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Breve storia del generale Ganzer

 

di Marco Rigamo

 

La richiesta di condanna a 27 anni di reclusione - per i reati di traffico internazionale di stupefacenti, falso, peculato e traffico d’armi - avanzata dal Pubblico ministero milanese Maria Luisa Zanetti nei confronti del comandante del Raggruppamento operativo speciale di carabinieri generale Giampaolo Ganzer non genera stupore. Offre invece l’opportunità di approfondire sinteticamente la figura dell’uomo che da otto anni è al vertice della struttura dei carabinieri deputata a occuparsi delle indagini e delle operazioni più delicate e importanti.

Ganzer ha il grado di capitano quando alla fine degli anni ’70 viene designato dal generale Dalla Chiesa a ricoprire il ruolo di uomo di punta del nord est nelle indagini contro l’eversione. E’sua la firma in calce a un voluminoso dossier che viene consegnato alla procura della repubblica di Padova e che porta nel 1980 alla cattura di decine di militanti dell’autonomia operaia con l’accusa di costituzione e partecipazione ad associazione sovversiva e banda armata, operazione inscritta in quel complesso meccanismo politico giudiziario che viene ricordato come “Processo 7 aprile”. Fa il suo debutto il tema di prova costituito in “teorema”. Giornali, volantini, documenti, intercettazioni coniugati e saccheggiati di singole frasi che, estrapolate dal contesto complessivo, vengono riunite in un mosaico dalla significazione a senso unico. Ma anche manipolazione di personaggi equivoci: un tossicodipendente spacciatore di eroina e un delinquente comune nel giuridicamente neonato ruolo di pentiti. Pratica nella quale Ganzer si rivela presto abile manovratore anche nelle successive inchieste sulla colonna veneta delle Brigate Rosse - forte di un cospicuo sostegno finanziario e di un’assoluta libertà di movimento - pilotando a suo piacimento le accuse di Michele Galati.

Sul fronte della criminalità organizzata alla fine degli anni ’80 si fa ricordare per aver sgominato una banda di giostrai che operava nel Friuli dopo aver organizzato, tramite le consuete infiltrazioni, un agguato armato che si conclude con il loro annientamento fisico. Ma anche per i guai combinati da un suo uomo di punta nel Veneto finito nel libro paga del boss Felice Maniero, circostanza che costa a Ganzer l’accusa di false dichiarazioni al Pm: il tutto per proteggere un collaborante superprotetto in una villa in riva al Garda, tesoro e armi sepolti in giardino, auto di lusso in garage, ma rapinatore di notte. E’ invece negli anni ’90 che il colonnello Ganzer inciampa nell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore di Brescia Fabio Salamone sul nucleo antidroga del Ros di Bergamo, oggetto dell’odierno dibattimento in corso a Milano. Secondo l’accusa i carabinieri ingaggiavano direttamente i “cavallini” dando loro l’incarico di comprare la cocaina e trovare i clienti, ma alla fine delle operazioni a essere arrestati erano sempre gli intermediari, mai i grossi trafficanti. I testi fanno i nomi di di una ventina di trafficanti, italiani e colombiani, destinatari da anni di ordini di cattura, ma sempre risparmiati e protetti dai carabinieri. Salamone accerta che nel corso di un sequestro di 150 chili di cocaina non viene verbalizzato il contestuale sequestro di circa un miliardo e mezzo di lire e che vengono illegittimamente importati dal Libano kalashnikov, lanciamissili, missili e munizioni per essere successivamente “sequestrati”.

Tutto viene pensato e organizzato per ottenere visibilità e far carriera nell’Arma, operando ben oltre la legalità: si organizza l’importazione di droga e armi di cui si coprono i trafficanti e si fanno sparire i proventi. Nel settembre del ’97 una raffineria di cocaina scoperta a Rosciano (Pe) si rivela essere uno stabilimento sotto copertura del Ros: ai quattro colombiani che vi vengono sorpresi il raggruppamento aveva messo a disposizione materia prima, alloggi, stipendi. E’a seguito di queste circostanze che Ganzer realizza uno dei suoi colpi migliori. Agli interrogatori con Salamone i suoi sottufficiali si presentano con microfoni nascosti sotto il bavero della divisa e registrano anche ciò che non viene messo a verbale: gli scoppi d’ira del Pm e le sue invettive nei confronti del colonnello. Questa circostanza consente a Ganzer di paralizzare per un lungo periodo l’inchiesta e di denunciare per abuso Salamone alla procura di Venezia.

Durante le giornate di Napoli e di Genova nel 2001 il colonnello ricopre il ruolo di vicecomandante del Ros. Il suo posto è nelle centrali operative da cui partono le disposizioni relative non solo alla gestione dell’ordine pubblico, ma anche quelle che danno vita a torture, vessazioni fisiche e psicologiche di ogni tipo nei confronti di centinaia di fermati. Il suo posto è comunque vicino a quelli dell’allora vicepresidente del Consiglio Fini e dell’ex collega Ascierto, tutte posizioni al vertice di quella catena di comando mai del tutto messa in chiaro. I suoi carabinieri sono quelli che attaccano a freddo e contro le disposizioni della Questura il corteo delle Tute Bianche in via Tolemaide e assassinano Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Ma nei vari simulacri di procedimento penale contro le violenze commesse in quelle occasioni dagli uomini delle nostre polizie dei suoi non c’è traccia alcuna.

Un anno dopo, con il grado di generale di brigata, Ganzer è finalmente a capo del Ros. E’ancora sua la firma in calce a un dossier di più di mille pagine che viene proposto ai giudici delle procure di Genova, Napoli, Torino senza trovare nessun magistrato che lo ritenga anche solo in parte utilizzabile. Lo stile dell’organizzazione del tema di prova non è cambiato dagli anni ’80. I suoi uomini continuano illegittimamente a filmare, infiltrarsi in riunioni e assemblee, analizzare centinaia di siti Internet, ascoltare nelle case e nelle automobili, fino a trovare un entusiasta compratore nel Pm di Cosenza Domenico Fiordalisi. Le accuse fanno parte dei cosiddetti delitti contro la personalità dello Stato: associazione sovversiva, cospirazione politica mediante associazione, propaganda sovversiva e altri minori. Con grande clamore mediatico vengono eseguiti venti ordini di cattura con immediata assegnazione al regime punitivo del 41 bis e notificate altre quarantadue denunce. Come il processo che ne è seguito sia finito in una bolla di sapone è storia recente.

Storia di oggi è invece la pesante richiesta di applicazione della sanzione penale proposta a Milano, dove l’inchiesta è stata trasferita in ragione del successivo coinvolgimento del Pm Mario Conte, referente di Ganzer presso la procura di Bergamo. Si richiede il pronunciamento di condanna non solo per Ganzer, ma per tutto il vertice del Ros, compreso il suo amico generale Obinu, a seguito di un’inchiesta durata sette anni, da cinque a dibattimento, la cui sentenza è attesa per giugno. Nella irresistibile ascesa del generale Ganzer è agilmente possibile intravedere un filo nero, neanche tanto sottile, che parte dai teoremi giudiziari degli anni ’70, attraversa pratiche di illegalità finalizzate all’arricchimento e all’avanzamento in carriera, passa attraverso le giornate più sanguinarie che l’Europa abbia mai vissuto in tema di repressione del pubblico dissenso, nuovamente tenta di riprodurre mostri giuridici da utilizzarsi contro i movimenti. La domanda spontaneamente conseguente è: cos’altro serve per rimuovere quest’uomo dal suo ruolo e per sciogliere il Ros?