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DAVIDE LIBERO











Quelle prigioni camuffate chiamate Cie

 

Fonte:Liberazione.it

 

A 15 anni dalla loro istituzione, i Cie (Centri di identificazione e di espulsione), inizialmente Cpt (centri di permanenza temporanea), vengono bocciati su tutta la linea. Ad evidenziarne limiti e carenze un’indagine compiuta sui centri presenti in tutta Italia da un team di Medu (Medici per i diritti umani). Lo studio, denominato “Arcipelago Cie”, si è svolto nell’arco di un anno, da febbraio 2012 a febbraio 2013. A far scattare la necessità di una indagine approfondita, l’estensione massima della detenzione ammissibile da 6 a 18 mesi.
I risultati dell'analisi sono impietosi e confermano la natura di veri e propri "centri di internamento" dei Cie; strutture che risultano chiuse al mondo esterno e poco trasparenti sul versante della loro gestione contabile. Luoghi in cui la dignità umana e il diritto alla salute sono violati quotidianamente e in maniera protratta nel tempo. Come per altro dimostrano i ritardi con cui le Prefetture hanno consentito ai team di Medu di effettuare i sopralluoghi e le limitazioni di spostamento e ispezione dei locali destinati ai migranti col pretesto delle “ragioni di sicurezza”. Anche la richiesta di rendicontare le spese dei singoli centri è stata evasa sistematicamente. Per non parlare del tentativo, denuncia Medu, di compiere dei colloqui individuali, spontanei, con gli internati che è stato metodicamente osteggiato o reso difficile per la costante presenza delle forze di polizia.
Secondo Medu, che si tratti non di centri per la mera identificazione (come dice il nome) ma di strutture detentive a prova di evasione è dimostrato da come le strutture sono state realizzate: edifici disposti parallelamente circondati da recinti fatti di sbarre di ferro e reticolati e personale armato posto in punti di guardia a sorveglianza dell’intero campo. Gli “ospiti” sono costretti in spazi oppressivi e inadeguati per dimensione, simili a gabbie per animali. In alcuni centri, come quelli di Torino, Crotone, Modena e Trapani, i migranti sono confinati in aree isolate tra loro. Inoltre i servizi igienici, le mense e le aree ricreative non raggiungono minimamente gli standard di igiene necessari. Oltre a ciò è stato registrato, non solo il malessere dei trattenuti, ma anche quello degli operatori e degli agenti di custodia costretti ad operare in condizioni critiche per insufficienza di personale e mezzi a disposizione.
Ad aggravare la situazione i tagli nei bilanci di gestione. Secondo il ministero dell’Interno la spesa complessiva per i Cie, nel 2011, è stata di 18,6 milioni di euro. Ma è risultato impossibile conoscere i costi delle singole strutture e scorporare i costi del personale e degli agenti da quelli destinati alla gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria a seguito delle rivolte. Sta di fatto che la riduzione dei budget sta provocando una diffusa carenza nella fornitura di beni essenziali e di prima necessità come vestiario, lenzuola, prodotti per l’igiene personale. A Lamezia Terme, mancando un servizio di barberia, i trattenuti sono costretti a radersi a vista all’interno di una piccola gabbia di ferro, per prevenire possibili atti autolesionisti.
Il rapporto di Medu denuncia inoltre la violazione del diritto alla salute e alle cure mediche per gli internati. Non è consentito il trasferimento in strutture sanitarie adeguate neanche a persone con patologie gravi. Vi è un abuso nella somministrazione di ansiolitici e “droghe di strada” per curare i disagi psichici. Al personale sanitario pubblico è interdetto all’accesso ai centri e dunque le cure mediche sono demandate alle stesse cooperative che gestiscono i centri con tutti i limiti che ne conseguono.
Non bastasse, l’indagine ha poi rivelato la presenza nei Cie di migranti appena giunti in Italia, richiedenti asilo, cittadini comunitari, stranieri presenti da molti anni in Italia senza un contratto di lavoro regolare o con il permesso di soggiorno scaduto; insomma tipologie differenti da quelle per cui le strutture sono state concepite.
L’indagine “Arcipelago”, insomma, giunge alla conclusione che l’attuale natura dei Cie non risponda minimamente agli scopi dichiarati e che si sia, invece, in presenza di «centri di detenzione e punizione per migranti considerati a priori indesiderati», ciò che associazioni e organizzazioni antirazziste denunciano da tempo. I Cie, denuncia Medu, non sono che «uno strumento di contenimento sociale» come lo erano i manicomi e il sistema messo in atto non è «riformabile né migliorabile»: vanno perciò chiusi tutti i centri di identificazione e di espulsione attualmente operativi in Italia.

 

Paolo Carotenuto