Con la nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese le curve degli stadi sono tornate a essere l’inconscio collettivo della società. Inconscio come luogo del rimosso e di creazione del linguaggio. Per lunghi anni, soprattutto in Italia, le curve avevano taciuto. A causa dei vari decreti repressivi approvati dai governi di entrambi gli schieramenti politici e per un fisiologico ricambio generazionale. Adesso, però, i tifosi sono tornati a far sentire la loro voce e sono tra i pochi a parlare di pace e di vittime. Questioni che sembrano interessare poco le maggioranze di governo e i media mainstream.
Non è tanto questione di esporre le bandiere palestinesi, quelle si sono viste spesso negli stadi di tutto il mondo, ma di articolare nel linguaggio una forma di resistenza e di protesta. Ciò che colpisce nelle nuove generazioni che occupano i settori popolari degli stadi italiani è proprio la capacità di sviluppare un discorso altro e diverso.
«Chiamiamo le cose col loro nome, a Gaza è un massacro di inermi, nessuna giustificazione», era scritto sabato scorso nella Curva Nord del Lecce che ospitava il Milan. Qualche settimana fa gli ultrà del Livorno hanno esposto uno striscione dai caratteri cubitali: «In guerra nessun civile dovrebbe morire, né per mano di un “terrorista”, né di un “esercito regolare”», con le virgolette a sottolineare quanto la distanza tra i due termini sia spesso tutt’altro che netta.
Altre parole molto belle si sono viste nella Curva Sud rossonera che a San Siro ha esposto lo striscione: «Fate silenzio quando i bambini dormono, non quando muoiono. Stop a tutte le guerre».
Nel derby con la Lazio la curva romanista ha invece scritto: «Tutti i bambini del mondo sono nostri figli e meritano le stesse attenzioni». Concetti che vanno ben oltre la semplice appartenenza a uno dei due schieramenti nel conflitto, ma anche oltre l’idea stessa di tifo – nel senso più deleterio termine – che ha invece infestato le posizioni prevalenti su questa guerra e su quelle più recenti.
Per il resto, ovviamente, dopo l’invasione di Israele le bandiere con i colori rosso, verde, bianco e nero sono tornate a sventolare negli stadi di mezza Italia e di mezza Europa. Opera di gruppi ultras che non si limitano alla semplice solidarietà sui gradoni, ma sono in prima linea nell’organizzare carovane, sostenere ospedali o creare squadre di calcio in territori martoriati come Palestina e Kurdistan.
La protesta più clamorosa è stata inscenata a San Sebastián, nei paesi baschi spagnoli, dove i tifosi della Real Sociedad sono entrati allo stadio vestiti con delle tute bianche insanguinate. A favore della Palestina hanno preso parola anche diversi calciatori di fede islamica – da Benzema a Salah – attirandosi accuse e critiche. Compatte le tifoserie dei paesi arabi, dal Cairo a Casablanca a Tunisi, la cui vicinanza alla causa palestinese è nota.
Posizioni di segno opposto sono state espresse dalle tifoserie israeliane, dove il campionato è stato sospeso, e dalle curve di Tottenham, Mainz e St. Pauli di Amburgo. Quest’ultima è entrata in conflitto con la Green Brigade del Celtic Glasgow, nonostante entrambe siano storicamente considerate avamposti della sinistra. I tedeschi hanno esposto lo striscione: «From Gaza to Glasgow, fight antisemitism, free Palestine from Hamas». Tirati in ballo dagli (ex?) compagni di tifo e solidarietà, gli scozzesi hanno risposto con un sarcastico: «Fuck St. Pauli! Free Hamburg from hipsters». Vedremo come finirà.
In ogni caso la Green Brigade è tra le curve che hanno alzato maggiormente la voce sul tema. La cosa non è piaciuta alla Uefa, che aveva già chiesto al club di punirla in occasione dello striscione antifascista esposto nella partita di Champions contro la Lazio. E poi di sospenderla per le bandiere palestinesi nella gara successiva contro l’Atlético Madrid. Per compiacere la macchina da soldi della Uefa, che non si vergogna di fare affari con le peggiori dittature ma teme la libertà di parola delle curve, la società ha revocato a tempo indeterminato l’abbonamento a qualche migliaio di tifosi.
Se rispetto ai conflitti in cui le prime vittime sono gli innocenti ciò che avviene nei media è «tifo» nel senso peggiore del termine, queste curve ne hanno mostrato il significato migliore. |