Meno di duecento voti favorevoli (198), vale a dire meno di un terzo della camera dei deputati, sono bastati ieri sera a far entrare con trent’anni di ritardo il reato di tortura nel codice penale italiano. La ragione di tanto scarso entusiasmo è che la legge delude quasi tutte le attese, tanto da essere stata criticata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dal Consiglio d’Europa, da una lunga schiera di giuristi e persino dai magistrati che hanno portato in tribunale le forze dell’ordine per le violenze del G8 di Genova. La «informe creatura giuridica» approvata ieri (secondo la definizione di uno dei tanti appelli al parlamento perché correggesse la legge, tutti inascoltati) secondo i giudici genovesi non sarebbe stata applicabile neanche alla «macelleria messicana» della scuola Diaz. Di fronte a un testo del genere, frutto di successivi compromessi al ribasso voluti dal Pd, soprattutto nell’ultimo passaggio al senato durato due anni, i sostenitori dell’introduzione del reato di tortura fuori dal parlamento si sono divisi tra chi apprezza comunque il passo in avanti (Amnesty Italia) e chi lo ritiene al contrario un passo falso, controproducente (A buon diritto, associazione Cucchi, comitato verità e giustizia per Genova). In parlamento ha votato a favore praticamente solo il Pd (gli alfaniani di Ap in teoria erano della partita, ma si sono presentati solo in 4 su 24); i democratici hanno registrato comunque il 40% di assenze. Segno di un forte malcontento, espresso giorni fa in un’intervista dal presidente del partito Orfini – «legge inutile, meglio non approvarla» – e in aula solo dalla deputata Giuditta Pini. Si sono astenuti i 5 Stelle, che tendono a vedere il bicchiere mezzo pieno, e infatti al senato sull’identico testo avevano votato a favore, Mdp che parla di «legge debole», i centristi di maggioranza del gruppo Civici e innovatori e anche Sinistra italiana che è assai più critica: «Abbiamo confezionato il reato impossibile per il retropensiero di alcuni che in questi tempi di terrorismo un po’ di tortura possa tornare utile», ha detto il deputato Daniele Farina. Mentre è noto che il senatore del Pd Luigi Manconi, che ha presentato il progetto di legge originario nel primo giorno della legislatura, ha parlato di un provvedimento «completamente stravolto». Contraria tutta la destra, che vede nella legge una minaccia alla libertà di azione delle forze di polizia. Con argomenti come quelli del «fratello d’Italia» Cirielli: «Il poliziotto che di fronte a uno stupratore o a un autonomo perde la pazienza e lascia partire qualche schiaffo o qualche calcio rischia più dei delinquenti». Difficile però che si possa applicare a casi del genere – «meno di un occhio pesto», per citare sempre Cirielli – il reato di tortura. Perché così com’è stato approvato definitivamente ieri non è più un reato proprio del pubblico ufficiale ma un «delitto comune» che può essere compiuto da chiunque si trovi nelle condizioni di esercitare «vigilanza, controllo, cura o assistenza» nei confronti della vittima. È forse la peggiore novità imposta nel passaggio in senato, rispetto al testo già approvato dalla camera nel 2015. Le altre, tutte negative, sono la previsione che le violenze e le minacce debbano essere «gravi» (un po’ come dovevano essere «particolarmente efferate» le sevizie escluse dall’amnistia del ’46) «ovvero agendo con crudeltà», una circostanza difficile da dimostrare per i pm. Perché si verifichi tortura è adesso richiesto che siano commesse «più condotte», sembrerebbe cioè non bastare un singolo episodio e neanche un episodio reiterato della stessa natura. L’azione del pubblico ufficiale è adesso sempre giustificata «nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure limitative di diritti». Infine è necessario che l’azione del torturatore cagioni sulla vittima «un verificabile trauma psichico», sempre difficile da provare soprattutto a distanza dai fatti (quando in genere si arriva al processo). Le pene sono alte, al massimo dieci anni aumentati a dodici nel caso in cui l’autore sia un pubblico ufficiale, ma la prescrizione non è del tutto scongiurata. Mentre è addirittura prevista la pena fissa, solo massima, di trent’anni e dell’ergastolo nel caso in cui dalla tortura derivi la morte, accidentale o intenzionale. «Tutti questi requisiti rendono difficile l’applicazione della nuova norma», ha spiegato il presidente della prima commissione, il centrista Mazziotti. D’altra parte nella legge è rimasto il divieto di espulsione dello straniero quando ci sono fondati motivi di ritenere che rischi di essere torturato, anche sulla base delle violazioni sistematiche dei diritti umani nel suo stato di origine. Ma 33 anni dopo la Convenzione dell’Onu e 29 anni dopo la legge italiana che la recepiva (al governo c’era Ciricaco De Mita), il nostro paese per adottare il reato di tortura ha avuto bisogno di snaturarlo.
Andrea Fabozzi |
In Italia da oggi la tortura è reato. C’è voluto un dibattito parlamentare lungo quasi trent’anni per produrre una legge definita di compromesso dal deputato del Pd Franco Vazio, relatore del provvedimento. Ma si può accettare o siglare un compromesso su un crimine contro l’umanità? Il dibattito parlamentare è stato per lunghi tratti triste, incolto, illiberale, ricco di opposizioni pretestuose. Nel nome delle mani libere delle forze dell’ordine si è cercato di renderle immuni da responsabilità. Governi di destra e di sinistra hanno in passato detto no alla tortura. Oggi c’è un reato ad hoc. Retroguardie culturali hanno condizionato il dibattito pubblico contribuendo a produrre una legge criptica, non rispondente alla definizione presente nella Convenzione Onu contro la Tortura del lontano 1984. In vari punti la legge approvata ieri è di difficile digeribilità: la previsione della pluralità delle condotte violente affinché vi sia la configurabilità del delitto, il riferimento espresso alla condizione della «verificabilità» del trauma psichico. Un tentativo pacchiano di restringere l’area della punibilità del presunto torturatore. E poi non sono stati previsti tempi straordinari di prescrizione come un crimine di tale tipo richiede. Ed è stata prevista la pena dell’ergastolo contro cui si siamo sempre battuti e ci batteremo sempre. Era il 10 dicembre del 1998 quando Antigone elaborò la sua prima proposta di legge, fedele al testo delle Nazioni Unite. Non abbiamo mai abbandonato la nostra pressione pubblica e politica su questo tema. Siamo andati davanti a giudici nazionali, europei, organismi internazionali a segnalare questa lacuna gravissima nel nostro ordinamento giuridico. Il manifesto è stato sempre al nostro fianco. Nel tempo i governi che si sono succeduti hanno usato le più svariate strategie di risposta: dilatorie, apertamente oppositive, falsamente disponibili. Da ieri comunque abbiamo una legge che incrimina la tortura. Possiamo da oggi nelle Corti chiedere che un pubblico ufficiale sia incriminato non per lesioni o abusi vari o maltrattamenti in famiglia (come è accaduto ad Asti) ma per tortura. Purtroppo il delitto è configurato in modo a dir poco arzigogolato. È definito come un delitto generico, ossia che può essere commesso anche da un cittadino comune e non solo da un pubblico ufficiale. Per noi la tortura, nonostante la divergente previsione normativa, è e resta invece un delitto proprio, ossia un delitto che, come ci tramanda il diritto internazionale pattizio e consuetudinario, non può che essere un delitto dei pubblici ufficiali. Da domani il nostro lavoro sarà quello di sempre: nelle ipotesi di segnalazioni di casi che per noi costituiscono «tortura» ci impegneremo affinché la legge sia applicata davanti ai giudici nazionali. E se questi dovessero latitare – un po’ dipende anche da loro, così come dagli avvocati, rendere quella fattispecie operativa – andremo davanti alle Corti internazionali. Uno sguardo va rivolto alle altre parti della legge ugualmente importanti le quali riguardano la non espulsione di persone che rischiano la tortura nel paese di provenienza e l’estradizione di cittadini stranieri accusati di tortura e attualmente residenti nel nostro paese. Qualora applicate in sede giurisdizionale con ragionevolezza e spirito democratico tali norme potranno salvare molte vite da un lato e rompere il circolo vizioso della impunità dei torturatori di Stato dall’altro. Nessuno è però così ingenuo dal pensare che ottenuta la legge, buona o brutta che sia, la tortura sarà di conseguenza definitivamente eliminata dalle nostre prigioni, dalle nostre caserme, dai nostri centri per migranti, dalle nostre strade. Il reato è una condizione necessaria ma non sufficiente per mettere al bando la tortura. È necessario che vi sia un cambio di paradigma che porti la dignità umana al centro delle nostre politiche di sicurezza.
Patrizio Gonnella |