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L'altro stipendio di Maroni

 

Cinquemila euro al mese per lui. Altri duemila per la sua portavoce. Pagati nel 2007 da una società inquisita per tangenti ed evasione fiscale. Giustificati come "consulenze". Ma la procura indaga per finanziamento illecito

 

Che il ministro dell'Interno, prima che parlamentare e numero due della Lega Nord, fosse anche avvocato e tastierista rock, lo sapevano in molti. Ma forse neppure i più sfegatati elettori leghisti immaginavano che una società lombarda pluri-inquisita potesse sborsare migliaia di euro solo per ascoltare la voce di Roberto Maroni. E tanto meno che tenesse a libro paga anche la sua portavoce. E solo per organizzare "eventi" festaioli a Roma.
La questione morale torna a investire i vertici del Carroccio, 18 anni dopo Tangentopoli, con una nuova inchiesta per finanziamenti illeciti al partito.
L'indagine è stata aperta nel luglio 2009 dalla Procura di Milano ed è rimasta segreta fino allo scorso venerdì primo ottobre. Quando un pm ha dovuto avvertire il tribunale che un dirigente d'azienda, chiamato a deporre dalle difese di un gruppo di presunti super- professionisti dell'evasione fiscale, non poteva essere sentito come testimone.
Perché indagato, appunto, per una storia di versamenti "anomali", giustificati da "consulenze orali". Soldi incassati da Maroni e dalla sua più stretta collaboratrice anche alla vigilia delle elezioni del 2008: l'attuale ministro dell'Interno, dice il manager, ha preso 60 mila euro, la sua portavoce altri 14 mila. Pagamenti motivati, almeno sulla carta, da fatture che Maroni ha emesso nella sua qualità di avvocato. Senza però impegnarsi in alcun procedimento. E senza mai scrivere uno straccio di parere legale. Nulla di documentabile, insomma, solo parole, consigli dati "a voce", suggerimenti su politici ed enti da contattare per fare affari.
Al centro del caso c'è il gruppo Mythos, ex colosso delle consulenze aziendali, che secondo l'accusa era diventato una centrale nazionale dell'evasione e della corruzione fiscale. Nei prestigiosi uffici alla Torre Velasca, pieno centro di Milano, arrivavano centinaia di clienti: industriali, imprenditori e professionisti, soprattutto lombardi, veneti e piemontesi. Il sistema entra in crisi cinque anni fa, quando due avvocati onesti denunciano alla procura che uno dei fondatori della Mythos, Giuseppe Berghella, pretende di farsi pagare una mazzetta, sostenendo di poter insabbiare una verifica fiscale fondata su una lettera anonima. Il 29 settembre 2005 Berghella viene arrestato mentre versa tangenti per 50 mila euro a tre funzionari di vertice dell'Agenzia delle entrate di Milano.
Con le prime confessioni i pm Maurizio Romanelli e Gaetano Ruta allargano l'inchiesta a decine di casi di corruzione e frode fiscale. Molti patteggiano e risarciscono. Per altri nove imputati, il processo è in corso. La loro prima preoccupazione è dimostrare di non aver sottratto denaro al gruppo, ovvero che tutte le fatture sono state effettivamente incassate da collaboratori e consulenti. E qui arriva la sorpresa politica.
Nella lista dei testimoni a difesa spuntano l'attuale ministro, Roberto Maroni, la sua fidatissima portavoce, Isabella Votino, e un ex dirigente del gruppo Mythos, Franco Boselli, laurea alla Bocconi e una carriera di successo tra banche e finanza. Boselli è il primo convocato in tribunale, venerdì scorso. Deve deporre come presidente della Mythos Business Development, la società che era la vetrina del gruppo a Roma: come spiega lui stesso, curava "le pubbliche relazioni con i vari enti, le varie persone, i vari Paesi, i vari imprenditori". Subito interviene il pm Ruta: Boselli non può essere sentito come teste, "perché è stato indagato qui a Milano per finanziamento illecito ai partiti". Brusio in aula: chi ha preso i soldi? Boselli è stupefatto: "Non sapevo di essere indagato". Il presidente del tribunale gli spiega che ora ha il diritto di non rispondere. Lui decide di parlare. E il pm si limita a precisare che l'inchiesta sui soldi di Boselli ai partiti è stata da poco "trasmessa per competenza a un'altra procura". Senza dire quale.
Il nome di Maroni salta fuori durante una risposta di Boselli all'avvocato che l'interroga. L'ex dirigente del gruppo Mythos racconta di conoscere l'attuale ministro dagli anni Ottanta: "Lavoravamo insieme alla Avon". E qui aggiunge di avergli pagato, a fine 2007, "consulenze legali, con regolari fatture". Solo allora il pm gli chiede quanto ha versato a Maroni. Boselli, a mente, risponde: "Sessantamila euro". Ma cosa faceva Maroni? "Ci diceva come muoverci a livello di Comuni, Province, Regioni".