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Cari sbirri, li volete o no i codici identificativi sulle divise?

 

Mi chiamo Carlo Gubitosa, sono un giornalista e saggista, e dal 2001 al 2003 ho svolto una inchiesta sui fatti del G8 genovese, producendo un libro/documento di 600 pagine.Con la presente vorrei replicare con preghiera di pubblicazione alla "Lettera congiunta Silp-Sap sui fatti del G8 di Genova del 2001"

 

Cari rappresentanti di Silp e Sap,
ho letto con interesse la vostra lettera aperta rivolta ai media, in cui avete detto che "i Poliziotti del G8 sono anche i primi che esigono chiarezza ed esigono che chi ha disonorato la propria divisa paghi".
E allora come mai entrambi i sindacati in questione sono sempre e da sempre avversi a ogni proposta di legge per l'introduzione di un codice identificativo su caschi e divise, come avviene in molti altri paesi europei? Questo aiuterebbe all'individuazione dei responsabili di abusi evitando che si faccia di tutte le erbe un fascio.
Avete detto di voler scrivere "alle testate cittadine perché è giusto che i cittadini conoscano il disagio della Polizia genovese".
Come mai il disagio di essere associati a gravi abusi, crimini e torture si vuole esprimere solo verso i cittadini, mentre non risulta che sia stato espresso nessun disagio verso le istituzioni per le promozioni di funzionari condannati in primo e secondo grado per quella che un vostro collega ha definito la "Macelleria Messicana" allestita dalle forze dell'Ordine alla Scuola Diaz? Il disagio nasce solo quando si intacca la vostra immagine pubblica o anche quando gli onesti restano al palo mentre fa carriera chi ha ordito pestaggi e costruito maldestramente false prove e teoremi accusatori? Perché non è volata una parola dai vostri sindacati contro le ingiuste promozioni "in automatico" che non tengono conto delle responsabilità penali accertate per chi ha fatto carriera?
Voi dite che "i Poliziotti del G8 erano anche quelli che hanno comprato le bottiglie d'acqua per i fermati, quelle che sono andate in farmacia per acquistare gli assorbenti per le fermate".
L'atteggiamento umano e rispettoso nei confronti dei fermati e degli arrestati è il vostro dovere istituzionale, e almeno in teoria dovrebbe essere la normalità del vostro lavoro, non un evento eccezionale da sbandierare pubblicamente quasi a volere premi e riconoscimenti per una doverosa umanità che comunque non può compensare le azioni di alcuni vostri colleghi, autori di violenze, abusi e torture sui manifestanti in stato di fermo chiaramente documentati in sede giudiziaria.
Voi dite che i poliziotti di Genova sono "quelli che hanno atteso le sentenze che hanno stabilito una verità processuale".
E allora come mai il Sap ha "atteso le sentenze" con una vasta produzione di comunicati dal sapore corporativo e di difesa "a prescindere" dei colleghi? Si legga ad esempio l'Ansa del 14 luglio 2008, dove il portavoce nazionale del Sap Massimo Montebove dichiarava che "Il SAP ha difeso e continuerà sempre a difendere la Polizia di Stato e le Forze dell'Ordine dall'infamante e non provata accusa di aver commesso, sistematicamente, abusi e violenze". Il problema è nell'avverbio "sistematicamente"? Vi stanno bene gli abusi e le violenze purché non siano "sistematici"?
E ancora, come mai il SAP ha promosso sin dal 2001 una raccolta fondi per difendere i poliziotti accusati e successivamente condannati per abusi e violenze nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto? Vi farete dare indietro i soldi usati per le spese legali di chi avrà sentenze di condanna passate in giudicato, oppure la vostra raccolta fondi "in attesa delle sentenze" era anche a favore dei colpevoli per ridurre al minimo le conseguenze delle loro azioni?
Voi dite di essere "quelli che notoriamente non sono fulmini di perspicacia ma balza all'occhio del meno attento il fatto che, ben più di una volta, si è colpita la nostra Istituzione per colpire qualcos'altro".
Siccome sono ancora meno "fulmine" di voi, non capisco queste allusioni e questi riferimenti, se avete qualcosa da dire ditelo, altrimenti parlare in codice non serve a molto. Il coraggio e il carattere che voi vantate nella vostra lettera bisogna dimostrarlo nel dire le cose chiaramente, senza ammiccamenti o allusioni comprensibili solo agli addetti ai lavori, perché è fin troppo facile essere spavaldi e coraggiosi quando si tratta di fare irruzione a volto coperto e manganelli in mano in una scuola dove c'è gente indifesa che dorme. E quindi spiegatevi: in quale occasione pensate di essere stati colpiti ingiustamente per danneggiare qualcos'altro o qualcun altro?
Voi dite che "abbiamo lavorato tanto affinché la Polizia di Stato acquisisse un vero contatto col cittadino ed entrasse a pieno titolo nel tessuto sociale"
Anche la società civile ha lavorato tanto per ritrovare lo spirito della riforma dell'81, quando i poliziotti sfidavano le leggi dello stato per smilitarizzarsi. Personalmente ho organizzato un confronto su questi temi con un rappresentante del SILP durante il forum sociale di Firenze nel 2002, ma tutte le volte che si tratta di prendere posizioni giuste e coraggiose, ho visto i vostri sindacati tirarsi indietro.
Ho visto i vostri rappresentanti più illuminati, istruiti e sinceramente democratici che dopo aver fatto in pubblico dei bei proclami come il vostro, in privato si tiravano indietro e dicevano a mezza bocca che loro sono favorevoli ai codici identificativi su caschi e divise, ma non potevano dirlo pubblicamente per paura di perdere iscritti. E' questo il coraggio delle vostre idee che vi hanno insegnato in Caserma? Abbiate il coraggio di dire come la pensate: i vostri sindacati sono favorevoli all'introduzione di codici identificativi su caschi e divise?
Se siete contrari, come potete sostenere di lavorare per entrare nel tessuto sociale e stare a contatto con i cittadini, quando volete rendere più facile l'impunità a chi viene sorpreso mentre commette abusi con tanto di foto e filmati? Se invece siete favorevoli, perché non avete il coraggio di dirlo pubblicamente, cercando un alleanza con le forze sociali e politiche che hanno lo stesso obiettivo?
Avete paura di diventare impopolari tra la base dei vostri iscritti, avete paura di perdere tesserati e quindi soldi e potere politico? E se state zitti per paura, che autorità morale avete per fare i risentiti di fronte alla sfiducia e al pregiudizio dei cittadini nei vostri confronti provocato proprio dai pavidi come voi che col loro silenzio favoriscono i violenti come i picchiatori della Diaz e di Bolzaneto?
Voi dite che "ci troviamo sempre più compressi ed all'angolo, sempre più distanti da quelle aperture verso il tessuto sociale e sempre più facenti parti di una struttura sotto attacco continuo".
Non prendetevela con la stampa, non prendetevela con i manifestanti, non prendetevela con chi si ribella alla violenza in divisa: il potere di restituire onore e dignità alla vostra professione già troppo infangata è tutto nelle vostre mani.
Rileggete le parole coraggiose del vostro collega Giancarlo Ambrosini, e trovate il coraggio per una grande battaglia di civiltà, per introdurre codici identificativi su caschi e divise che rendano davvero personale le responsabilità di abusi senza infangare tutta una categoria. Studiate l'esperienza di Ambrosini, talmente coraggioso da denunciare gli abusi commessi dai colleghi fino ad essere emarginato dal sindacato Siulp che aveva contribuito a fondare, ricevendo minacce e intimidazioni che arrivarono fino all'incendio della porta di casa sua.
Leggete che cosa diceva profeticamente il vostro collega Ambrosini molti anni prima dei fatti del G8: "Chi ha sbagliato lo ammetta apertamente e smetta di adottare la politica dello struzzo, quello che viviamo oggi non è il nostro ineluttabile destino, ma l'esito a cui ci ha portato una politica miope e codarda, di cui è urgente fare piazza pulita. [...] In passato non abbiamo temuto di dire la nostra anche su cose difficili e complesse, e abbiamo inciso profondamente, e non solo nel nostro ambiente. Ora dobbiamo tornare protagonisti, perché il paese ha bisogno che si avvii un'altra grande stagione politica ed ideale, che potrà essere molto più difficile, complessa e contrastata di quella che abbiamo vissuto negli anni Settanta, ma che forse sarà ancora più decisiva".
E allora vi riformulo nuovamente la domanda chiave: siete favorevoli all'introduzione di codici identificativi su caschi e divise, inocui per chi non avrà nulla da nascondere, ma determinanti per individuare chi ha commesso abusi senza che si possa nascondere nella massa di poliziotti onesti?
Se la risposta è sì, allora passate all'azione, e ritroverete tutto quel consenso e quella fiducia dei cittadini che avete perso in questi anni, e non certo per colpa degli organi di informazione.
Se la vostra risposta è no, allora risparmiateci i piagnistei, le lacrime di coccodrillo, i racconti epici sul mestiere difficile del poliziotto e le immagini poetiche di poliziotti che passano bottiglie d'acqua ai fermati: niente di tutto questo potrà cancellare il vostro disonore, che a quel punto non sarà frutto del pregiudizio dei cittadini o di quello dei giornalisti, nè sarà più frutto delle violenze dei vostri colleghi: sarà solo la naturale conseguenza del vostro silenzio e della vostra vigliaccheria.


 

Carlo Gubitosa