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Le pecorelle del pensiero unico

 

Un mostro si aggira in Val di Susa. È un operaio di 28 anni ed ha il vizio di partecipare alle lotte in difesa del territorio. Non va in giro con il viso coperto e fa richieste provocatorie alle forze dell'ordine. Già saturi della demonizzazione di Capitan Schettino, gli italiani hanno un nuovo personaggio su cui sfogare la propria indignazione. È bastato dare della "pecorella" a un poliziotto e Marco Bruno, 28 anni di Giaverno, è diventato protagonista di un caso nazionale montato ad arte da tv e giornali. Si vuole mostrare un paese diviso a metá. Da una parte il fannullone disobbediente di professione, dall'altro l'eroe semplice. Proprio come nella vicenda del Costa Concordia, l'uomo di legge ha conquistato la prima pagina e gli onori dei massimi vertici istituzionali per il semplice fatto di essere rimasto fermo.
Basta questo, nell'Italia di oggi, per essere ricordati come simbolo dell'Italia migliore. E cosa avrebbe detto di così grave "il ragazzo con la barba" al giovane poliziotto in tenuta antisommossa? Di identificarsi. Gli ha ricordato che mentre tutti i cittadini hanno l'obbligo di presentare la propria carta d'identità davanti a una richiesta delle forze dell'ordine, i poliziotti e i carabinieri che agiscono durante le manifestazioni sono privi di qualsiasi numero identificativo. Ma di questo si preferisce non parlare. Repubblica e Corsera si prodigano nell'esaltare il comportamento impassibile dell'agente "che non ha risposto alla provocazione". E cosa avrebbe dovuto mai fare? Prenderlo a manganellate per una "pecorella"? È lo stesso agente che si è dimostrato sorpreso per gli encomi e i messaggi di stima da parte di Ministri e alti vertici militari, ricordando di aver compiuto solo il suo dovere.
Ma potevano mai i grandi giornali non approfittare di questa mediocre storia - che in altri momento sarebbe passata inosservata - per continuare l'opera decennale di criminalizzazione del movimento No Tav? Ciò nonostante, quello che stupisce maggiormente è la reazione dei grandi partiti e di parte dell'opinione pubblica. Il Partito Democratico ha rispettato il copione che gli si addice, ovvero quello di chi non sa reagire alle campagne mediatiche dei grandi giornali contro i movimenti. È una scena già vista, la stessa che ritraeva il PD nel 2008 unito al coro unanime di condanna del movimento studentesco romano per aver osato contestare Benedetto XVI. In quell'occasione il PD non ebbe affatto il coraggio di difendere il diritto alla critica dei manifestanti ma preferì, piuttosto, solidarizzare con Ratzinger in compagnia di tutto quel codazzo del pensiero unico che unisce i grandi giornali, le televisioni e i partiti di destra. Ma a sconcertare è anche il comportamento di una parte dell'opinione pubblica.
Le reazioni indignate che sono emerse sui social network dimostrano l'incredibile assimilazione, da parte di un settore importante della popolazione, dei messaggi politici reazionari creati dai grandi media. È lo stesso popolo che partecipa a colpi di "mi piace" alle campagne di Repubblica, agli appelli di Fiorello e Jovanotti, ai monologhi di Saviano. Il mostro è servito nell'arena di Facebook e tutti sono pronti a sbranarlo, a suon di insulti e demagogia. E poco importa se gli stessi difensori del povero poliziotto hanno mandato a quel paese decine di volte - ovviamente alle spalle – un qualsiasi vigile urbano colpevole di aver comminato una multa. Nell'Italia di oggi vi sono persone che lottano per cambiare le cose senza credere che il colpevole sia l'immigrato, il fannullone e il bamboccione. Si è ricreata un'unità tra i soggetti sociali. Le comunità rivendicano il diritto di decidere sul proprio destino e il popolo si riappropria di beni comuni come l'acqua.
Nel frattempo studenti e lavoratori si ritrovano sempre più uniti nelle proprie lotte. Checché ne dicano i sondaggi di Repubblica, l'opposizione alle politiche liberiste sono vive più che mai. Quelli del Corsera lo sanno bene e per questo creano modelli alternativi, fatti di obbedienza allo Stato e ai poteri forti. Quelli del Giornale, invece, hanno lanciato una campagna: " Siamo tutti pecorelle". Almeno su questo, come dargli torto?

 

Nicola Tanno