Nelle ultime settimane abbiamo assistito alle preoccupazioni dei maiali dell’universo pallonaro preoccupati del mancato rinnovo del Decreto crescita. Tale decreto era stato scritto per far rientrare i cervelli in fuga ma poi è stato utilizzato per pagare meno tasse sui sontuosi stipendi dei calciatori stranieri. I maiali sopracitati, giornalisti e dirigenti che con il calcio non giocano ma guadagnano, espongono le loro preoccupazioni rispetto al fatto che il calcio nostrano possa perdere competitività, come se negli ultimi anni il calcio italiano avesse fatto incetta di trofei e vittorie e come se la responsabilità di questa non competitività, che è precedente al decreto crescita, fosse di qualcun altro e non di questi stessi maiali di merda. Nelle loro chiacchiere vogliono far passare il messaggio secondo il quale se il calcio perde soldi, tutto il Paese s’impoverisce perché il denaro che il movimento generosamente elargiva alla nazione sotto forma di tasse e ricaduta dell’indotto diminuirà drasticamente, lasciando i lavoratori in povertà e i bambini affamati a vagare per le strade. Ora, confutare qui la solita idiozia della trickle down economy per cui più i ricchi guadagnano meglio stanno i poveri è inutile. Lo ha già fatto la storia per noi. Quello che è successo, infatti, è esattamente il contrario. Senza gli aiuti dello Stato i soldi che i club prima risparmiavano in tasse sugli stipendi dei calciatori stranieri (nell’ordine di decine di milioni l’anno) tornano ad essere versati all’erario, e quindi possibilmente destinati a scuole, case, ospedali e via dicendo. La realtà che essi vogliono occultare con le loro chiacchiere e quella di un sistema seriamente indebitato che non è più in grado di camminare senza il sostegno dei soldi pubblici, le cosiddette norme salvacalcio sono servite a coprire tale indebitamento. I maiali vogliono farci credere che quello del pallone è un mercato libero ma esso è libero solo quando può mantenersi con i soldi pubblici ovvero le tasse dei cittadini e non certo il contrario. Ricordate le preoccupazioni estive rispetto alla potenza economica dell’Arabia Saudita che aveva monopolizzato il mercato internazionale del calcio con una pioggia di denari che non aveva eguali? La cosa che già da quest’estate ci balenava nella testa era proprio sul fatto che a dirsi preoccupati di questa deriva erano gli stessi soggetti che di quei stessi soldi si erano per anni foraggiati, che attraverso sponsorizzazioni miliardarie avevano spostato in quei paesi competizioni nazionali. Per rimanere ai maiali nostrani basta pensare alla Supercoppa Italiana che ormai da anni ha nell’Arabia Saudita la sua sede fissa. Che il denaro sia la loro priorità non c’è mai stato in noi alcun dubbio, del resto la deriva mercificatrice di questo sport la paghiamo sulla nostra pelle anche attraverso la repressione che altro non è che la volontà di zittire le nostre scomode voci, la violenza è il boccone da dare in pasto al popolino seduto davanti al televisore. L’ipocrisia degli stessi sta nel farsi portatori di messaggi nelle loro competizioni che vanno dalla Pace, all’antirazzismo, all’uguaglianza di genere salvo poi sacrificare gli stessi sul piatto della bilancia dei miliardi portando visibilità a paesi, tipo l’Arabia Saudita, che nella loro società civile certi valori non sanno neanche dove sono di casa. Ed è proprio nel nostro vivere Ultras che sopravvive la volontà di rifiutare questo sistema calcio che non ha nulla a che vedere con la nostra passione. E se noi ci possiamo permettere di fare paragoni con il passato, chi in questa quotidianità ci cresce non conosce alternative, dà per scontato quello che trova. È a voi, che vi siete trovati la peggiore delle realtà immaginabili per noi, che ci rivolgiamo. La domenica allo stadio come la intendevamo noi non esiste più, la scelta è ampia e quella dello stadio rimane ormai una scelta da temerari. Con la pay-tv che ormai ti propina calcio ad ogni ora da ogni dove, che ti tiene attaccato alla plastificata passione di una squadra lontana, che ti tiene sul divano nella convinzione di essere un “tifoso” o un appassionato partecipante all’evento, ma la tua voce non arriva neanche al vicino di casa. Con le sale scommesse che ormai nascono come funghi, basta farsi un giro per Teramo, in certi quartieri manca il panettiere ma c’è la sala scommessa, ed è lì che molti passano le loro domeniche, affidando la speranza di ricevere qualche spicciolo al rotolio di un pallone. Non possiamo credere che questo calcio non ci piaccia se noi nel nostro piccolo non siamo disposti a rinunciare a qualcosa, non possiamo pensare che qualcosa debba cambiare se non siamo noi i primi a cambiare. Se noi che abbiamo ancora la voglia di vivere la nostra passione nel modo più puro e genuino possibile iniziamo a cambiare le nostre abitudini non cambiamo il mondo, ma certamente miglioriamo le nostre esistenze e le nostre coscienze, perché quello che diciamo è quello che facciamo. Pensi che il tuo abbonamento alla pay-tv o la tua scommessuccia non cambi niente? È qui che ti sbagli, le tue azioni hanno un peso diverso dalla massa. Stando su questi gradoni hai scelto di essere diverso, stai cercando di non rassegnarti all’idea che qualcuno voglia trasformare la tua passione in un prodotto. Le tue scelte pesano molto di più di quelle di chiunque altro. |