Più di dieci anni fa, all’indomani della morte di quattro tifosi salernitani a causa dell’incendio di un vagone di un treno speciale, l’allora presidente della Lega calcio Nizzola disse “in futuro le trasferte in occasione di una partita saranno seguite solo in televisione”. Da allora molte ristrutturazioni sono seguite, nei dispositivi di ordine pubblico istituite per controllare il calcio, e molte se ne annunciano per gli anni a venire. Diventa quindi importante comprendere quale logica le sostenga a partire dagli ultimi annunci ufficiali, con tanto di direttive già firmate dal ministro degli interni, sull’obbligatorietà della tessera del tifoso per le trasferte dal 1 gennaio 2010. Al momento la polemica maggiore sulla tessera tra tifoserie e autorità competenti è legata al problema della negazione o meno della card per quei tifosi che non abbiano Daspo, i provvedimenti amministrativi di allontanamento dallo stadio per un periodo definito dalle autorità competenti, ma che invece li abbiano avuti in passato. Giova ricordare, per chi è lontano dai temi della normativa sull’ordine pubblico in materia di sport, che il Daspo non è una condanna penale ma un provvedimento amministrativo. Vieni insomma allontanato per un periodo di tempo da una manifestazione pubblica da un provvedimento amministrativo, immediatamente efficace, perché potenzialmente pericoloso non perché hai subito condanne che pregiudicano la tua presenza in pubblico. A sinistra le implicazioni in materia di diritti civili di queste pratiche di polizia non sono mai state capite, specie nell’ottica del potenziale allargamento di questo dispositivo giuridico alle manifestazioni politiche. Ma se la sinistra avesse capito quale tipo di tattiche di polizia, con legislatura a supporto, stavano evolvendo a partire dagli stadi lungo tutti gli anni ‘90 avrebbe preventivamente evitato il bagno di sangue di Genova 2001 senza bisogno di inventarsi il capro espiatorio dei black bloc come causa degli incidenti. Al momento il ministero degli interni ha emesso una circolare che chiarisce le linee guida per il rilascio della tessera: verrà concessa a chi non ha mai avuto Daspo e a chi lo ha avuto in passato ma lo ha già scontato. In questi dettagli ci sta però il diavolo pensato da Maroni: la tessera non verrà concessa a chi ha processi in corso, legati a fatti di “violenza da stadio”, la cui sentenza di primo grado deve essere emessa. Nel caso di sentenza di primo grado negativa per l’imputato, e in attesa della sentenza di secondo grado e del giudizio in cassazione, la tessera non verrà concessa. Si tratta già qui di un serio rovesciamento della presunzione d’innocenza per i comportamenti da stadio rispetto a quanto previsto dall’ordinamento giuridico per il resto dei reati. Normalmente l’imputato si presume innocente fino alla sentenza della cassazione, c’è infatti chi al momento fa il presidente della regione Campania con questo genere di presunzione, mentre per i reati da stadio sei presunto colpevole e sospetto di reiterazione del reato praticamente non appena scatta la denuncia. Si tratta quindi della radicalizzazione di una sorta di legislazione speciale sul calcio che ha mosso i primi passi nel lontano ‘89 con il primo corpo di leggi che istituiva i Daspo. E’ poi nel dispositivo di legge Amato del 2007, votato senza critiche allora dalla cosiddetta sinistra radicale, che sono contenuti gli spunti applicativi delle norme che regolano la cosiddetta tessera del tifoso. Perché se Maroni, e il suo governo fascistoide, tenta di applicare la tessera del tifoso questa è stata istituita dalla legge Amato del 2007 dal governo di tutte le sinistre a parole amante della pace, della marce arcobaleno mano nella mano e dei diritti civili. E se, nell’interpretazione dei dispositivi di legge per la concessione della tessera del tifoso, passasse l’interpretazione letterale formulata nell’articolo 9 della legge Amato (legge 41, 2007) i criteri di rilascio della card sarebbero anche più restrittivi anche rispetto a quanto previsto ufficialmente da Maroni. Sarebbero esclusi dalla tessera e quindi dalle trasferte chi ha patteggiato una pena per reati da stadio (che spesso non significa riconoscersi colpevoli ma ridurre il danno di una sentenza), chi è stato condannato il primo grado ma assolto nei successivi (restando così “socialmente pericoloso”, sulla base di un sospetto permanente, anche se innocente), chi ha avuto il Daspo ma poi è stato assolto in sede di procedimento penale (assoluzione che a regola dovrebbe significare l’assenza di pericolosità sociale dell’imputato assolto), chi è stato diffidato ma ha vinto il ricorso al Tar o al consiglio di stato (che risulta quindi potenzialmente pericoloso semplicemente perché è stato fatto il suo nome), chi ha avuto un Daspo di tre mesi tra un campionato e l’altro e non ha fatto ricorso solo per poter riprendere ad andare allo stadio la stagione successiva. L’ultimo dispositivo di applicazione della legge presente nell’articolo 9 è ovviamente il più pericoloso: prevede infatti che la tessera del tifoso non sia rilasciata anche in assenza di Daspo semplicemente su quelli che le autorità competenti chiamano “dati oggettivi” (es. semplice frequentazione di un gruppo ultras, frequentazione contemporanea di un gruppo politico e ultras assieme, frequentazione di un settore della curva ritenuto non pacifico etc.). Insomma, se le autorità competenti decidono secondo le leggi Amato che una tifoseria in trasferta non ci deve andare non occorrono prove, processi o tribunali basta un provvedimento immediato e poi tra le pieghe della normativa l’impianto di giustificazione giuridica della proibizione lo si trova. E’ quindi imminente una stagione di scontri e di mediazioni tra società sportive ed istituzioni, e manifestazioni e di ricorsi al Tar e alla corte di Cassazione da parte delle associazioni di tifosi, sulle norme che debbano essere applicate o meno nella realizzazione della tessera del tifoso. Se una integrale applicazione della logica della legge Amato (grazie sinistra per l’eredità lasciataci, poi lamentati se sei all’opposizione o fuori dal parlamento) se una sua parziale revisione con le direttive Maroni (che al momento escludono dalla negazione della card i possessori di Daspo già scontato) oppure se l’intero provvedimento finirà in un binario morto a causa delle resistenze delle società di calcio e dei tifosi. Comunque, al di là del dibattito sullo specifico dell’applicazione della tessera del tifoso, che incontra numerosi e trasversali elementi di resistenza, è importante capire quali logiche securitarie siano sottostanti a questo provvedimento. La prima cerchiamo di farla capire ai soggetti più ostici alla comprensione del mondo reale: ci riferiamo al mondo della sinistra. La tessera del tifoso apre un profondo squilibrio nel rapporto tra singolo e poteri istituiti prevedendo leggi coercitive della libertà della persona sulla base del semplice sospetto in materia di manifestazioni pubbliche. E qui ci spingiamo a pensare che anche chi ha votato PD, quindi un grado bassissimo di distinzione tra realtà e allucinazione in politica, può arrivare a capire che una maggioranza di governo che detiene il potere dei media se istituisce poteri così ampi nei confronti del singolo, sulla base del solo sospetto, di fatto ha strumenti tipici da dittatura sostanziale. Che possono essere usati anche per temi e manifestazioni di pubblico interesse più strettamente legati alla politica. La seconda e più generale riguarda l’impatto culturale, e quindi radicato nei comportamenti di tutti, riguardante questo genere di provvedimenti. Un primo aspetto di questi provvedimenti è infatti l’animalizzazione del tifoso: questo viene privato di diritti perché ritenuto così imprevedibile e pericoloso, come una animale impazzito, da dover essere “fermato” comunque anche in assenza di prove. In questo senso il tifoso va a fare compagnia alle categorie di extracomunitario, “giovane bullo”, “guidatore del sabato sera” ovvero a quei soggetti che, una volta individuati come da “normare”, vengono privati dei diritti e rappresentati come animali che mettono in pericolo l’ordine sociale (mettendo così a rischio l‘intera società che viene trattata da animale un soggetto alla volta, nessuno escluso). Una regressione ottocentesca del vivere collettivo che viene oltretutto fatta passare con l’ideologia “post-novecentesca” della “sicurezza che non è né di destra né di sinistra”. Un secondo aspetto di questi provvedimenti riguarda invece il significato culturale (eh si..) che si vuol dare al calcio. Infatti i provvedimenti Amato e Maroni si accompagnano ad una logica di ristrutturazione degli stadi che non lascia spazio alle tifoserie organizzate ma solo al tifoso-consumatore che ha nell’acquisto del biglietto della partita solo l’aspetto terminale di una lunga catena di consumi (dopo la sciarpa ufficiale, l’acquisto all’outlet dei tifosi autorizzato, poi al centro commerciale dentro il nuovo stadio, infine la pay-per-view e i canali dedicati). Sconfiggere la cultura da stadio, per affermare un consumismo estremo nel calcio (“valorizzando” radicalmente il prodotto) passa strategicamente dal controllo e dalla selezione dei tifosi, tramite apposite card per la trasferta fatte per regolare i comportamenti individuali non conformi. Lasciamo pensare a chi non si è mai occupato di calcio, ed è pure convinto di saperla lunga su come funziona la società, che il calcio sia sempre stato business e i tifosi degli eterni poveri illusi. Difendiamo piuttosto la cultura da stadio, in una battaglia contro la tessera del tifoso che vale dei diritti che vanno ben oltre la visione della partita. |