La lettera c'è, finalmente, ma mancano ancora le immagini della tac effettuata su Stefano Cucchi dopo la riesumazione, due mesi fa.«Caro Francesco sono al Sandro Pertini, in stato d'arresto. Scusa se stasera sono di poche parole ma sono giù di morale e posso muovermi poco. Volevo sapere se potevi fare qualcosa per me. Adesso ti saluto, a te e agli altri operatori. Ps per favore rispondimi». Francesco è un operatore del Ceis, la comunità terapeutica di don Picchi. La missiva, anticipata da Liberazione il 13 gennaio scorso, è stata consegnata l'altroieri dal Ceis alla famiglia - portandosi appresso altri misteri. Stando alla testimonianza della capoposto del Pertini che gli fornì busta e foglio e lo vide scrivere, successe la sera del 21 ottobre, dopo quattro giorni di rifiuto di cibo, acqua e di quasi tutte le cure perché gli era impedito di incontrare l'avvocato. Perché la lettera è datata 20 ottobre? Forse Stefano, stravolto dalla durezza delle sue condizioni - era paralizzato a letto da quanto è dato sapere - sbagliò a contare i giorni. Forse. Ma un altro mistero è ancora più inquietante: la lettera fu spedita probabilmente dal Pertini, il 26 ottobre, lunedì. Cucchi era già morto all'alba del 22 ottobre e domenica 25 la vicenda era stata narrata per la prima volta sulla prima pagina di Liberazione . Sulla busta l'indirizzo è stato compilato da una mano diversa da quella della calligrafia affaticata della lettera. Ilaria Cucchi riconosce la scrittura di suo fratello nell'ennesimo tentativo di far arrivare la sua voce all'esterno del sistema carcerario che lo aveva ingoiato forse per occultare i segni del "contatto" con gli uomini in divisa. Una frettolosa e distratta udienza di convalida gli aveva negato i domiciliari con la stranissima motivazione della mancanza di una fissa dimora sebbene la notte dell'arresto i carabinieri gli avessero perquisito la camera nell'appartamento di famiglia. Della lettera si scoprì dalla lettura della relazione degli ispettori del Dap che, nel corso dell'indagine interna, si sono imbattuti nella testimonianza della graduta di polizia penitenziaria. Poi, da una «fonte autorevole» che Ilaria Cucchi ha ritenuto di non rendere nota, siamo venuti a conoscenza di un verbale che annotava tra gli effetti personali del detenuto ucciso, la busta da lettera. Però, quando finalmente la famiglia è riuscita a tornare in possesso della scatola della lettera e di quel verbale nessuna traccia. «Sentiva di essere stato isolato», insiste la sorella cucendo la nuova rivelazione alla richiesta d'aiuto che Stefano consegnò alla volontaria che lo vide la stessa sera. Ma chi ha scritto l'indirizzo e chi ha spedito la lettera? E ancora: perché la comunità ha impiegato così tanto tempo per metterne a conoscenza la famiglia? «La colpa è mia», spiega a Liberazione don Mario Picchi, fondatore del Ceis raccontando delle morti, nel giro di 10 giorni del suo vice, dopo 40 anni di collaborazione, e di sua sorella venuta a Roma per i funerali. E' accaduto tra il 18 e il 28 ottobre sovrapponendosi alle date chiave di questa vicenda. «Sono rimasto in mezzo a questa tempesta di sentimenti - ricorda ancora - e non ho avuto coscienza subito di quello che stava accadendo. Poi i miei collaboratori mi hanno fatto presente di quella lettera e allora ho detto che l'avremmo consegnata quando ce ne sarebbe stato chiesto conto». Intanto, da alcuni giorni, la stampa ricama su presunte fratture antiche che smentirebbero le responsabilità di un ipotetico pestaggio nella morte di Cucchi. «Ma quali fratture - protesta Fabio Anselmo, il legale della famiglia - si tratterebbe di ernie. Due mesi dopo la riesumazione della salma non sono stati depositati in Procura, e non abbiamo ancora avuto, i dischetti con la documentazione della Tac e delle fratture, quella consegnata finora contiene solo immagini che nulla hanno a che fare con le lesioni alla colonna vertebrale». |