La lotta No Muos non si arresta! Nei giorni 4-5-6 agosto presso il Presidio Permanente dei Comitati No Muos in Contrada Ulmo si è svolto il campeggio di lotta No Muos che ha visto la partecipazione di numerosi compagni e compagne da tutto il Sud Italia. Le numerose iniziative che hanno dato vita a questa tre giorni hanno avuto come tema centrale la guerra imperialista e come riportarla al centro del dibattito pubblico. Tra assemblee, spettacoli teatrali, concerti e incontri (tra cui quello con Paolo di Pachino, ex combattente in Rojava), il campeggio si è concluso il 6 agosto con una manifestazione intorno alla base militare USA. Il corteo, partito nel pomeriggio dal presidio, ha visto un enorme e spropositato dispiegamento della forza pubblica: polizia, digos, carabinieri, finanzieri, polizia a cavallo, forestali, polizia locale, esercito, Marines, unità cinofile, perfino un elicottero che ha scortato i manifestanti lungo tutto il tragitto. Già nei giorni precedenti la manifestazione, camionette di polizia e carabinieri giravano ossessivamente intorno al presidio. Durante il corteo nulla di particolarmente minaccioso da parte nostra: solo slogan provocatori, l’accensione di un fumogeno davanti al cancello 2, qualche battitura delle reti poste a protezione dell’impianto. Del resto, da quando il Muos è operativo, tentare di invadere la base come si è fatto negli anni precedenti è diventato praticamente impossibile: doppio se non triplo filo spinato di recinzione. Davanti al cancello principale, dove era prevista la conclusione della manifestazione, dopo un’azione di disturbo che ha visto l’accensione di alcuni fuochi d’artificio, i manifestanti si sono diretti verso il cancello senza alcun intento particolarmente aggressivo, solo qualche battitura. La polizia ha invece risposto con un fitto e ingiustificato lancio di almeno una quindicina di lacrimogeni, che hanno causato il ferimento di una compagna alle ginocchia, mentre un compagno è stato trasportato in ambulanza in ospedale per crisi respiratoria e vomito. Dopo il lancio di lacrimogeni i compagni si sono sparpagliati per i campi circostanti ma dopo pochi minuti si sono ricompattati e sono tornati di fronte al cancello. |
Con queste due morti, si allunga ancora di più la lista dei decessi dall’inizio dell’anno: 32 suicidi per un totale di 68 morti. Tenendo ben presente che uno si è suicidato in una Rems ( la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria della quale è competente il ministero della Salute) e l’altro, Marco Poli, si era tolto la vita durante l’esecuzione penale esterna: quindi fuori dal carcere di Verona dove era recluso in regime di semilibertà. Sembra non arrestarsi quello che oramai risulta un vero e proprio bollettino di guerra. Alla luce dell’ultimo suicidio, è intervenuto nuovamente il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma. In attesa della riunione convocata per domani dal guardasigilli, il Garante ha dichiarato: «Quattro suicidi in una settimana, trentadue dall’inizio dell’anno. Numeri che non possono non interrogare e che richiedono interventi urgenti volti a migliorare il sistema di prevenzione messo a punto dal ministero della Giustizia». Palma ribadisce il proprio impegno a intervenire – in quanto titolare della tutela dei diritti delle persone detenute – come parte of- fesa nelle indagini relative a tutti i casi di suicidio. Per questo sono già state contattate tutte le competenti Procure per chiedere informazioni sullo stato dei procedimenti relativi ai 32 suicidi del 2017. Sempre Mauro Palma fa notare che le due persone che si sono tolte la vita nella casa circondariale Rebibbia di Roma, erano recluse nella sezione G9. Proprio quel re- parto che è stato oggetto di una visita ad hoc del Garante che Il Dubbio ha potuto documentare tramite il rapporto redatto dal suo ufficio. «Nel corso della visita – denuncia Mauro Palma -, il reparto G9 era stato trovato in condizioni strutturali e igienico- sanitarie del tutto inaccettabili, con umidità che trasudava dalle pareti e acqua che cadeva dal soffitto, ambienti sporchi e deteriorati, vetri rotti nei corridoi, riscaldamento non funzionante. Condizioni che – come scritto nel Rapporto pubblicato sul sito del Garante nazionale – potrebbero essere considerate di per sé violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani ( Cedu). Per tale motivo il Garante nazionale ne aveva raccomandato l’immediata chiusura, necessità condivisa peraltro dalla direttrice dell’Istituto e dalla Provveditrice regionale del Lazio». Mauro Palma conclude con una considerazione: «Sono molti e diversi i fattori che spingono una persona a compiere un gesto estremo come quello di togliersi la vita e prevenire tali eventi è certamente difficile. Ma garantire ambienti rispettosi dei diritti e della dignità delle persone è possibile e necessario» . All’indomani del 29esimo suicidio avvenuto al carcere romano di Rebibbia, è intervenuto anche il presidente di Antigone Patrizio Gonnella: «Vanno subito assunti provvedimenti diretti a migliorare le condizioni materiali di detenzione. Inoltre, da un lato, vanno rispettate le indicazioni ministeriali sulla prevenzione dei suicidi e, dall’altro, vanno individuate riforme da subito realizzabili. Ad esempio una maggiore apertura nell’uso delle telefonate per i detenuti non soggetti a censura che, garantendo un rapporto costante con i propri famigliari, potrebbero costituire un utilissimo strumento per prevenire gesti autolesivi. Bisogna poi rivedere e residualizzare tutte le forme di isolamento: giudiziario, disciplinare, ma anche quello per ragioni cautelative. L’isolamento, qualunque sia la ragione che lo produce, è sempre devastante per la psiche della persona». Molti di questi punti rientrano nella riforma dell’ordinamento penitenziario approvata a giugno. Ma mancano i decreti per attuarla. Anche per questo il Partito Radicale, Rita Bernardini in primis, ha annunciato il “grande Satyagraha collettivo” di metà agosto per rendere effettiva la riforma. |