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G8: la storia delle molotov, protagonista della sentenza sul massacro della Diaz

 

Protagonista della sentenza finale sul massacro della Diaz durante il G8 di Genova - per cui sono imputati 29 tra agenti e funzionari della polizia di Stato- la storia delle molotov: prove fasulle con cui le forze dell’ordine volevano "giustificare" le violenze e le manette ai no-global. La sentenza è stata letta al più tardi nella serata, in un tribunale che, come annunciato, era affollato e sorvegliatissimo dalle forze dell’ordine. Presenti infatti in aula molte delle 93 vittime, tra cui Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni, anche lui nella scuola durante l’irruzione, che ha ricostruito tutto il percorso fatto dalle molotov. Covell nel 2006, nell’aula del tribunale di Genova, mentre raccontava di come i poliziotti l’avevano pestato, vide il sorriso sprezzante di alcuni difensori degli imputati, e iniziò a piangere. La rabbia e la frustrazione per questo atteggiamento degli accusati lo hanno indotto a trasformarsi in un vero e proprio detective, che ha cominciato a raccogliere
tutto il materiale video e fotografico della "famosa" notte, collaborando con diversi tecnici e lavorando a quella che ha ribattezzato la London Investigation. Proprio ieri Covell è stato così in grado di raccontare tutto il percorso fatto dalle molotov: le due bottiglie incendiarie portate dalle forze dell’ordine all’interno della Diaz dopo il blitz per "giustificare" il massacro e l’arresto, sostenendo che i no-global erano in realtà pericolosi Black Bloc. Le immagine, alcune delle quali estrapolate da un filmato girato da un operatore Rai e che fanno parte di un’inchiesta giornalistica della Bbc di prossima pubblicazione, sono state depositate dalle parti civili il mese scorso e non fanno che reiterare le accuse della procura. Le fotografie smascherano la "regina" delle prove false, tra l’altro scomparsa proprio quando spettava ai poliziotti portarla come testimonianza in loro favore. Covell è infatti riuscito ad isolare il fotogramma-simbolo del "malaffare" messo su dagli agenti della Ps: il cortile della scuola, le sagome di due funzionari che si allontanano, e sullo sfondo a sinistra il profilo di un uomo sulla soglia dell’ingresso laterale, di spalle, in borghese con un casco protettivo e che nella mano sinistra stringe il sacchetto azzurro con le bottiglie. In particolare questa la sequenza delle foto messe insieme dal giornalista inglese: C’è Francesco Gratteri che telefona e si avvicina all’ingresso e Spartaco Mortola al cellulare. Michele Burgio, l’agente che materialmente porta le molotov fino al cortile della scuola e che ammetterà davanti ai magistrati che sono state portate nell’istituto dalle forze dell’ordine. Poi il capopattuglia Troiani che parla con gli altri poliziotti e Giovanni Luperi che mostra il sacchetto. Infine dentro la scuola spuntano le molotov, che i poliziotti stanno sistemando su quel lenzuolo dove metteranno in mostra tutte le cose sequestrate. Luperi giurò di aver chiamato una funzionaria, Daniela Mengoni e di aver affidato a lei, nel cortile, le molotov, ma la Mengoni a sua volta disse di averle passate ad un misterioso ispettore della Digos di Napoli. Tuttavia non solo nelle immagini non appare mai la Mengoni nel Cortile, ma anche la figura dell’Ispettore di Napoli, che tra l’altro non è mai stato identificato né nelle foto, né da nessun testimone, appare inventata.