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Sergio Ercolano, 20 settembre: dieci anni nel ricordo di un tifoso del Napoli

 

FONTE: Calcio Mercato

 

Dieci anni. Dieci lunghi anni. Sembra sia passata una vita. Cambiato un mondo. Il Napoli non è più quello del 2003. Il Napoli lotta per i vertici del calcio italiano ed europeo. La tifoseria partenopea è cambiata. Radicalmente. Eppure il ricordo di Sergio Ercolano è lì. Sempre. Come una costante che non va più via. Come un dolore che non va più via.
Era il 20 settembre del 2003. Era il Napoli di Salvatore Naldi. Quello di Agostinelli prima e Gigi Simoni poi. Era il Napoli pre-fallimento, quello che avrebbe definitivamente chiuso un’era per avviarne, dall’anno successivo una completamente nuova. Era un Napoli poco attrezzato, con i vari Manitta, Cvitanovic, Pasino, Dionigi e di un giovane Floro Flores. Era il Napoli che, adesso, ciascun tifoso neanche ricorderebbe. O, di certo, non ricorderebbe come il Napoli migliore di tutti i tempi.
Quella stagione, però, più che per il fallimento, per le pessime prestazioni, per le crescenti difficoltà di un Salvatore Naldi che, per quanto provasse, non riusciva a riprendere le redini degli azzurri, sarà ricordato per quel doloroso20 settembre del 2003. In programma la sfida tra Avellino e Napoli allo Stadio Partenio. Il Napoli arriva da una sconfitta e due pareggi, rispettivamente con Como, Messina e Piacenza. Ad Avellino una moltitudine di tifosi partenopei. Tra loro c’è anche un giovanissimo vent’enne, Sergio Ercolano, alla sua seconda trasferta. Tifoso del Napoli.
Forse la società biancoverde fu colta di sorpresa. Forse anche le forze dell’ordine non erano davvero preparate a quell’onda azzurra che tentò la colonizzazione diAvellino. Altri giurano che i tifosi napoletani sprovvisti di regolare tagliando fossero troppi. La tensione sale fino al punto che le forze dell’ordine optano per una carica. E’ il panico. Proprio in quel momento sciagurato, Sergio Ercolano travolto dall’onda umana sospinta dalle forze di “sicurezza”, cade, impatta su una pensilina in plexiglass che, però, non regge l’urto. Quel giovane tifoso napoletano morirà praticamente sul colpo a causa di un volo di 10 metri. Neanche i soccorsi, peraltro arrivati con trenta minuti di ritardo, riuscirono ad aiutare il corpo ormai esanime di quell’ultras partenopeo rimasto nel cuore di tutti.
Di quella vicenda alla famiglia di Sergio non è rimasto nulla. Men che meno la verità. Dopo più di un anno di indagini nessuno fu ritenuto colpevole di quella tragedia. Né la società, né il comune, né le forze dell’ordine. Nessuno. Derubricata, pur senza ammetterlo pubblicamente, a mera tragedia. A pura fatalità. Per l’opinione pubblica i veri colpevoli furono i tifosi partenopei. Come di consueto accade furono presi di mira i napoletani, fu squalificato il San Paolo ma nessuno ha mai deciso di accertare eventuali altre responsabilità. Se è vero, infatti, che comune ed Avellino non potevano in nessun caso prevedere ed evitare, altrettanto vero è che nessuno ha mai valutato la condotta delle forze dell’ordine e i ritardi nei soccorsi per quella maledetta chiave di quel maledetto cancello di accesso al fossato. Insomma, logisticamente sferrare cariche a ridosso del settore riservato ai napoletani ormai colmo non deve essere proprio il massimo. Logisticamente, ed in termini di sicurezza, trenta minuti per aprire un cancello sono davvero troppi.
Di anni ne sono passati. Alla famiglia di Sergio Ercolano non rimane nulla, se non il dolore di aver subito la morte di un figlio poco più che ragazzino. Caso archiviato e risarcimento negato perché, secondo la “giustizia” e chi la amministra, la tragedia fu causata da una “condotta volontaria” del ragazzo. Alla famiglia di Sergio Ercolano resta l’affetto del mondo partenopeo, di quella tifoseria che da sempre ricorda Sergio. Di quella tifoseria che mai e poi mai dimenticherà quell’ultras partenopeo strappato alla vita. Sono passati 10 anni. Ed è come se non fosse passato ancora un solo giorno. Sono passati 10 anni e “Sergio vive”, in ciascuno dei 6 milioni di tifosi partenopei sparsi nel mondo.