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DAVIDE LIBERO











Non piangete, Giorgetto sta solo festeggiando il derby

 

FONTE: Sport People

 

Avrei voluto aprire questa giornata in maniera differente. Pubblicando le foto della Sud che sprona la squadra a Trigoria sabato scorso e proseguendo con quelle dell’evento che avrebbe dovuto tenersi oggi al Tre Fontane. Dove ancora il tifo organizzato avrebbe ringraziato la squadra. Questa volta sulle gradinate, senza divieti. Era il mio “piano editoriale” per commentare la stracittadina. Eppure non lo farò. Perché non ha più senso. Perché anche l’aver battuto sul campo la Lazio, compiendo un qualcosa che per cui tutti noi bramiamo da bambini quando papà ci adorna con la sciarpa giallorossa, diventa del tutto insignificante. In un clima tipicamente romanista. Con la sofferenza, lo shock e il colpo al cuore in grado di impossessarsi delle nostre menti proprio quando dovrebbe essere la gioia a farla da padrone. Vogliamo credere che Giorgetto se ne sia andato tra le braccia di Morfeo, magari sognando di essere su una balaustra a “solfeggiare” e modificare qualche hit del momento per dare corpo a una nuova canzone. Un pregio per pochi, in un movimento ultras che sempre più abbassa il proprio sipario sull’originalità facendo mera opera di copia e incolla.

In un batter baleno vado indietro con i ricordi. Da ragazzo che non lo ha mai frequentato direttamente, ma che vivendo nello stesso quartiere e frequentando gli stessi “spazi” lo vedeva spesso. Soprattutto in quei pomeriggi afosi d’estate, quando le scuole erano chiuse e tutti noi “pischelletti” ci riversavamo all’oratorio per giocare tre, quattro, cinque, sei ore di fila a pallone. In questi casi si rischia un’opera d’ipocrisia e io non voglio dilettarmi in ciò, dico solo che ho sempre avuto l’impressione fosse un ragazzo (chi vive la curva resta ragazzo per sempre, pure quando l’anagrafe non lo direbbe) sensibile. Perché quando sei attorniato da gente che ti vuole bene, spontaneamente, vuol dire che sei stato bravo a seminare e sei una persona regolare.

Quando mi veniva nominato o mi capitava di incontrarlo tra stadio e trasferte, non so per quale iter contorto, la mia mente si focalizzava sempre su un episodio di poco conto:

una serata umida di fine novembre. La brina già appanna i finestrini delle automobili mentre le foglie degli alberi trattengono a fatica le goccioline d’acqua che lentamente le piegano. Ho in mano due biglietti per il settore ospiti di Cska Sofia-Roma. Uno mio e l’altro di un mio amico, che però ha rinunciato. Devo darlo a un ragazzo che non ce l’ha fatta ad acquistarlo. L’appuntamento è davanti all’oratorio di Don Bosco. Periferia sud di Roma, nel popoloso quartiere di Cinecittà. In questa serata, come in tante altre, davanti all’ingresso c’è una macchina con una decina di ragazzi. Un combriccola rumorosa, dove a farla da padrone c’è il suo inconfondibile vocione. Quello che ha rimbombato per decine di trasferte su treni e aerei. Sempre con la voglia di fare “caciara” o inventare arie che spesso sono diventati veri e propri tormentoni.

Chi è entrato almeno una volta in Curva Sud dal boccaporto 20-21 non può aver evitato di notare la sua figura. Anche solo sentendone la parlata. Con quell’accento romano “strascicato” e quella capacità di ironizzare su tutto e tutti. Anche nei momenti più tesi. Persino in quelli drammatici. È vero, come ho letto stamattina, che chiunque abbia incrociato sulla sua strada Giorgetto almeno per una volta ha un aneddoto da raccontare. Uno di quei personaggi che hanno reso la Sud un variegato mondo di facce, racconti, storie al limite dell’irreale e culla per la gioventù di tanti romani. Ecco, oggi sapere che un personaggio come lui se n’è andato rappresenta (forse in maniera egoistica) anche una porta che si chiude sul nostro essere ragazzi. Sui nostri viaggi infiniti a bordo di treni in cui abbiamo imparato a vivere e socializzare, o sulle nostre attese nei settori ospiti condite dalle sue “litanie” e da una fantasia sfrenata che come comune denominatore aveva sempre una cosa sola: la Roma.

Peppone prima. Lui poi. Come un’onda che in poco tempo ha portato via due pilastri di una storia lunga quasi cinquant’anni. Proprio il giorno dopo un derby strano. Un derby vinto. Con tutti e tutto contro. Senza la Sud. Ma con la Sud comunque a vegliare quelle undici maglie in campo. Se ne sarà andato felice, con il sorriso beffardo rivolto verso l’altra sponda del Tevere, magari sfottendo qualcuno mentre saliva al cielo per raggiungere gli altri. Per andare a tifare con Geppo, Roberto Rulli, Secco, Sora Luisa, Franco Nicastro, Peppone, Paolo Zappavigna, Alfio Iosa, Dante, Roscio, Ozzy e tanti altri che hanno fatto conoscere al mondo la Curva Sud e la sua magia. Il suo essere unica e indistruttibile. Il suo odore, la sua sofferenza, la sua goliardia e la sua gioia sfrenata di vivere. Pure di fronte ai tanti soprusi cui è stata messa di fronte negli ultimi tempi. Chissà che bel settore formano adesso. Chissà quanto rumore lassù. Quando vedremo le nuvole arrossarsi al crepuscolo, sapremo che stanno facendo una maxi fumogenata. E quando il vento ci sposterà, saranno i loro bandieroni a sventolare. Mentre ai tuoni immagineremo il bombone partire sulla pista di tartan. Come ai bei tempi.

C’era una scritta sotto i portici dei palazzoni bianchi di Don Bosco; il 18 giugno 2001, 24 ore dopo la conquista del terzo scudetto. Diceva “Roberto Rulli, Brodo, Palla esultate con noi”. È stata là per anni. Come quel grande disegno della Lupa Capitolina sormontata dall’effige dei Fedayn proprio al centro della piazza. Ogni volta che ci passavo per andare a scuola o a prendere la metro ero orgoglioso di abitare là. Quella scritta, ahinoi, si è allungata nel tempo e ora include pure lui. Anche se non c’è un tricolore da festeggiare. Anche se tutti, questa mattina, abbiamo pensato a uno scherzo. Uno dei suoi. Magari per risbucare da qualche parte e ricoprirci d’insulti per quanto eravamo stati “sallucchioni” a cascarci.

Ma la vita a volte smette di scherzare e ti aggredisce direttamente. Sappi che quaggiù ci sono tanti ragazzi che aspettano un tuo suggerimento per creare cori e farsi due risate. Come quella volta che ti vestisti da Papa, contro la Juventus. Suscitando l’ilarità di tutti i presenti. Rimarrai una delle “coscienze popolari” del quartiere e a ogni coro che partirà ci sarà la tua voce in mezzo ad ampliarne la portata. Per il resto: ci vediamo in trasferta. Sempre in viaggio con la tua Curva Sud. “Sarà bellissimo, viaggiare insieme a te”.

 

Simone Meloni