzazione delle scuole e di intese fra università, polizie e industria militare.

Basta quindi pensare cosa resta di una serata andata male in discoteca quando si traduce anche in intervento da parte delle polizie. Come mostra Saitta, si capisce allora l’importanza decisiva che ha la gestione pacifica che può praticare il buttafuori e della collaborazione degli stessi frequentatori a tale opera, in un frame in cui sembra prevalere una sorta di civilizzazione dei costumi (come la chiamava Norbert Elias); e ciò benché i media gridino allarmismo per la presunta esasperazione della violenza (come del resto gli attuali leader delle destre nonché tanti dell’ex-sinistra). Laddove c’è esasperazione della violenza si tratta sempre di reazione a violenza subita dal dominante di turno o dalle istituzioni in una congiuntura in cui i servizi sociali sono stati quasi del tutto smantellati o ridotti a subappalto asservito alla repressione anziché alla mediazione e gestione pacifica. Si pensi per esempio alla cosiddetta delinquenza minorile a Milano o a Torino: non c’è forse l’esasperazione immancabile di ragazzini in carceri quali il Beccaria o il Ferrante Aporti che sono lager dove i carcerati sono persino alla mercé di violenze sessuali da parte degli aguzzini (vedi in particolare i recenti rapporti di Antigone e Cattivi: le carceri dei ragazzi viste da dentro)?

Forse la realtà raccontata da Saitta non è ancora travolta dal processo di fascistizzazione che sembra imporsi dappertutto, dagli Stati Uniti per opera del dispotismo nazifascista di Trump sino ai governi neofascisti europei fra i quali quello di Giorgia Meloni.

 

Un’aggiunta sociologica

 

La ricerca di Saitta riguarda la realtà siciliana, che è simile a quella meridionale e in parte anche a quella del centro e del nord dell’Italia. I locali da ballo in Italiaerano 4.200 a inizio millennio e oggi sono meno della metào si sono trasformati in tutt’altro.Ufficialmente sono 1.057, maper le associazioni di categoria, quale il Silb-Fipe, sono invece 3.500 e danno lavoro a 100 mila persone. L’Istat, basandosi sui codici Ateco, ne conta 1.500, ma, alla voce Isa Ag852, sono 1.057i contribuenti nella categoria “Discoteche, sale da ballo, night club e scuole di danza”. Molte discoteche possono avere attività di ristorazione e bar; è quindi probabile che rientrino in queste categorie e perciò se ne conterebbero 3.500. Nel 2024 le discoteche italiane hanno fatturato quasi 500 milioni di euro, con oltre 34 milioni di presenze e più di 200 mila spettacoli organizzati; per l’estate 2025 si stima un aumento del 3-4% di ricavi. Ovviamente molte di queste presenze, forse il 70%, sono delle stesse persone, ma si tratta comunque di un numero assai importante. Fra l’effetto deleterio del Covid, il calo demografico (tre milioni di giovani in meno negli ultimi vent’anni), il cambiamento di gusti e comportamenti e il dilagare dell’abusivismo, rispetto a trent’anni fa c’è stato un calo, ma non nel fatturato. Si è avuta anche una certa crescita soprattutto al Sud e nelle isole non solo grazie al turismo e all’aumento della qualità dell’offerta, ma anche perché l’emancipazione dei giovani è ormai pari a quella del nord.

Se si prendono in considerazione alcuni aspetti sociologici che emergono da informazioni raccolte sul web, si può, peraltro, dire che la realtà raccontata in questa ricerca è forse destinata al declino. La cosiddetta generazione Z, infatti, sembra non riconoscersi più in un modello fatto di sale buie, dj, set notturni e drink al bancone. Oggi si preferiscono le feste in villa, i chiringuiti sul mare, i ristoranti con musica, le esperienze più intime, più fluide, più personalizzate. Magari all’aperto e senza pagare l’ingresso. Secondo Maurizio Pasca, presidente di Silb-Fipe, «le discoteche non possono più restare ferme all’idea di “sabato sera, luci stroboscopiche e consolle. Devono cambiare pelle, contaminarsi, aprirsi a un pubblico diverso, a un tempo diverso, a format diversi. L’offerta oggi è molto più variegata: non solo dj e pista, ma ambienti curati, audio all’avanguardia, set pomeridiani, eventi tematici, corner sobri, servizi smart. Un’esperienza che va oltre la musica, che guarda al benessere, all’inclusività, al senso di comunità. Non basta più far ballare: bisogna far stare bene».

 

Salvatore Palidda