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Quella maledetta domenica di un anno fa

 

Omicidio Sandri – In Italia un ragazzo veniva ucciso da un poliziotto, ma l’attenzione di mass media e istituzioni era rivolta al pericolo ultras

 

Erano le 9.18 dell’11 novembre 2007 quando il ventiseienne dj romano Gabriele Sandri è stato colpito a morte da un proiettile esploso dall’agente scelto della polizia stradale Luigi Spaccarotella. La tragedia si è consumata sull’autostrada A1, all’altezza dell’autogrill di Badia al Pino in provincia di Arezzo. L’agente di polizia ha, secondo i tanti testimoni oculari, corso verso la rete che lo separava dall’autostrada e ha sparato a braccia tese facendo viaggiare il colpo di pistola in mezzo a sei corsie, con un grave rischio per l’incolumità di qualunque veicolo fosse passato in quel momento nelle due carreggiate. Il poliziotto ha mirato da una distanza di circa 70 metri verso la macchina dove viaggiava Gabbo che si stava immettendo in autostrada.
In pratica, nel giro di pochi minuti si aveva la persona uccisa, l’omicida e la pistola fumante. Ma nessuno si è preso la briga di fare subito chiarezza e anzi è successo proprio tutto il contrario. Subito si è parlato di una rissa tra tifosi laziali e juventini e di un quasi provvidenziale intervento delle forze dell’ordine. Peccato che è difficile fare una rissa quando si è dentro una macchina che sta rientrando in autostrada. Peccato che la famigerata rissa era stato un diverbio durato meno di qualche minuto. Peccato che Spaccarotella avrebbe tranquillamente potuto prendere la targa della macchina invece di improvvisarsi guerriero della notte.
La risposta immediata e la gestione della crisi da parte delle istituzioni sono state a dir poco imbarazzante e degne di un paese del Terzo mondo. Edizioni speciali dei telegiornali, tavole rotonde, interviste e inchieste proliferavano già dall’ora di pranzo, ma nessuno ha mai pensato di dire a chiare lettere che in Italia era stato ucciso un ragazzo. Anzi, c’è stato addirittura chi ha tentato fin da subito di criminalizzare Gabriele e i suoi amici, colpevoli di essere ultras e quindi pericolosi criminali che quasi se la erano andata a cercare.
Poi gli scontri in molti stadi d’Italia dove giustamente si chiedeva rispetto per la morte di Gabbo. La guerriglia a Milano e quella di Bergamo. Mentre il circo dello sport continuava senza remore. E ancora, la conferenza stampa del questore di Arezzo in cui erano state vietate le domande e in cui si accreditava l’ipotesi di colpi esplosi in aria e deviati da chissà che cosa. Infine, la tardiva decisione di rinviare la partita Roma-Cagliari allo stadio Olimpico che ha acceso la rabbia nelle strade di Roma con le caserme di polizia e carabinieri assaltate da ultras e soprattutto da centinaia di ragazzi “normali” che non volevano abbassare la testa davanti a un’ingiustizia così grande. Per finire, il lunedì dopo quando i giornali italiani aprivano sugli scontri, ma non sulla morte di un ragazzo di 26 anni. Qualcuno addirittura solidarizzava a prescindere con le forze dell’ordine. Ma solo pochissimi hanno avuto il coraggio di dire la verità: in Italia un ragazzo è stato ucciso dalla polizia senza un motivo. E a nessuno doveva minimamente interessare che Gabbo era anche un ultras. Non c’entrava nulla. Ma questo era l’unico modo per cercare di infangare la sua memoria. Alla fine, però, non ci sono riusciti: tutta Italia ha conosciuto il sorriso solare di Gabriele Sandri, tutta la nazione si è stretta intorno a Daniela, Giorgio e Cristiano. Il resto sono solo comportamenti degni di piccoli uomini.