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La Teppa Del Lavoro. Operai, Brigatisti, Ultras

 

Fonte: La Privata Repubblica

 

Aveva girato un po' anche su facebook lo squallidissimo pezzo di Michele Serra con il solito stantio cliché dell'ultras applicato al resto della società "contestante". Ne riproponiamo analisi ripresa da "La Privata Repubblica".

 

Leggendo l’Amaca di Michele Serra del 1 dicembre ho attraversato velocemente le cinque fasi dell’elaborazione del lutto di Elisabeth Kübler-Ross: negazione; rabbia; contrattazione o patteggiamento; depressione; e infine accettazione. Vale la pena riportare il pezzo per intero.
Nelle drammatiche pieghe della vicenda Ilva, mi ha colpito come un nefasto presagio il dettaglio colto da Corrado Zunino nella sua cronaca romana di ieri. Descrivendo gli operai dell’Ilva di Cornigliano davanti al Parlamento,[...] Zunino attribuisce a molti di loro “una gestualità da ultras di gradinata”. Confermata dalle sciarpe e dagli slogan (Genoa e Samp) mutuati pari pari dai cori da stadio, dalle molte birre consumate e dalla propensione alla rissa, poi puntualmente avvenuta. Tutto cambia, ma che una delegazione di metalmeccanici possa offrire un colpo d’occhio da hooligans fa veramente pensare al peggio. Fa pensare al passaggio – epocale – dall’organizzazione di classe al vuoto identitario più colmabile. Un vuoto politico, e va bene; ma anche l’azzeramento definitivo di una storia e (di conseguenza) di un futuro. È annosa la paura che l’operaio, in tempi di crisi nera, possa trasformarsi in brigatista. Ora la paura è che si trasformi in ultras: tanto incazzato quanto impotente. Dalla fabbrica alla curva, il crollo è totale.
Il tono di Serra è estremamente apocalittico. Quelli che fino a poco tempo fa erano diligenti operai sindacalizzati, ora non sono nient’altro che una massa informe, impolitica, tutta intenta a trangugiare birra, far rissa e indossare – mon dieu! – le pericolosissime sciarpe delle squadre genoane. Ed infatti «il crollo è totale». Ma facciamo un passo indietro: cos’è successo il 30 novembre a Roma?
Quel giorno una delegazione di 300 lavoratori dell’Ilva, provienienti dalla Liguria e dal Piemonte, indice una manifestazione nella Capitale. Sono tutti in sciopero da tre giorni e in piedi dalle quattro di mattina. Il Secolo XIV descrive così la loro giornata: «Caschetti gialli in testa, tuta da lavoro, gli operai hanno tentato di arrivare davanti a palazzo Chigi ma sono stati bloccati e dopo qualche momento di tensione, soprattutto con i giornalisti, hanno raggiunto piazza Montecitorio». Sotto il Parlamento, mentre nel palazzo del Governo si decidono le sorti dell’Ilva, urlano per quattro ore contro i politici «ladri», i parlamentari «parassiti» e «assassini», insultando anche Monti, Fornero e i Riva, i padroni agli arresti. La cronaca del Secolo XIX continua così:
«Siete la rovina dell’Italia – hanno gridato gli operai sotto la pioggia battente – il lavoro non si tocca». «Guardateci, siamo tutti a volto scoperto, non abbiamo nulla da vergognarci, siete voi che dovete vergognarvi, ladri». Dal Palazzo, non un politico è uscito per affrontarli. Per ascoltare la loro disperazione. Solo il segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha lasciato per qualche attimo il vertice a palazzo Chigi per spiegare loro cosa stava accadendo dentro.
Anche Landini si becca degli insulti: «Non me ne frega un cazzo di Landini, io voglio il mio lavoro», sbraita qualcuno. Nel frattempo, a Genova si verificano scontri tra la polizia e i 500 compagni rimasti in città, radunati in presidio davanti alla Prefettura. «Da Roma sono arrivate notizie frammentarie – dice uno degli operai al Secolo XIX – e Fulvio come tutti noi s’è preso paura. Ha cercato di andare a parlare con qualcuno e ha voluto passare in mezzo al cordone di polizia. I poliziotti hanno reagito e lui si è preso una manganellata in testa». Una reazione spropositata, tanto che il giorno dopo sono arrivate le «pubbliche scuse» dal sindaco Marco Doria.
L’apparizione di Landini, stando al resoconto di Zunino su Repubblica (nota bene: non secondo il quotidiano genovese), segna la trasformazione degli operai in ultras (grassetti miei):
Stressati e stanchi, impotenti e anche impauriti, i giovani uomini scesi a Roma con cinque pullman, hanno perso il controllo. Della serata e di loro stessi. Troppe birre corse per scaldarsi, una gestualità, per molti, da ultras di gradinata. Gradinata Nord e Sud, come dicevano le sciarpe.
E qual è il passatempo preferito degli ultras, nell’immaginario collettivo e in quello dei Michele Serra? Pestarsi, ovviamente.
Le discussioni sono diventate pesanti. «Ho già speso settanta euro per venire qui, ho perso tre giornate per lo sciopero e non so come comprare le medicine per mio figlio». Chi è iscritto alla Fiom inizia a discutere con chi è venuto a protestare senza tessera: «Se mi parlate di sindacato, allora ci meniamo». La rissa scoppia davvero e il gruppo operaio vacilla: non si era mai visto. Sono solo in tre a picchiare, gli altri sedano, trattengono, urlano. Alla fine il segretario Franco Grondona impone la linea al megafono: «Figure così non le ho mai fatto in trent’ anni che vi rappresento, così siamo solo più deboli, torniamocene tutti a casa che è meglio»
Il 30 novembre abbiamo quindi assistito alle dolorissime conseguenze umane del combinato disposto tra l’agonia della grande industria italiana, l’austerità, il massacro del welfare e la totale mancanza di prospettive per questi giovani lavoratori. Un’assenza di speranza che lo stesso Zunino raccoglie da un ragazzo dell’Ilva: «Volevo fare il secondo figlio, ma in queste condizioni mi fanno passare la voglia». A differenza di quanto scrive Serra, però, la delegazione di metalmeccanici non offriva un «colpo d’occhio da hooligans»: offriva un colpo d’occhio da metalmeccanici oltre la soglia della disperazione, stritolati da un sistema di protezione sociale che sta crollando, le scelte scellerate di una dirigenza rapace ed irresponsabile e lo sfascio del diritto del lavoro1.
Insomma, per la Grande Firma Progressista bastano un paio di temibili «birre corse» (quelle belghe faranno lo stesso effetto?), dei cori, una scazzottata dovuta alla tensione (e alla sfiducia strisciante tra sindacati e lavoratori) e qualche sciarpa affinché dei semplici operai diventino degli autentici folk devil, «tanto incazzati quanto impotenti», magari ad un passo dall’entrare in clandestinità. Il sillogismo non potrebbe essere più pericoloso:
Operai = Ultras;
Ultras = Solo Violenza Insensata;
Operai = Violenza Senza (Più) Pretese Politiche & Sociali [il «passaggio – epocale – dall’organizzazione di classe al vuoto identitario più colmabile»].
Lineare, no? Per il resto, il pezzo di Serra sembra quasi una versione aggiornata dell’«Enciclopedia di Polizia» degli anni ’50:
Esiste tra la folla un contagio morale, in modo che fa di un migliaio di persone sino a allora sconosciute le une delle altre, una belva innominata e mostruosa che corre al suo scopo con una finalità irresistibile.
Ora, il problema non è tanto Serra in sé, quanto piuttosto il clima odiosamente repressivo che si sta respirando in questi ultimi mesi di governo tecnico. Sempre più spesso i manifestanti di ogni tipo sono paragonati agli ultras-spauracchio – e questa comparazione ben si adatta ad una certa visione piuttosto retrograda dell’ordine pubblico. Dopo gli scontri del 14 novembre, la proposta di estendere il Daspo ai dimostranti è già stata avanzata a livelli ministeriali, coagulandosi intorno ad una buona fetta della maggioranza parlamentare e – pare di capire – della cosiddetta élite intellettuale.
L’intento non potrebbe essere più chiaro: smantellare le ragioni della protesta – non importa che siano lavorative, sociali, politiche, ecc. – e buttarla sul piano della caciara, del caos, delle bottigliate per strada e della famigerata violenza anomica, che tutto ricomprende, tutto annienta e tutto giustifica.
In un certo senso è la Tecnica “Jack Palance” applicata al dissenso di piazza: prima si lancia una pistola ai piedi dell’avversario di turno, invitandolo provocatoriamente a raccoglierla; poi, quando questo effettivamente la raccoglie, gli si spara addosso senza pietà. «Avete visto tutti, no? Aveva una pistola».
E, a ben pensarci, aveva pure l’aspetto di un ultras.