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DAVIDE LIBERO











Morte per pena o pena fino alla morte?

 

FONTE:osservatorio repressione

 

Per l’opinione pubblica il suicidio di un detenuto è solo un segno più nella lunga e triste lista di chi non ha potuto avere una seconda opportunità

 

 

Si parla sempre marginalmente e malvolentieri delle condizioni delle persone recluse, le istituzioni faticano a cooperare per il cambiamento delle stesse e del loro modo di pensare e di agire, dimenticando che il male è nell’azione, non nella persona detenuta che spesso decide di tentare la strada del suicidio.

E così accade che muore una persona entrata il giorno prima in carcere con un vissuto tragicamente solitario al punto che non si è riusciti a trovare un solo familiare da avvisare dell’accaduto, vive invece la modalità drammatica del suicidio che avrà il totale silenzio nel mondo della comunicazione.

Allora, noi dove siamo? Lo Stato dov’è? La società dov’è? E questa non è morte per pena o pena fino alla morte?

La chiamano “assenza dei servizi”, il fallimento è sotto gli occhi di tutti, così come l’indifferenza e il sistema penitenziario ha di cui riflettere, dalla questione della psichiatria in carcere, alle carcerazioni per reati come un piccolo furto che porta subito in cella e sulla necessità di trovare strutture adeguate a risolvere queste vecchie problematiche con le quali tutti ci dovremmo confrontare.

Non si possono chiudere gli occhi e pensare che questi problemi si risolvano sbattendo le persone in carcere perché in esso si diventa sin dal primo giorno un foglio senza nome.

Vi è la necessità di pensare ai modelli di detenzione assolutamente inattuali e in contrasto con i diritti umani che andrebbero superati e che invece, sono felicemente condivisi e amati dal belpaese.

Oggi come ieri ci si ritrova di fronte una giustizia melliflua quando si tratta dei potenti e arrogante con l’uomo della strada, ma la popolazione carceraria ha ancora bisogno di cambiamenti che alimentino la speranza.

Non potranno essere rapidi, ma bisogna cominciare a dare dei segnali. Speravo tanto nel ministro di Grazia e Giustizia, ma nessuna riforma concreta, le stesse che chiedono con insistenza molti studiosi, e non “pacchetti sicurezza” che sono inaccettabili, provvedimenti come quello sulle “sommosse” in carcere, perché con l’articolo 27 della Costituzione, cioè col trattamento che parte dal lavoro, dalla profonda consapevolezza del reato commesso e dal riconoscimento della dignità di ogni individuo che non perde mai per intera la propria libertà, si può dare una speranza e una prospettiva di un lavoro onesto uscendo dal carcere evitando altri suicidi.

In fondo per l’opinione pubblica il suicidio di un detenuto è solo un segno più nella lunga e triste lista di chi non ha potuto avere una seconda opportunità.

 

Luigi Mollo