NON C'E' FEDE SENZA LOTTA

LA GENESI DELLA REPRESSIONE

NOI DA NOVE ANNI CONOSCIAMO LA VERITA'!

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DAVIDE LIBERO











SI, VIAGGIARE!

 

TRATTO DA "NON C'E' FEDE SENZA LOTTA" N°48

 

Si riparte, stavolta direzione Grosseto. La buona notizia e’ che oggi e’ domenica e, credeteci, tutto cio’ contribuisce non poco a metterci di buonumore. Chiamateci nostalgici, inguaribili romantici, ma per noi il rito pallonaro e’ imprescindibile dal giorno della settimana che da sempre e’ deputato alla sua celebrazione. Il viaggio scorre via tranquillo fino a quando, le mutevoli variabili di imprevisti, che da sempre accompagnano il peregrinare della nostra carovana, decidono di manifestarsi, manco fossimo il bersaglio dell’ira funesta degli Dei usciti da omeriche leggende. Non saranno forse gli Dei a punirci, ma noi il calendario, pagano e non, ce lo diciamo tutto lo stesso, quando scopriamo di avere una gomma della macchina completamente a terra. Cosi, c’e’ chi si riscopre gommista provetto e chi, tra malori inaspettati dovuti ai bagordi del viaggio, sfiora il collasso cardiorespiratorio. Cambiata non senza difficolta’ la gomma, ci rimettiamo in marcia. Giusto il tempo di lasciarci circondare dai paesaggi rupestri della Maremma, che rapiscono in particolar modo gli occhi di qualcuno, fino all’alienazione completa, rimembrandogli forse la crudezza del natio (suo) borgo selvaggio ed eccoci arrivati a destinazione, tutto sommato, anche con un discreto anticipo. Non e’ piu’ il momento per le distrazioni ed, infatti, scesi dai mezzi, ci rechiamo compatti al cancello del settore ospiti, presieduto da due steward. Si rinnova il rituale, visto e rivisto, della domanda-risposta tra chi, dall’esterno, vorrebbe entrare seppur sprovvisto della “magica carta” e chi, dall’interno, visibilmente spaesato non tanto dalla richiesta, quanto dalla nostra stessa presenza, replica comunque che no, spiacenti signori, ma senza tessera non si puo’ entrare. Cosi, pur consapevoli che non riusciremo mai a farne un’abitudine, ci allontaniamo dal varco e, senza proferire parola, ci sistemiamo all’esterno in un deja’ vu stagionale ai limiti dell’ossessione. Ci rendiamo conto di compiere ormai gesti meccanici perche’ ripetitivi, come ripetitive sono le situazioni che ci si parano davanti, trasferta dopo trasferta, in questi tempi bui, fatti di repressione e cavilli che hanno ucciso la passione di molti, dove noi continuiamo ostinatamente a rappresentare la variabile impazzita, il “virus” incontrollabile da estirpare, a suon di tornelli e telecamere, lacrimogeni ad altezza d’uomo, scudi e manganelli. Eppure ci siamo, cocciuti come muli, circondati dalle camionette piene di omini in divisa che ci scrutano da lontano, cominciamo a cantare. Dopo un po’, un attempato agente sceso dalla pattuglia li vicino, ci domanda chi tra di noi sia il “capo”. Il perche’ di un quesito cosi curioso rimane ignoto, cosi come vana sara’ l’attesa per una risposta quantomeno difficoltosa. Vagli a spiegare che a noi non servono “capi” e che le uniche gerarchie che riconosciamo sono quelle imparate “sul campo”, per strada e non quelle riconducibili ad una divisa. Il Teramo segna, noi continuiamo a farci sentire come meglio possiamo, usando gli unici mezzi a disposizione che abbiamo: le mani, la voce, il cuore. Ci guardiamo negli occhi e ci diciamo che si, e’ dura rimanere qui fuori! Ma sarebbe ancora piu’ doloroso, se non impossibile, dover rinunciare a quello che siamo, a quello che abbiamo sempre difeso, a denti stretti, con i sacrifici di tanti, troppi, che oggi sono lontano, solo per varcare il cancello di uno stadio in segno di resa, a testa bassa, di fronte a chi, dall’altra parte, attende da sempre il nostro abbandono. Lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra citta’ che amiamo in modo viscerale ed appassionato, a chi va a firmare ed a chi dall’alto guarda l’incedere dei nostri passi su di un sentiero gia’ tracciato. Pazienza, pensiamo sulla via del ritorno: ci sara’ ancora tempo, per le nostre pezze, di prendere di nuovo un po’ di vento!