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Omicidio Ferrulli: per i poliziotti le manganellate inferte sono semplici "bottarelle"

 

Fonte:popoff

 

«Hai visto che cazzotto in bocca?», dice una teste ma un poliziotto giura: «Nessuno picchiò Ferrulli. Solo bottarelle per ammanettarlo»
«Ma che gli stanno a fare? Lo hanno preso per i capelli!», dice una voce femminile. E poi impreca: «Mettiti dietro, mannaggia i tuoi morti!». La scena è quella della notte del 30 giugno di due anni fa nel quartiere Molise Calvairate di Milano. Sono gli istanti terribili in cui viene ucciso Michele Ferrulli, un uomo che stava bevendo una birra con alcuni amici e aveva commesso l'orribile torto di tenere la musica troppo alta, fuori da quel bar. Popoff la decrive leggendo la traduzione dei video girati da una testimone oculare.
Nell'aula del tribunale di Milano dove si sta celebrando il processo a quattro agenti per l'omicidio preterintenzionale il video è stato proiettato ancora e, finalmente, sono risuonate le parole tradotte delle persone che videro tutto. Anche gli agenti hanno visto e fatto tutto. Ma stanno raccontando un altro film che non coincide con le immagini girate con un telefonino da una donna romanes, una rom abruzzese. Per Domenica Ferrulli e sua madre è un'altra giornata di lacrime a rivivere gli ultimi istanti di vita del padre e del marito, a sostenere lo sguardo di chi ritiene di aver fatto il proprio dovere.
Nel video, una voce maschile fuoricampo e lontana grida aiuto almeno due volte, è Michele, in mezzo altre voci incomprensibili, e ancora «Basta, la testa, basta!». Santino Spinelli traduce con dovizia di dettagli le voci in romanes. E' la sua lingua madre, inoltre Spinelli è docente di Lingua e Cultura Romanì-Lingue e processi interculturali all'Università degli studi di Chieti. A Milano compare in veste di consulente linguistico nominato da Fabio Anselmo, legale della famiglia Ferrulli e anche di Lucia Uva, di Ilaria Cucchi, degli Aldrovandi.
Il consulente del tribunale, forse nel pallone, ha passato la mano dichiarando di non riuscire a interpretare quelle voci e il consulente delle difese non ha potuto che associarsi alla traduzione di Spinelli pur provando a dire che, più che esclamazioni, le frasi delle donne fossero interrogative.
Una seconda voce esclama che al «Qualche infarto gli prende al caggio ("caggio" è il termine con cui in lingua rom si indica l'uomo maschio non rom)». Poi un verso inorridito come di chi si identifica con la vittima. «Hai visto che cazzotto in bocca Kalì?("Kalì" è un soprannome comune in lingua rom riferito ad una donna: letteralmente significa "scura" ed è utilizzato generalmente per donne dai capelli scuri")». «Prima le manette e poi lo picchiano», continua il dialogo delle due testimoni. «Non sono capace di fare lo zoom con questa merda di telefono!». E' in un secondo video che si conferma la previsione: «Gli ha preso qualche infarto al caggio!». ) «Ecco vedi, poverino. E' morto Kali!», si legge nella traduzione consegnata ed esposta in aula. «E'morto dici? Maledizione (morti tuoi, intercalare tipico*) si (è vero)!». «Vedi che ha fatto la faccia nera? Non si muove più il caggio. per forza gli si sono messi ai fianchi e dopo sulla schiena, non hai visto, con il peso al caggio e più i cazzotti nella testa». «Guarda come menano...», dice la prima voce. «Vedi come danno ancora, vedi?».
Erano presenti in aula, l'altroieri (la prossima udienza sarà il 21 novembre), persone del quartiere, Lucia Uva, qualche attivista dei centri sociali e dell'associazione Acad, contro gli abusi in divisa, più una ventina di poliziotti.
Francesco Ercoli, uno degli agenti imputati, ha fornito la sua versione dei fatti non prima di aver fatto le condoglianze da parte dei 4 alla famiglia. Ha smentito l'uso del manganello, quello nei video sarebbe un guanto. Poi ha dipinto Ferrulli - obeso e malato di cuore - come una persona indisponente, non collaborativa e violenta.
Così riferiscono gli attivisti di Acad in aula. Michele avrebbe accolto la volante con i primi due agenti esordendo con un «ecco arrivati i due coglioni». L'agente Ercoli avrebbe chiesto i documenti a Ferrulli e ai due rumeni ma avrebbe ricevuto da Michele un secco rifiuto: «Qui tu non conti un cazzo perchè questa è zona mia». Nel racconto del poliziotto la colluttazione si trasforma - per la prima volta da quando sono partire le indagini - nell'aggressione di Ferrulli allo stesso agente: solo i riflessi del poliziotto avrebbero consentito di spostare il viso in tempo per evitare una testata che prende Ercoli sulla spalla. Il pugno - così appare nel video e nelle testimonianze, sferrato dall'agente a Ferrulli altro non sarebbe che un gesto per mandare a quel paese il fermato. L'agente si allontana e Ferrulli lo avrebbe seguito per colpirlo alle spalle ma la prontezza di un collega sventa l'operazione proprio mentre arriva la seconda volante ed un terzo agente aiuta i colleghi a bloccare Michele che continua a dimenarsi, a fare resistenza e ad insultare gli agenti. Ferrulli viene fatto cadere a terra e lì non inizia un pestaggio, (colpi in rapida sequenza: due più tre, poi sei più sette) nel racconto del poliziotto, ma una normale tecnica di ammanettamento che contemplerebbe «colpetti a mano aperta sulle giunture per agevolare l'ammanettamento». I poliziotti non sarebbero sul corpo ma inginocchiati a distanza di un metro per fare leva e riuscire a portare il braccio di michele dietro la schiena. Al massimo uno di loro si sarebbe seduto sui polpacci della vittima. Ferrulli viene ammanettato e bloccato con tre paia di manette.
Solo finita la manovra di ammanettamento l'uomo sarebbe passato dalle ingiurie alle suppliche: «Aiuto ragazzi mi sento male». Ferrulli era diventato paonazzo in volto, fu tentato una sorta di massaggio cardiaco e poi la corsa in ambulanza al pronto soccorso dove sarebbe deceduto dieci minuti dopo l'arrivo. Aveva 51 anni.
Dei colpi, ora riferiti davanti alla Prima Corte d'assise, non esiste referto, né menzione nelle note di servizio, non è nel campo visivo della telecamera, né in alcuna testimonianza. Ercoli, però, è sicuro: «Nessuno ha picchiato il signor Ferrulli». Ma il poveretto, che reato aveva commesso, chiede il pubblico ministero Gaetano Ruta: «Ingiurie, ha tentato di colpirmi, non ha fornito documenti. Penso che basti».

 

Checchino Antonini