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Il potere degli intoccabili

 

L ' attacco all'articolo 41 della Costituzione (ma, in realtà, ha ragione Cremaschi, all'articolo 1, cioè al lavoro come principio ordinatore della nostra democrazia organizzata e conflittuale) non è, a ben vedere, tema diverso dall'impunità che il governo solennemente conferisce alla catena di comando militare e di polizia che ha prodotto la "macelleria messicana", con annesse torture (questa è ormai la verità anche giurisdizionale), prima a Napoli e poi al G8 di Genova.
Il governo, ridando fiducia piena a quella catena di comando fa una duplice operazione che è un attacco diretto all'impianto costituzionale: da un lato, pone il potere politico in aperto contrasto con l'autonomia del giudizio della magistratura, tentando di stabilire che il potere del governo, che si esplica in forme plebiscitarie ed autoritarie, annulla il potere giurisdizionale e il sistema delle garanzie, in nome dell'investitura popolare al premier. Ribadendo, difatti, una forma di incostituzionale presidenzialismo populista, di fronte ad un sistema giudiziario che, anche grazie al lavoro degli avvocati, pur fra omertà corporative, vergognosi depistaggi e intimidazioni politiche comunque ha operato.
E' forte il rammarico per il fatto che di tutte le inchieste per le tragedie di nove anni fa, l'unica ad essere stata archiviata è stata quella sulla uccisione di Carlo Giuliani. Mi unisco allo sdegno espresso da Giuliano Giuliani: «Uno schifo. Ma c'è un motivo. In quella storia erano coinvolti i reparti speciali dei carabinieri. Che in Italia sono ancora più intoccabili dei vertici della polizia». In secondo luogo, il governo ha fatto proprio il comportamento della catena di comando militare, assumendosene la piena responsabilità. Il consiglio dei ministri all'unanimità sconfessa la condanna dei giudici per dire che De Gennaro fa parte del potere e, quindi, è un intoccabile. Come intoccabili sono tutti i funzionari promossi dopo Napoli e Genova, promossi non sospesi dalle loro delicate funzioni attendendo le sentenze definitive.
Il governo ha voluto inviare un chiaro messaggio: il depistaggio e l'impunità sono aspetti fondativi del nostro potere. Si parla a vanvera, anche nel centrosinistra, di garantismo: ma il garantismo è equilibrio dei poteri, è sobrietà istituzionale. Che garantismo vi è nella torsione razzista e proibizionista del governo? Che garantismo vi è quando non viene rispettato nemmeno il principio per cui la vita del detenuto è, per il funzionario dello Stato, sacra? Il potere, invece, come nel caso di Stefano Cucchi, uccide spesso i detenuti; e, comunque, inchieste ufficiali europee ci parlano di una tortura che ritorna nelle carceri d'Italia.
Per questo è importante non dimenticare mai la caserma Ranieri di Napoli, Bolzaneto, la Diaz a Genova, ecc. perché sono metafore di una strategia del potere. Una strategia nazionale, che ha reso pressocché simili i ministri dell'Interno del centrosinistra a Napoli e del centrodestra a Genova; ma, soprattutto, una strategia internazionale. Basti pensare alle violenze militari contro i militanti altermondialisti prima di Genova e dopo Genova anche a livello europeo. Le sinistre, purtroppo, da tempo non hanno più capacità di inchiesta e di parola sulle ristrutturazioni in atto dei poteri militari, sul fallimento dei generosi tentativi di riforma democratica, sul significato che ha assunto la militarizzazione della pubblica amministrazione grazie anche all'introduzione dell'esercito professionale (del tutto incostituzionale) che ha spazzato via le politiche di disarmo. Si è creata una osmosi tra funzioni di polizia e funzioni militari, intese, tra l'altro, soprattutto come missioni di guerra.
A Genova operò una strategia internazionale per spazzare via un movimento che aveva osato gridare che la globalizzazione liberista non recava con sé «magnifiche sorti e progressive»; aveva urlato «il re è nudo». Il potere ebbe paura, tentò di costringerlo nella morsa repressione-violentismo-repressione ancora maggiore. Non vi riuscì, ma lo indebolì e lo frantumò. Ora anche la sentenza della Corte d'Appello di Genova ci fornisce un'occasione per riprendere il filo del discorso, anche a livello di movimento internazionale: a Genova agì una connessione fra comandi di polizia e comandi Nato; basti analizzare i sistemi d'arma, il tipo di addestramento e di formazione delle truppe, in forme inedite e contenuti diversi dal passato. La storia continua…
Genova è stato solo l'inizio. Il 26 aprile scorso il Consiglio per gli affari generali dell'Unione europea ha varato uno strumento, una sorta di "grande fratello" europeo per controllare coloro che assumono comportamenti «radicali» o che trasmettono «messaggi radicalizzati» . E' un'operazione diffusa di intellegence, di sorveglianza capillare che, con l'alibi di individuare attività terroristiche (per cui peraltro già esistono strutture e strumenti penali), fabbrica sospetti nei confronti dei comportamenti disobbedienti o molto critici, assimilati a violenza e terrorismo. Uno degli indici della pericolosità di un soggetto, ad esempio, nel questionario è (come ci ricorda Tony Bunyan su il manifest o di ieri): «Situazione economica? Disoccupato, peggioramento della sua posizione economica, eccetera».

 

Giovanni Russo Spena