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“Ho coltivato marijuana per curarmi, ora rischio sei anni di carcere”

 

FONTE:L’Espresso

 

Cannabis terapeutica. Inizia il processo nei confronti di Walter De Benedetto affetto da artrite reumatoide che aveva ha iniziato a coltivare cannabis perché il sistema sanitario non gli garantiva la quantità adeguata per alleviare il dolore. “Violato il mio diritto alla salute”.

 

“Non ho più tempo per aspettare i tempi di una giustizia che ha sbagliato il suo obiettivo. Il dolore non aspetta. La mia malattia è andata veloce ed è andata veloce anche la giustizia”. A parlare è Walter De Benedetto, 49 anni,affetto da artrite reumatoide, una malattia degenerativa alleviabile in gran parte con l’uso di cannabis. La giustizia, come la chiama lui, avrebbe dovuto assicurargli il diritto alla cura, quella stessa giustizia che ora lo mette sotto processo.

Il prossimo 23 febbraio Walter comparirà per la prima volta davanti al giudice del Tribunale di Arezzo, indagato per coltivazione di sostanza stupefacente, rischia fino a sei anni di carcere. Un’accusa che si è guadagnato dopo aver iniziato a coltivare nel suo giardino le piante di marijuana che gli permettono di alleggerire il grande dolore che la malattia lascia sul suo corpo. Quello che il sistema sanitario gli fornisce è insufficiente:

“Quando sto molto male mangio i biscotti, se invece voglio un effetto immediato, ma breve sul dolore (che passa dopo due tre ore) due o tre pipe ad acqua vanno bene – racconta Walter – grazie alla cannabis e grazie ad un’alimentazione sana, la malattia è andata in quiescenza per diversi anni e non era mai capitato”.

Da quanto gli è stata diagnosticata la malattia ne sono trascorsi 35, all’epoca Walter era un adolescente di 15 anni e mezzo. La sua condizione comporta una progressiva perdita di mobilità e forti dolori articolari, al momento è impedito nei movimenti e gli è difficile anche parlare. Le prime cure a cui si sottopone negli anni 90 hanno pochi benefici e provocano pesanti effetti collaterali: “Malessere generale, niente energia, vomito, la cura la facevo il sabato e non mi riprendevo per giorni”, ricorda Walter. Questo a causa di potenti antimalarici a cui si abbinavano immunodepressori e chemioterapia: “Stavo morendo di “cure” prima che della malattia”.

“Lo Stato mi impedisce cure adeguate per il mio dolore” – Con l’uso della cannabis terapeutica nel 2011 Walter inizia a vedere subito dei risultati. Dopo solo tre mesi abbandona la morfina che pian piano lo stava consumando. Il Servizio Sanitario Nazionale gli garantisce un grammo al giorno: sei confezioni da cinque grammi, che l’uomo ritira una volta al mese alla farmacia dell’ospedale. Con il peggiorare della malattia la quantità prevista non è più sufficiente: la cura passa a due grammi ogni ventiquattro ore (grazie a un farmaco che si chiama Bedrocan), ma alcuni giorni non basta, il quantitativo andrebbe triplicato.

L’Asl di Arezzo non riesce a coprire il fabbisogno terapeutico di Walter. L’uomo inizia a spendere di tasca propria, facendosi arrivare trenta grammi dall’Olanda. Nonostante questo, per l’estrazione dell’olio di cannabis, fondamentale per il controllo del dolore, ci vogliono grandi quantitativi. L’unica via è quella della coltivazione privata: “Ho coltivato le piante perché quello che lo Stato mi garantisce non mi basta”.

A ottobre 2019, dopo un’irruzione da parte delle forze dell’ordine, scatta la denuncia per lui e un suo amico che lo aiutava a prendersi cura del giardino.

“La mia richiesta di aiuto è un atto di accusa contro un Paese che viola il mio diritto alla salute, riconosciuto dalla Costituzione, a ricevere cure adeguate per il mio dolore”, ha detto l’uomo in un appello rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, in questi mesi, ha ricevuto circa 20mila firme. Walter aveva anche incontrato l’ex Presidente della Camera, Roberto Fico, il quale gli aveva garantito una risoluzione positiva. Ma ad oggi si trova senza terapia e per giunta indagato.

Come Walter molti altri: la cannabis prodotta in Italia non basta – La storia di Walter purtroppo non è un caso isolato, sono molti i malati costretti ad arrangiarsi in mancanza di una soluzione garantita dallo Stato italiano. Il ricorso alla cannabis terapeutica in Italia è consentito da 14 anni, ma la richiesta è ben superiore alla produzione nazionale e all’importazione del farmaco. Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell’International Narcotics Control Board, il fabbisogno italiano è di 1950 kg all’anno. Il decreto ministeriale in merito ha fissato a 500 kg la quantità massima da produrre, individuando come unico soggetto autorizzato alla produzione lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (Scfm).

Nel 2019 lo Scfm ha distribuito alle farmacie cannabis per soli 157 kg, con un totale di vendite ammontante a 860 kg, di cui 252 kg acquistati dall’Olanda. “Non è un problema solo di Walter – spiega Lorenzo Simonetti, suo avvocato – la filiera degli attori che compaiono in questo caso è molto più ampia del semplice rapporto imputato-tribunale: dal momento in cui la farmacia ospedaliera non procura al paziente la medicina per la quale ha una regolare prescrizione, lasciandolo di fatto senza terapia, il paziente è lasciato solo dallo Stato”.

Walter è anche sostenuto dalla campagna Meglio Legale, che da un anno si pone come ponte tra istituzioni e cittadini per aprire un dibattito e discutere i temi riguardanti la legalizzazione della cannabis, con l’appoggio, tra gli altri, di Marco Cappato, Riccardo Magi, Iacopo Melio e Roberto Saviano. “Quello che più dispiace è vedere sul banco degli imputati una persona che cercava solo di alleviare il suo dolore”, ha detto Antonella Soldo, coordinatrice di Meglio Legale. “La mancanza di informazione tra gli operatori sanitari in materia di cannabis terapeutica e la burocrazia farraginosa, che troppo spesso accompagna le regolari prescrizioni, non permette di rispondere adeguatamente al fabbisogno dei malati”.

 

Rita Rapisardi