Al Ministro degli Interni Al Ministro delle attività giovanili e dello sport. Premesso che a sei mesi dall’applicazione della delibera nr. 14 dell’8 marzo 2007 dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, recante le procedure di ammissibilità di striscioni e bandiere, possiamo tracciare un primo bilancio, che è, senza dubbio, negativo; Le suddette procedure hanno prodotto, come primo risultato, un’impopolarità diffusa nei confronti delle Istituzioni presso larghe fette di spettatori che si recano allo stadio, i quali non ne comprendono l’utilità nella lotta alla violenza; - I tifosi, già vessati dall’introduzione del biglietto nominativo, e dalle lunghe file che continuano a fare per assistere alle partite, si sono ritrovati improvvisamente a dover fare i conti con questa nuova rigidità procedurale che ha comportato, troppo spesso, il sequestro dei loro strumenti di tifo; Alcuni tifosi sono in balia, quando vanno in trasferta, dell’interpretazione delle Questure competenti (in alcuni casi vengono sequestrate anche le magliette e le sciarpe), che spesso adottano misure assurde e, comunque, diverse tra loro, producendo una disomogeneità nell’applicazione delle norme; Molti gruppi ultras e clubs si sono rifiutati di seguire la procedura, particolarmente vessatoria, di mandare un fax con misure e contenuti degli striscioni la settimana prima della partita alla Società calcistica, che a sua volta lo gira alla Questura che decide quali e quanti striscioni possono entrare allo stadio; Queste forzature dell’Osservatorio hanno comportato un danno al tifo popolare, che si distingue per iniziative finalizzate alla promozione di uno sport pulito, contro ogni forma di discriminazione e razzismo. La caratteristica comune a tutti gli stadi di oggi, a differenza di quanto avviene in tutto il resto d’Europa, è il clima di tristezza che ha soppiantato quello di festa e di divertimento. Senza bandiere, senza punti di riferimento per i cori (anche i megafoni sono proibiti) senza gli striscioni dei gruppi, goliardici ed ironici (dal famoso "giulietta è una zoccola" al "voi co’maschi noi co’le femmine"), senza le bellissime coreografie da derby, lo stadio in Italia perde una delle sue caratteristiche fondamentali e un fascino che tutta Europa ci invidiava, ripercuotendosi anche sui meccanismi economici che interessano il gioco del calcio. Migliaia di giovani che frequentano le curve, in questo modo sono stati privati della libera capacità di espressione attraverso creatività, colore e ed energie positive (tutto ciò che si può definire cultura popolare del tifo), aumentando così il rischio che, in alcune realtà sociali, l’unico ambito possibile di partecipazione attiva sia proprio quello che lo Stato sta cercando di combattere: l’aggressività e la violenza; Le misure speciali adottate per legge sono risultate inefficaci nella lotta alla violenza, non intervenendo sulla questione culturale ed educativa, come ci dimostrano gli incidenti nel recente derby di Genova, una volta famoso per la capacità delle due tifoserie di competere in maniera splendida attraverso coreografie, sfottò e striscioni ironici e, in ordine di tempo, quelli fuori l’olimpico di Roma con due tifosi interisti accoltellati; Si succedono ogni domenica casi paradossali di divieto di ingresso di striscioni e di persone nello stadio.
Esempi significativi: i tifosi della Sampdoria non sono stati fatti entrare con uno striscione che recitava l’articolo 21 della costituzione; a Pisa ad un tifoso con le stampelle è stato vietato l’accesso in curva; a cinque ragazzi sono state combinate cinque diffide per un anno per aver organizzato una coreografia con lancio di 2500 rotoli di carta igienica (motivo: "è infiammabile"); in quasi tutti gli stadi sono state sequestrate migliaia di sciarpe e bandiere con la dicitura "Ultras"; ad un bimbo di 5 anni è stata sequestrata la bandierina; a Roma non è stato autorizzato lo striscione "Addio Vanessa" dopo la morte della ragazza uccisa in metropolitana; un tifoso è stato diffidato per tre anni con obbligo di firma perché ha esposto uno striscione con la frase "A noi ce s’è rotto il fax"; uno zio che ha portato due nipotini, uno di tre e uno di dieci, allo stadio per tre partite casalinghe, ha visto passarsi il più piccolo al metal detector e sottrarsi le sciape con scritto Ultras, dopo le tre partite sono stati i nipotini stessi a chiedere allo zio di non andare più allo stadio;
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Rimane inspiegabile la discrezionalità con cui si decidono gli ingressi degli strumenti del tifo: a Bologna controlli in curva di casa serrati su tutto il materiale recante la scritta "ultras" (dalla bandierina alla sciarpa e alla maglietta); a Genova sono tollerati i bandieroni, in altri stadi no; a Roma e a Napoli si chiude un occhio sugli striscioni dei gruppi di casa e si è fiscalissimi su quelli in trasferta; La Ministra Melandri ha assunto ad agosto, dopo aver accolto le richieste del Comitato "Il tifo popolare nel calcio che vogliamo", precisi impegni per rivedere immediatamente le posizioni dell’Osservatorio in materia; Diverse componenti sociali e politiche insistono perché, superata la fase emergenziale, si apra una riflessione sul mondo del calcio e le dinamiche che lo attraversano, cominciando a prevedere interventi per la mediazione del conflitto, per un’educazione allo sport nelle nelle scuole, per la rivalutazione del tifo popolare nel nostro Paese.
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SI CHIEDE Se siano al corrente della situazione createsi dall’approvazione della legge ad oggi e se non sia il caso di promuovere un’indagine sull’effettiva applicazione e sull’efficacia della stessa, coinvolgendo tutti i soggetti interessati, compresi i tifosi; Se si siano attivati per dare delle risposte concrete alle richieste dei tifosi di poter esprimere, attraverso gli strumenti di tifo, i propri pensieri senza offendere nessuno; Se ritengano anch’essi necessaria una rivisitazione delle disposizioni dell’osservatorio e della legge, prevedendo un allentamento della repressione e favorendo percorsi di prevenzione attraverso interventi socio-educativi; Se siano d’accordo nel riconoscere il tifo popolare quale componente essenziale per un rilancio del gioco del calcio, rappresentando, attraverso le buone pratiche messe in atto, un elemento facilitatore di processi relazionali e socio-culturali positivi dentro e fuori gli stadi. On. Daniele Farina (Rifondazione Comunista)
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